Nicoletta Pesaro: Riattualizzare Lu Xun
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Pubblichiamo quest’articolo di Nicoletta Pesaro apparso sul n. 17 di Sinosfere (8 febbraio 2023), interamente dedicato al grande scrittore Lu Xun, per gentile concessione dell’autrice e della rivista (www.sinosfere.com ).
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Prima di tutto, i giovani devono trasformare la Cina in un paese che abbia voce1)
In questo 2023 che si apre lasciandosi alle spalle un anno a tutti gli effetti novecentesco, tra guerre (fredde e guerreggiate) e pandemia, vecchi e nuovi autoritarismi e sofisticati abusi repressivi, la nuova Cina di Xi Jinping sembra avere ancora molto bisogno di Lu Xun 鲁迅 (1881-1936). Lo scrittore, a cui è dedicato questo numero di Sinografie, iniziò circa un secolo fa la sua personale rivoluzione letteraria pubblicando una serie di testi a metà tra la saggistica e la narrativa, che avrebbero scosso non solo le pratiche linguistiche e le convinzioni estetiche del mondo letterario, ma soprattutto la visione etico-sociale della Cina moderna.
Una “filosofia dell’anti potere”, la definisce Carlo Laurenti in un suo libro su Lu Xun pubblicato recentemente,2) mettendo in evidenza le profonde ascendenze daoiste dello scrittore.
Del desiderio o necessità di contrastare il potere – nelle forme e nei limiti resi possibili da un regime sempre più blindato – ha coraggiosamente dato prova la società cinese a fine novembre 2022, con le manifestazioni di protesta scoppiate in più zone del paese e a più livelli, per contrastare non solo l’inutile e dannoso rigore delle restrizioni anti-covid architettate dal governo centrale e spesso mal applicate dai governi locali, ma anche la gestione politica sempre più arcigna imposta dal nuovo timoniere. Quei fogli bianchi formato A4 e quegli smartphone accesi a mo’ di torcia nei viali alberati di Shanghai e davanti alle università, ma anche il fiume di messaggi tracimato per un certo lasso di tempo dai social media nazionali, hanno infranto, almeno per un poco, il silenzio di una “Cina muta”, come quella di cui parlava Lu Xun nell’omonimo saggio del 1927:
la maggioranza non sa ed è come se si tacesse […]. Poiché noi parliamo la lingua dell’antichità, una lingua che la maggior parte della gente non capisce e non sente, siamo come sabbia sparsa in un piatto, incuranti l’uno dei mali dell’altro.3)
Lu Xun si riferiva alla Cina di allora, costretta nel silenzio dell’analfabetismo da un’élite conservatrice, ma la Cina di oggi, analogamente ammutolita dalle intimidazioni politiche e i favori elargiti da una élite economica, ha inteso far sentire la sua voce, non ancora assopita dalla finta felicità promessa agli individui e da un benessere diffuso (ma in maniera assai ineguale), e non del tutto soffocata da una gestione delle esistenze ipertecnologica, benigna e al contempo maligna dispensatrice di sorti progressive.
In questo numero dedicato a Lu Xun si intende restituire visibilità e segnalare ai lettori e alle lettrici la figura di questo intellettuale scomodo e illuminante, in occasione della nuova traduzione della sua opera narrativa pubblicata da Sellerio in tre volumi, due dei quali già usciti, rispettivamente, nel 2021 – Grida – e nel 2022 – Esitazione; mentre il terzo, Antiche storie riscritte, a cura di Fiorenzo Lafirenza, è in pubblicazione nel 2023.
D’altronde, ci preme anche sottolineare la bellezza e l’eleganza del suo stile, che ha mutato per sempre la storia della narrativa cinese, quell’alterità ibrida del racconto da lui inventato che ci appare familiare ed estraneo al medesimo tempo. Lo scrittore Emanuele Trevi, per esempio, così descrive i racconti di Grida: “Credo che parte della loro bellezza, per noi occidentali, consista anche nel fatto che ci costringono a misurarci con una logica narrativa che non coincide mai esattamente con le nostre convenzioni e le nostre attese.”4)
Un’altra ragione che ci ha spinto a progettare questo numero speciale è l’impellenza di acquisire o riacquisire alla memoria il pensiero e l’anima critica di un autore controverso e potente nella sua suggestione culturale e transculturale, fin troppo noto e commentato forse nella stretta cerchia sinologica, ma ancora troppo poco conosciuto, invece, nel più ampio panorama culturale italiano.
Proponiamo pertanto alcuni testi di e su Lu Xun, nella speranza di riaccendere l’interesse che già negli anni Sessanta e Settanta gli avevano tributato molti intellettuali italiani, da Franco Fortini a Dario Fo, da Edoarda Masi ad Anna Bujatti.
Certamente la Cina di un secolo fa, debole gigante rurale semi-colonizzato e in preda a disordini e povertà, tra analfabetismo e soprusi “feudali”, era ben lontana dal grande paese tecnologicamente avanzato che ha sfidato il mondo in termini di crescita economica e che è riuscito a trasmettere meglio la straordinaria ricchezza del proprio patrimonio culturale; tuttavia, la svolta autoritaria degli ultimi anni induce un’ansietà condivisa da molti, sia in Cina sia altrove, che sembra quasi dar ragione alle cupe riflessioni di uno dei personaggi di Lu Xun:
“Voi promettete l’avvento di un’età dell’oro per i posteri, ma che cosa date ai posteri stessi?”.
“Ah! La frusta del Creatore non ha ancora colpito la schiena della Cina, la Cina sarà sempre uguale, non è disposta a cambiare un pelo di sé stessa!”5)
Tale scetticismo è riportato anche da un discepolo di Lu Xun in un suo testo commemorativo. La critica feroce alla tradizione e all’oscurità della società a lui coeva non impediva allo scrittore di intravedere i rischi e i pericoli nascosti nella cosiddetta età dell’oro promessa dal comunismo:
Questa volta citano il mio “Commiato dell’ombra” e mi considerano un nichilista. Infatti ho scritto: “c’è qualcosa che non mi piace nel vostro futuro mondo dorato, non ci voglio andare”, sostengono perfino che non andrò nemmeno nel mondo dorato del comunismo… ma mi piacerebbe chiedere loro: davvero vedete soltanto un futuro dorato? promettono così facilmente e così presto un mondo dorato al popolo: per me questo è inappropriato e nella mia mente altrettanto vuoto e irrealistico.6)
In una delle Lezioni pubblicate in questo numero, Qian Liqun 钱理群, grande studioso di Lu Xun e già docente di letteratura cinese all’Università di Pechino, interpreta il pensiero dello scrittore facendone risaltare non solo la profonda conoscenza ed esperienza della realtà cinese e dei rischi dell’ideologia, ma anche il personalissimo conflitto tra aspirazioni individuali e conformismo di massa:
[…] l’“io” rifiuta il cosiddetto “mondo dorato”, quel futuro precostituito che la gente immagina come infinitamente bello, radioso
“D’altronde, sei tu che non mi piaci»” Quel “tu” è il sé che si identifica con il gruppo, che pensa e si esprime in base alle convenzioni, alla consuetudine e al senso comune, che si conforma al modo di pensare e di sentire di tutti gli altri.
In merito alla situazione attuale, soprattutto in termini di controllo e censura, non pochi in Cina parlano, a denti stretti, di un sinistro ritorno al passato, situazione paradossale (ma forse non così tanto), se si pensa alla palese vocazione e propensione verso il futuro della nazione cinese. Lo scetticismo di Lu Xun e la sua instancabile professione critica sono rivolti alla società nel suo insieme ma hanno una natura profondamente individuale. Da questa contraddizione nascono i testi più criptici che fanno dello scrittore una voce letteraria pura e profetica allo stesso tempo. Commentando la prosa poetica di Erbe selvatiche (Yecao 野草, 1927) – la più immaginifica e misteriosa delle opere di Lu Xun – Qian Liqun, in un’altra delle Lezioni qui tradotte, afferma: “nella visione di questo giovane orientale, che vagheggia la libertà e l’emancipazione spirituale dopo tanta repressione, l’essenza dell’esistenza consiste nel moto libero, senza freni della vita”. Nella sua recensione a Grida anche Trevi coglie l’unicità contraddittoria e affascinante dello scrittore:
Se proprio volessimo definire la posizione di Lu Xun dovremmo inventare qualche assurdità capace di conciliare la fede nel futuro con una forma di saggezza che esclude ogni incertezza preferendo il fluire della vita e delle sue apparenze all’individuazione del suo significato.7)
Un’immagine ironica emerge dall’intervista rilasciata ad Anna Stecher da Li Jing, critica letteraria e drammaturga che ha messo in scena nel 2016 a Pechino una pièce teatrale graffiante e allo stesso tempo riflessiva nei confronti di Lu Xun. L’opera è un tentativo di liberarlo dalle incrostazioni ideologiche e restituirlo – anche rappresentandolo in jeans e maglietta bianca – nella sua umanità e profondità, soprattutto per quei cinesi che di lui conservano solo l’icona militante, imposta a livello scolastico e durante la Rivoluzione culturale. Li Jing interpreta la critica radicale alla tradizione cinese operata da Lu Xun come strumento valido a smantellare ogni forma di egemonia in ogni epoca e sistema politico: la strategia intellettuale di Lu Xun si presta a smascherare prettamente “il potere, [che] sotto forma di capitale o sotto forma di politica, è interessato a firmare un contratto di tipo mefistofelico: se tu mi vendi la tua anima, io ti aiuto a realizzare i tuoi sogni”. Conclude poi che “in superficie, Lu Xun parla di problemi cinesi e critica la tradizione cinese, ma in fondo, ciò che critica è una situazione di potere che depriva gli uomini della loro dignità”.
Del resto, con le recenti traduzioni e le ristampe di traduzioni precedenti che si sono succedute in questi due anni, penso sia intenzione comune proporre la lettura e rilettura di Lu Xun per la necessità di capire soprattutto la Cina di oggi; perché in fondo, citando ancora una volta le parole di Qian Liqun in questo numero, “la capacità o meno di tollerare Lu Xun è indice dello stato di salute e di apertura della cultura cinese attuale e anche di quella futura” e perché a ogni latitudine e in ogni società la sua funzione critica ci appare vitale.
Difatti, la critica a tutto campo della civiltà moderna – oltre che di quella tradizionale – elaborata da Lu Xun induce a una riflessione attuale – non senza tempo – che lo rende pericoloso per ogni tipo di regime passato o presente. Di sogni, infatti, e di cannibalismo, parla la Lezione di Qian Liqun dedicata a un noto saggio di Lu Xun tradotto a suo tempo da Edoarda Masi:
Dietro la “libera concorrenza” capitalistica, accettata e idealizzata incondizionatamente da alcuni intellettuali, Lu Xun scorge sfruttamento crudele e sanguinosa rivalità. Si tratta di una nuova organizzazione gerarchica, che incoraggia le persone a massacrarsi a vicenda pur di “arrampicarsi” sul livello superiore. “Salgono a fatica, per poi essere ricacciati giù, di nuovo risalgono su a fatica e poi vengono strattonati giù, senza tregua” significa che durante la salita le persone sgomitano, si accalcano e si scontrano le une con le altre, si “mangiano” a vicenda; ma nel quadro globale, tutti vengono divorati dalla macchina del “capitale” concreta e reale e da chi la controlla. Dunque Lu Xun scopre di nuovo che i banchetti di carne umana continuano a essere imbanditi […].
Nell’ultima Lezione tradotta per Sinosfere, Qian ritorna sul tema, centrale nell’opera di Lu Xun, del rapporto tra intellettuale e popolo, tema ripreso anche nella mia riflessione sulla ricezione in Italia di La vera storia di Ah Q. La novella, il cui centesimo anniversario è caduto nel dicembre del 2021, sollecita un’analisi delle complesse dinamiche tra élite culturale e popolo, superando ancora una volta i confini della drammatica realtà cinese del secolo scorso: la visione luxuniana si riverbera infatti sulla società italiana del Novecento raccontata e parodiata da Luciano Bianciardi – primo traduttore italiano di Lu Xun – e da Dario Fo, le cui incursioni satiriche transculturali includono anche un brillante adattamento di La vera storia di Ah Q messo in scena nel 2014.
La traduzione a cura di Olimpia Ciccotelli e Manuel Recchia di un articolo scritto da un altro grande specialista di Lu Xun, Gao Yuanbao 郜元宝, docente dell’Università Fudan di Shanghai, arricchisce questo numero sul piano della produzione letteraria di Lu Xun e del suo ruolo di intellettuale. Il saggio, di cui si fornisce una versione ridotta, risale al 2015 e sviscera i rapporti tra creazione pura e saggio critico, i due strumenti utilizzati da Lu Xun nello scardinare il sistema letterario convenzionale. L’analisi, puntuale ed erudita, illumina il contesto in cui si formarono la cultura e la lingua cinese moderna: il ripensamento del rapporto tra critica sociale e letteratura rivela i meccanismi con cui tuttora si gioca la vita culturale del Paese.
Questa Sinografia si chiude con le parole dello scrittore, in uno dei suoi racconti più brevi e toccanti, “Un fatto da nulla” (Yi jian xiaoshi 一件小事1920), efficace nel disvelare, appunto, i dubbi e l’autocritica dell’intellettuale, nella sua difficoltà a pronunciarsi e ad agire con coerenza e onestà nel piccolo quotidiano, all’ombra del proprio egoismo e dei grandi eventi e mutamenti storici. Da questo tipo di racconti così come dai tanti saggi brevi e spiazzanti chiamati zawen 杂文, ricaviamo la vera ragione per cui, come recita il titolo dell’ultimo dei cinque saggi di Qian Liqun qui tradotti, “abbiamo bisogno” di Lu Xun: “Lu Xun è anche diverso da noi e dalla maggior parte dei cinesi: è ‘un caso particolare’ e dunque una figura rara, ed è per questo motivo che abbiamo bisogno di lui.”
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Nicoletta Pesaro insegna lingua, letteratura e traduzione cinese presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia dove cordina, dal 2023, il corso di Dottorato in Studi sull’Asia e sull’Africa. Si interessa di letteratura cinese moderna con un duplice approccio legato alla teoria della narrativa e agli studi sulla traduzione. Nel 2019 ha pubblicato con Melinda Pirazzoli La narrativa cinese del Novecento: autori, correnti, opere (Carocci). Ha curato alcune raccolte di saggi, tra cui The Ways of Translation: Constraints and Liberties of Translating Chinese (Cafoscarina 2013) e Ecocriticism and Chinese Literature. Imagined Landscapes and Real Lived Spaces (con R. Moratto e D. Chao, Routledge 2022). Dirige la collana di Edizioni Ca’ Foscari Translating Wor(l)ds. Oltre a due romanzi di Yu Hua, Vivere (Donzelli 1997; Feltrinelli 2009) e L’eco della pioggia (Donzelli 1998; Feltrinelli 2019), ha tradotto Il nemico di Ge Fei (Neri Pozza 2001), Nanchino 1937: una storia d’amore di Ye Zhaoyan (Rizzoli 2003), Spaghetti cinesi di Ma Jian (Feltrinelli, 2006) e la raccolta poetica Elegie del Quattro Giugno di Liu Xiaobo (Lanterna ed. 2013). Nel 2021-22 ha pubblicato con Sellerio la traduzione delle prime due raccolte di racconti di Lu Xun, uno dei più grandi intellettuali e scrittori del Novecento.
↑1 | Lu Xun, “Cina muta” 无声的中国, 1927. |
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↑2 | Carlo Laurenti, Lu Xun (Torino: Nino Aragno Editore, 2021). |
↑3 | Lu Xun, “Cina muta”, in La falsa libertà, trad. di E. Masi (Macerata: Quodlibet 2020), 116. |
↑4 | “Maestro Lu Xun e il Tao del racconto”, La lettura. Corriere della Sera, 20/06/2021, 39. |
↑5 | Tratto da “Storia di capelli”, un racconto sugli eterni ritorni della violenza politica e sull’illusorietà delle riforme in Cina, Lu Xun, Grida, trad. di N. Pesaro (Palermo: Sellerio 2021), 79. |
↑6 | Feng Xuefeng, Huiyi Lu Xun xiansheng hui yi 回忆鲁迅先生 [In memoria del signor Lu Xun] (Beijing: Renmin wenxue chubanshe, 1981), 13: “这回引了我的«赢得告别»,说我是虚无拍。因为‘有我所不乐意的在你们将来的黄金世界里,我不愿去‘,就断定共产主义的黄金世界,我也不愿去了。……但我倒先要问,真的只看将来的黄金世界的么?这么早,这么容易将黄金世界预约给人们,可仍旧有些不确实,在我看来,就不免有些空虚,还是不太可靠!” |
↑7 | Trevi, “Maestro Lu Xun”, 38. |
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