Il despota non c’è più, ma meglio obbedire
Nell’attuale passaggio, così delicato sul piano della politica generale, le questioni dell’università non possono avere che un ascolto residuale, quando anche l’abbiano.
Purtroppo è sbagliato. È sbagliato perché un governo Monti di 3 mesi o di 15, un argine solido o meno solido nei confronti della così detta crisi, sarà relegato in qualche angolo della cronaca, fra cinquant’anni, mentre i guasti al sistema della cultura italiana saranno storia. In questo momento di forte confusione, nei conati di bilancio del morente governo Berlusconi, nessuno dei sempre più rari paladini pare più riempirsi la bocca dell’unica riforma non caratterizzata a priori come legge ad personam, la mitica “riforma epocale”, la riforma della Neutrini, della CRUI e di Confindustria. Ma non era “epocale”? Non doveva essere operativa entro l’anno di grazia 2011?
Le cose stanno più o meno così: 4 Atenei (quattro) hanno il nuovo Statuto in Gazzetta Ufficiale, più altri 4 (quattro) Atenei non statali. Una quarantina di Statuti giace per la verifica preventiva presso il MIUR, mentre oltre trenta Atenei non hanno proprio provveduto a produrre lo Statuto nei termini di legge.
In compenso, della cinquantina di decreti attuativi necessari per mandare a regime la macchina, solo 14 (quattordici) sono licenziati in GU, mentre una discreta pletora di ulteriori provvedimenti, naturalmente quelli più significativi, naviga nel limbo dei controlli amministrativi, della Corte dei Conti, delle Commissioni, degli Organi Accademici vari (CUN, CRUI, ANVUR ecc.).
Vogliamo pagare un tributo al pragmatismo dei nostri colonizzatori, visto che persino nelle materie umanistiche dovremo rinunciare alla lingua natia a favore dell’Inglese? Nuovi concorsi da professore ordinario: zero; nuovi concorsi da professore associato: zero. Assunzioni per la nuova figura di ricercatore a tempo determinato: zero. (Gli ultimi due punti, notiamo en passant, elementi qualificanti del nuovo “epocale” approccio). «How to make our ideas clear»: facile, giudicarle dagli effetti che producono. Con buona pace di Dewey e Peirce, effetto zero. Ma se a uno non piace il pragmatismo americano, si può sempre rifare al vangelo: come faremo a riconoscere i cattivi maestri? Dal frutto che dà il loro albero. Ecco, fichi secchi. Non sarà che l’epocalità è data dal fatto che tutto avverrà in un’altra epoca, non nella nostra? Peccato, mi sarebbe piaciuto esserci.
Con questi chiari di luna, qualche inguaribile ottimista ha osato sperare che la fine del poliennale “bunga-bunga party” concedesse una pausa di riflessione, si dice così, anche alla furia con cui obbedienti rettori stanno attuando non si sa quali provvedimenti, marginali ma distruttivi, di non so quale riforma di non si sa quale epoca. Ebbene no: il tempo passa e non s’arresta un’ora, dice il Poeta, e la morte s’en viene a gran giornate. Magnis itineribus; ma non per conquistare la Gallia, Sarkozy non ce lo perdonerebbe mai, perderebbe la tripla A. Esempio paradigmatico è Bologna, come sempre iscritta alla corsa per arrivare per prima. Lo Statuto non è ancora stato accettato dal MIUR, ma fa niente. Men che meno è uscito in Gazzetta, ma che importa. Le aggregazioni dei Dipartimenti non sono ancora state fatte, né sarà facile farle a breve; ma intanto eleggiamo i Direttori. E i Direttori vecchi, cioè quelli dei Dipartimenti reali e non virtuali? Che ce ne facciamo? Banale: non c’era forse ad Atene, nel momento del massimo splendore, più di un arconte? E Sparta non funzionava benissimo con ben cinque efori? E i consoli nel massimo splendore della repubblica, a Roma, non erano forse due?
Ma la cosa più singolare di tutte è questa: poiché fanno parte dell’elettorato per i nuovi direttori anche i tecnici amministrativi, e poiché proprio per quel personale si prevedono forti spostamenti interni, per cui non si sa ora dove i singoli andranno a finire, come si fa a farli votare oggi? Ma anche qui non bisogna disperare, è solo questione di fantasia: si fa un elenco, in cui si decide dove uno vota per che cosa, e lo si fa approvare al Consiglio di Amministrazione; una specie di cuius regio eius et religio. Più democratico di così.
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