Bologna un paradiso per i senza casa?

| 17 Febbraio 2012 | Comments (0)



Tutto quello che non devi perdere è la dignità.

I servizi sociali servono a ridare dignità a chi si trova

in un periodo particolare della sua vita.

Un uomo senza dignità non si chiama uomo.

Se no, che fine hanno i servizi sociali?

Un servizio sociale spende milioni di euro,

un fine ci deve essere

 

Senza dimora di 54 anni,

ospite del Centro Beltrame

 

 

Bologna rappresenta uneccellenza nei servizi sociali e nellaccoglienza per i senza tetto. Una sorta di approdo per quanti si spostano da una città allaltra in cerca di condizioni migliori. Daltra parte, uno storico centro di accoglienza come ilBeltramedi via Sabatucci può essere vissuto in esteriorità: come luogo di passaggio dal quale uscire in base a un progetto individuale direinserimentopredisposto per ogniospite. Questa impostazione può creare distanza tra gli ospiti, che rifiutano i rapporti tra loro, tutti protesi alluscita dal centro in una sorta di competizione interpersonale.

Una ricerca1 (condotta dal GREP Gruppo di Ricerca di Etnografia del Pensiero) sulle parole e il pensiero dei senza dimora ospiti del Beltrame mostra come invece sarebbe opportuno rafforzare la funzione residenziale di questi luoghi. Promuovendo così la dimensione coabitativa attraverso, per esempio, l’investimento in attività in cui valorizzare le abilità e rendere evidente e condivisa la “dignità” di ognuno.

L’Assessore Servizi sociali, Volontariato, Associazionismo e Partecipazione del Comune di Bologna, Amelia Frascaroli, e il direttore di «Piazza Grande», principale associazione sui senza dimora di Bologna, Alessandro Tortelli, ne hanno discusso con gli autori (Valerio Romitelli e Sebastiano Miele dell’Università di Bologna) il 15 novembre presso Cortile Cafè di via Nazario Sauro all’interno di un ciclo di dibattiti organizzati dall’Associazione Civico32.

 

La ricerca si basa su interviste in profondità svolte nell’arco del 2008 nel centro daccoglienza Beltrame, individuato durante la fase di studio preliminare come particolarmente rappresentativo della realtà bolognese. Nato nel 1968 come servizio comunale, oggi gestito dalla Cooperativa SocialeSocietà Dolce, il centro nel 2008 accoglie 115 soggetti con disagi di varia natura e comprende un centro diurno multifunzionale aperto anche autenti esterni.

Incontrare i senza fissa dimora in un luogo ad essi destinato dalle politiche loro rivolte ha alla base una motivazione metodologica propria dell’Etnografia del Pensiero: studiare il loro pensiero in rapporto a questo luogo, non solo in generale. In tal modo è stato possibile analizzare pregi e difetti di una situazione che potrebbe costituire unmodelloper tante altre realtà con servizi meno strutturati.

Il campione dei soggetti intervistati risulta composto da:

1 coordinatore e 4 educatori (cui sono state rivolte le prime interviste finalizzate a comprendere sia il funzionamento del luogo che la loro esperienza di lavoro in esso);

 

14 ospiti del Centro Beltrame, con le seguenti caratteristiche:

Sesso: 13 uomini, 1 donna;

Età: compresa tra i 30 e i 65 anni, 7 tra i 30 e i 45, 5 tra i 46 e i 60 anni, 2 oltre 60 anni;

Provenienza: centro Italia 2, sud Italia 6, Bologna 3, Congo 1, Iran 1, Polonia 1;

Tempo di permanenza: compreso fra 2 mesi e 7 anni, 6 fra 2 mesi e 1 anno, 7 fra 2 e 5 anni, 1 da 7;

Problema dichiarato: oltre lindigenza, che chiaramente accomuna tutti gli ospiti del centro, 2 hanno principalmente problemi di dipendenza da droghe o alcool, 2 hanno principalmente problemi di natura psichiatrica, 6 soffrono di problemi di salute di varia natura; 1 è un ex detenuto; 2 sono ospiti del centro perché richiedenti asilo politico.

 

Il materiale risultato dalle interviste consta di 130 cartelle standard dattiloscritte. Il lungo lavoro di analisi che ne è seguito, ampiamente descritto nel report dal titoloSe ci fosse un fine. Senza dimora in un centro di Bologna”, porta ad alcune interessanti conclusioni circa possibili miglioramenti.

Innanzitutto fa riflettere sullimportanza del luogo prescelto per la ricerca, risultato decisamente rappresentativo. Al di dei grandi numeri e della storia che il Centro di accoglienza Beltrame può vantare, tale rappresentatività è legata anche al particolare peso delle politiche sociali e del privato sociale nella gestione del fenomeno dei senza fissa dimora a Bologna. In questa città i luoghi di frequentazione abituale, al di della stazione ferroviaria e di una parte circoscritta della zona universitaria, sono proprio tutti quei luoghi particolarmente strutturati e capillari che forniscono assistenza ed accoglienza. In molte interviste Bologna risulta vissuta come un approdo in cui l’ “eccellenzadei servizi sociali garantisce unassistenza sicura.

Occorre poi ricordare come il fenomeno delvagabondaggiorisulti negli ultimi anni essere stato particolarmente represso o almeno contenuto in zone molto circoscritte. Pur essendo, dunque, i temi dellinchiesta intrinsecamente legati al Beltrame, essi mostrano anche come tutta la città di Bologna risulti in generale una realtà particolarmente “gestita” e controllata rispetto ad altri territori evidenziando, al contempo, alcune delle criticità che possono emergere all’interno di questo tipo di gestione.

Sicuramente uno degli aspetti da considerare per il miglioramento di questo tipo di gestione è la distanza fisica e morale riscontrata tra gli ospiti del Beltrame. Mentre spesso chi vive in strada, nella propria condizione di isolamento sociale, è alla ricerca di persone nelle stesse condizioni con cui stabilire vincoli di solidarietà2, in un luogo in cui la convivenza è coatta accade che l’isolamento, la distanza fisica e soprattutto morale dagli “altri”, siano ricercati e rivendicati. Il disprezzo per “gli altri”, visti come falliti e immobili in una situazione di degrado dalla quale non hanno intenzione di riscattarsi, diventa un modo per distinguersi da una popolazione cui invece di fatto si appartiene e per alimentare la speranza di un proprio cambiamento (rivendicazione ricorrente tra gli intervistati: “gli altri” sopravvivono, “io” ho una dignità).

Sarebbe utile trovare dei modi per disincentivare questo disprezzo che può risultare pericoloso. In esso, infatti, si insinua anche una vena di razzismo. Molti ripetono, per esempio tutti premettendo un classico “non sono razzista”- che i meridionali sono quelli che “sopravvivono”, che arrivano a Bologna apposta per farsi mantenere dai servizi sociali. Oppure che gli stranieri (in alcuni casi si tratta di richiedenti asilo politico) sono quelli che creano problemi all’interno del centro e che non dovrebbero starci perché tolgono posti agli italiani.

Proprio in questo senso una delle possibili prescrizioni starebbe nel superare la visione del progetto individuale direinserimento. Abbiamo visto quanto il centro Beltrame sembri essere vissuto prevalentemente in esteriorità. Come luogo di passaggio dal quale uscire seguendo il progetto individuale di reinserimento, spesso reiterato, prolungato e che presenta alcune criticità. Oppure è vissuto in negativo, come costrizione dall’alto in un percorso da cui non si riesce più ad uscire (questa struttura certe persone le ha proprio rovinate, tanto sanno dove mangiare e dormire). In questo senso gli intervistati auspicanopolitiche più adeguatealle reali necessità dei senza fissa dimora. I percorsi di recupero attualmente previsti dalle istituzioni che se ne occupano in alcuni casi fanno sentire i senzatettotrattati come animali. Si configurano infatti come percorsi il cui unico scopo è l’uscita dal centro. Uscita, tra l’altro, a volte ben poco probabile nei fatti, dal momento che la principale alternativa sarebbe l’assegnazione di un alloggio popolare, ormai rarissima da ottenere. Ma mentre questi percorsi spingono gli utenti a concentrare tutte le loro energie, soprattutto mentali, ad una poco probabile uscita dal centro (almeno nell’immediato) la vita al suo interno diventa deprimente. Una vana, vuota ed estenuante attesa. E questo non favorisce certamente il riscatto da una situazione di difficoltà.

Per questi motivi uno dei consigli più salutari sarebbe di promuovere la dimensione coabitativa e linvestimento in attività. Da parte dell’organizzazione del centro la dimensione coabitativa non è particolarmente promossa. Il personale è in scarso numero, sono raramente previsti laboratori, si tentano di fare attività di intrattenimento (come l’animazione nel caso dei disabili anziani) che comunque riscuotono scarsissima adesione, proprio in virtù della difficoltà degli ospiti ad avere contatti tra di loro. Sembra essere un circolo vizioso difficile da superare, se non con l’investimento in attività, come laboratori produttivi in cui valorizzare le abilità e rendere evidente e condivisa la “dignità” di ognuno.

Questi utenti, considerati quasi elusivamente dalle politiche come categorie daassistere, quindi certamente un peso economico notevole per una società sempre più in crisi da questo punto di vista, potrebbero invece avere dei ruoli chiave. Potrebbero costituire una riserva dienergia alternativada considerare seriamente, anche perché si tratta di fasce di popolazione destinate ad un sicuro aumento nei prossimi anni. Se è poi indubbio cheil lavoro nobilita luomo, queste popolazioni ne gioverebbero certamente dal punto di vista psicologico, acquisendo un nuovo ruolo sociale. Se le politiche considerassero anche le loropotenzialità produttive, se partisse un processo di sistematizzazione di queste energie di lavoro, per ora sprecate, sarebbe azzardato pensare a dei risultati come quelli che oggi si hanno nel campo della produzione di energie alternative e di riciclo in Italia?

Una domanda cui si potrebbe dare una risposta ottimistica, come il titolo del buon film di Giulio Manfredonia,Si può fare, che mostra come addirittura un gruppo dipsichiatricipossano avere risorse tali da mettere su dal nulla una cooperativa di parquet riuscendo a conquistare una vera autonomia.

La serata si è conclusa dopo un lungo e interessante dibattito, reso proficuo dall’attenzione e pazienza che Tortelli e Frascaroli avevano dedicato al testo della ricerca. Al termine della serata l’Assessore, con la dedizione che la contraddistingue, ha risposto a tutte le “curiosità” degli intervenuti circa le ultime misure prese dal Comune, in particolare rispetto al “Piano Freddo”.

 


1La ricerca è stata condotta all’interno di un progetto di studio etnografico sul fenomeno dei senza fissa dimora promosso dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, pubblicata all’interno di Quaderni della Ricerca Sociale 10 – Senza Dimora. Storie, vissuti, aspettative delle persone senza dimora in cinque aree metropolitane http://www.lavoro.gov.it/Lavoro/Strumenti/StudiStatistiche/sociale/

2 cfr. Barnao C., Sopravvivere in strada: elementi di sociologia della persona senza dimora, Milano 2004 e Tosi Cambini S., Gente di sentimento: per unantropologia delle persone che vivono in strada, Roma 2004

 

 

Category: Dichiariamo illegale la povertà, Osservatorio Emilia Romagna, Welfare e Salute

About Sebastiano Miele: Sebastiano Miele è collaboratore del professor Valerio Romitelli dell'Università di Bologna e coordinatore del Gruppo di Ricerca di Etnografia del Pensiero (GREP) presso la stessa Università. Fra le sue pubblicazioni ricordiamo il saggio «Risorse? Umane. Esperimenti di etnografia del pensiero in Burundi», pubblicato nel volume di Valerio Romitelli dal titolo «Fuori dalla società della conoscenza. Ricerche di etnografia del pensiero» (Infinito, 2009)

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