Maurizio Matteuzzi: I risultati della Abilitazione Scientifica Nazionale e il racconto cinese di Lao

| 29 Gennaio 2014 | Comments (0)

 



L’attenzione del mondo accademico è tutta presa, in questi giorni, dall’attesa o dall’analisi dei risultati della epocale ASN, Abilitazione Scientifica Nazionale. Abilitazione a professore di prima fascia, e abilitazione a professore di seconda fascia. Sarà bene ricordare ai non addetti ai lavori che questa procedura è stata introdotta dalla celeberrima 240/10, o legge Gelmini, o “riforma epocale”. Si badi bene: questa abilitazione non corrisponde ai vecchi concorsi: chi la ottiene non vince un posto di lavoro, semplicemente acquisisce una precondizione che gli consenta poi di essere effettivamente assunto attraverso un concorso locale, bandito dai singoli Atenei. I quali, in quanto devono fornire la copertura finanziaria dell’assunzione (o della promozione), sono al momento tutt’altro che attrezzati alla bisogna.

Questa nuova modalità si caratterizza anche per l’adozione, più o meno cogente (sulla cui cogenza i ministri pro tempore si sono palesemente e in più occasioni contraddetti, o, quel che è peggio, hanno contraddetto la legge) dei famosi “indici bibliometrici”, o “parametri oggettivi”, o simili. Insomma, per il tentativo di rendere la valutazione oggettiva e deterministica; a dire il vero, basandosi su costrutti abbastanza strampalati, non presi in considerazione da alcun altro paese del mondo, come quello delle famose “mediane”.

Fin dalle prime letture, in non pochi hanno fatto una facile previsione: “qui gli esiti dei concorsi li decideranno i TAR, e non gli scienziati”.

Ad oggi, mentre sono usciti i risultati dei lavori di un buon numero di commissioni, già una ventina di esse ha ritirato gli atti, per modificarli “in autotutela”. Traduzione: si sono accorti di avere fatto coglionate.

Interessante anche quanto scrive ieri un collega ad una lista di discussione:

 
Segnalo che contro i risultati di uno dei primi settori pubblicati (08A1 – Idraulica, Costruzioni Idrauliche e Marittime) sono stati nei giorni 
scorsi presentati al TAR Lazio dodici ricorsi individuali di candidati alla I e II fascia, con annessa richiesta di sospensiva della validità dei
risultati pubblicati.

Be’, come inizio non c’è male. D’altra parte l’illusione di neutralizzare le baronie assumendo criteri meccanicistici nella valutazione, rendendola algoritmica, e imponendo una misurazione standard in ciò che misurabile per sua natura non è, poteva avvenire solo in due casi: quello di una mente malata; e quello di chi del mondo accademico proprio non sa e non capisce nulla.

Sta di fatto che io ho un amico cinese, si chiama Lao. E Lao, di fronte a tutto ciò, mi ha raccontato una storia che mi piace condividere con i miei pochi e pazienti lettori, che se non altro, nella tragedia, troveranno forse un sorriso.

Ed ecco il racconto di Lao, la storia.

 

C’era una volta un professore universitario, il quale, nella sua economia, era riuscito ad avere la proprietà di un piccolo podere agricolo. Di esso si era sempre disinteressato, e la conduzione era affidata a un contadino pratico delle cose che andavano fatte. Ma, avvicinandosi il momento della pensione, questo professore decise di occuparsi della sua proprietà in modo più diretto, con la vaga idea, in un angolo del cervello, di ritirarsi in campagna per gli ultimi anni di vita. E così, all’improvviso, si presentò all’incredulo contadino.

 

    CONTADINO: Professore, come mai, qualcosa non va?

    PROFESSORE: No, mio caro villico, va tutto benissimo; è che ora qualcosa cambierà, ho deciso di aiutarti, e intervenire direttamente sui lavori della mia proprietà.

 

Il contadino era stupefatto. Ma come, un professore, un professore universitario vero? E cosa poteva fare, cosa era capace di fare, così ben pulitino, un po’ fighetto, con quell’aria trasognata di chi è convinto di parlare con Dio. Come immaginarselo a mungere le vacche? Il prof gli chiese:

 

    PROFESSORE: Mio buon villico, che lavori hai programmato per la settimana?

    CONTADINO: Ma, prof, ora devo contare le balle di frumento. Come vede le ho accatastate l’una sull’altra, in tanti gruppi, e devo contarle per poterle offrire al mercato, prima di tutto devo sapere quante sono.

    PROFESSORE: Bene, mio buon villico, fammi vedere e lascia fare a me!

 

Le balle, tutte più o meno uguali perché generate da una pressa, erano organizzate in tanti parallelepipedi, in una lunga fila; la maggior parte formava a sua volta una struttura standard, all’infuori dell’ultimo, incompleto. Il professore misurò le dimensioni di una balla, misurò la base e l’altezza dei vari agglomerati, moltiplicò i lati di base per l’altezza, poi, per l’ultimo, contò quante balle mancavano al completamento di un parallelepipedo perfetto, e in poco tempo concluse:

 

    PROFESSORE: Ecco: le balle sono esattamente 1735.

    CONTADINO: Ma è sicuro, professore?

    PROFESSORE: Cavolo, sono un professore universitario, se te lo dico io…

 

Inizialmente il contadino era scettico, naturalmente. Ma ci pensò un po’ sopra, e riscontrò che il numero era più o meno il solito, appena inferiore alla media (en passant: qui la ‘mediana’ è bandita per ragioni ideologiche), ma in effetti non era stato un anno florido. Decise, con un po’ di ammirazione, che il professore doveva avere ragione.

 

    PROFESSRE: Caro il mio buon villico, disse poi il prof, risolto questo problema, cosa avresti dovuto fare per la settimana ventura?

    CONTADINO: Avrei dovuto concimare tutto il campo, prof. Un lavoro noioso, lungo e pesante, che porta via molto tempo e molta fatica. Un lavoro di braccia, e di badile.

    PROFESSORE: Be’, me ne occupo io. Vediamo un po’, tu hai un carretto di legno?

    CONTADINO: E come no?

 

E così, il prof tolse un’asse sì e una no al carretto di legno, poi attaccò il trattore al carretto. Infine, disse al contadino di riempire il più possibile il carretto di letame. A questo punto, si mise alla guida del trattore, e cominciò a percorrere il campo in modalità bustrofedica. Poiché molte assi della base del carretto erano state tolte, il carretto spargeva in modo abbastanza uniforme il concime, che andava a riempire i solchi. E in un paio d’ore il lavoro fu fatto. Il contadino era stupefatto, e naturalmente la fiducia nel professore cresceva sempre di più. Gli chiese:

 

    CONTADINO: Ma come ha fatto a concepire un’idea del genere?

    PROFESSORE: Ma, mio buon collaboratore, tu dimentichi che io sono un professore universitario… Piuttosto, risolte queste cosucce, cosa avresti dovuto fare successivamente, fra due settimane?

    CONTADINO: Be’, il lavoro che vien dopo è quello di selezionare le mele. Bisogna fare due mucchi, quello delle mele buone e quello delle mele marce, o bacate, per potere portare al mercato solo le prime.

    PROFESSORE: Bene, buon amico villico, indicami dove lo posso fare, e vai pure a dormire.

    CONTADINO: Ecco, là, vede quel casotto di legno? Là sono ammucchiate tutte le mele raccolte, basta che lei faccia due mucchi, quello di quelle buone e quello degli scarti.

    PROFESSORE: Benissimo, caro amico, vado.

 

Come si sa, i contadini mangiano presto, e così fece il contadino della nostra storia, nel cui ritmo biologico era inserita una sistematica levataccia. E dopo la cena andò a dormire. Eppure quella intrusione del padrone un po’ lo turbava, lo aveva in qualche senso scosso dal suo ripetitivo tran tran, dalla sua vita ciclicamente uguale a se stessa. E così non dormiva bene, ogni tanto si girava nell’alto letto di legno (i letti in campagna sono alti per difendersi dalla sistematica passeggiata dei più diversi insetti). E dunque ad un certo punto si svegliò, andò alla piccola finestra, da cui poteva vedere il casotto dove stava operando il professore. E vide la luce ancora accesa; eppure erano le 10, che per un contadino corrispondono all’incirca alla mezza notte. Perché la luce accesa? Cosa stava facendo quella figura imprevista, strana, non immaginata? Il contadino si fece forza e tornò a letto. Ma dopo un paio d’ore si risvegliò, fece lo stesso controllo, vide la luce accesa. E allora si sentì in dovere di andare a vedere…

Si recò allora alla baracca, ed entrò. E qui quel che vide lo sorprese: il professore era seduto per terra; il volto arrossato, gli occhi stravolti, una mela in una mano e una nell’altra, lo sguardo vacuo che passava dall’una all’altra, l’espressione disperata.

 

    CONTADINO: Professore, ma che succede?

    PROFESSORE: Mio buon villico, io sono un professore universitario. Finché si tratta di contar balle e spargere merda, io non ho rivali. Ma se mi si chiede di separare le mele buone dalle marce, ecco, io sono un uomo distrutto, e faccio cazzate….”

 

Qui finisce il racconto dei mio amico Lao; ma sicuramente queste sono cose che succedono solo in Cina…

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

Category: Scuola e Università

About Maurizio Matteuzzi: Maurizio Matteuzzi (1947) insegna Filosofia del linguaggio (Teoria e sistemi dell'Intelligenza Artificiale) e Filosofia della Scienza presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Bologna. Studioso poliedrico, ha rivolto la propria attenzione alla corrente logicista rappresentata da Leibniz e dagli esponenti della tradizione leibniziana, maturando un profondo interesse per gli autori della scuola di logica polacca (in particolare Lukasiewicz, Lesniewski e Tarski). Lo studio delle categorie semantiche e delle grammatiche categoriali rappresenta uno dei temi centrali della sua attività di ricerca. Tra le sue ultime pubblicazioni: L'occhio della mosca e il ponte di Brooklyn – Quali regole per gli oggetti del second'ordine? (in «La regola linguistica», Palermo, 2000), Why Artificial Intelligence is not a science (in Stefano Franchi and Güven Güzeldere, eds., Mechanical Bodies, Computational Minds. Artificial Intelligence from Automata to Cyborgs, M.I.T. Press, 2005). Ha svolto il ruolo di coordinatore di numerosi programmi di ricerca di importanza nazionale con le Università di Pisa, Salerno e Palermo. Fra il 1983 e il 1985 ha collaborato con la IBM e, a partire dal 1997, ha diretto diversi progetti di ricerca per conto della società FST (Fabbrica Servizi Telematici, un polo di ricerca avanzata controllato da BNL e Gruppo Moratti) riguardo alle tecniche di sicurezza in informatica, alla firma digitale e alla tecniche di crittografia. È tra i promotori del gruppo «Docenti Preoccupati» e della raccolta firme per abrogare la riforma Gelmini.

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