Bruno Giorgini: Tornando da Parigi

| 21 Giugno 2013 | Comments (0)


Tornando da Parigi a Milano dove cambio treno, vengo a sapere che si sta svolgendo lì a due passi un raduno di nazisti europei con concerto. Chissà se partecipa anche Serge Ayoub capoguerra dei naziskin francesi, fondatore del gruppo “terza via” dove militavano alcuni degli aggressori del giovane militante di estrema sinistra Clément Méric, morto in seguito ai colpi subiti il 6 giugno, nonchè Ayoub leader di un altro gruppo consimile “jeunesses nationalistes révolutionnaires”, entrambi messi recentemente fuorilegge dal governo socialista. Un po’ troppo tardi, cioè qualche giorno dopo l’uccisione di Clément Méric, come non ha mancato di sottolineare Marine Le Pen, la leader del Fronte Nazionale, facendo rimarcare che lei, a differenza del governo di sinistra, come al solito “lassista e permissivo”, non c’aveva pensato molto per espellere i “gruppi della violenza e dell’odio” dal suo partito prima che ammazzassero qualcuno. Come dire, da che pulpito viene la predica ma intanto morde e fa male a un partito socialista (PS) che già non è in buona salute. Serge Ayoub è tutto meno che un personaggio folcloristico, o uno che sa soltanto menare le mani. Secondo le ricostruzioni di Le Monde e di Liberation, che gli hanno dedicato ampi servizi, l’uomo è intelligente, astuto, carismatico, capace di indossare i panni del ribelle e di influenzare i giovani a largo spettro oltre i tradizionali confini delle destra estrema. Lo si trova negli ultimi ventanni su molti palcoscenici televisivi e in strada a organizzare i biker, i motociclisti, tanto quanto i tifosi, le squadre di picchiatori così come i gruppi nazirock, finisce anche in galera per traffico di steroidi ma se la cava con poco, quindi per un decina d’anni si ritira apparentemente a vita privata per riemergere nel 2007 aprendo un bar privato che diventa in breve luogo di raduno e reclutamento dei giovani skin. Intanto prosperano le fortune di Marine Le Pen, almeno nei sondaggi, con una novità. Il Fronte Nazionale veniva sempre sottovalutato dagli istituti di statistica di 3- 5 punti, per la semplice ragione che molte persone intervistate non amavano dire pubblicamente, seppure in forma anonima, la loro volontà di votare l’estrema destra. Insomma c’era un po’ di vergogna come quando si va a vedere un film pornografico, tutti lo fanno, piuttosto lo facevano quando ancora esistevano i cinema a luci rosse, ma non lo raccontavano ai quatttro venti, anzi negavano. Adesso invece i potenziali elettori di Marine Le Pen, presidente del FN, proclamano a voce alta la loro predisposizione, non solo senza più arrossire ma con un certo orgoglio. E non si tratta di fascistacci intemerati. Per esempio alle elezioni municipali di Béziers si candida Robert Ménard, già presidente e fondatore di Reporters Sans Frontieres, associazione benemerita per la libertà di stampa famosa in tutto il mondo, sostenuto appunto dal FN, Marine Le Pen alle ultime presidenziali lì ottenne il 25% dei suffragi,  e a capo di una lista trasversale che vede insieme persone provenienti dalla destra e dalla sinistra, ma che “vogliono andare oltre”. Più in generale potrebbe essere che la vague bleu Marine, l’onda blu Marina, come la signora Le Pen ha battezzato la formazione che nei suoi intenti dovrebbe travalicare il FN, alle prossime elezioni europee diventi il primo partito, possibilità che fa tremare sia il PS che l’UMP, la destra classica. Il fatto è che Marine Le Pen ha davanti a sè una autostrada, quella dove si raccolgono tutti coloro che non ne possono più della troika (CE Commissione Esecutiva Europea, BCE, FMI) e neppure della politica d’austerità pangermanica, crescendo ogni giorno in Francia un sempre più ampio e virulento sentimento antitedesco.

Il fatto è che il Presidente Hollande, e il governo socialista, stanno fallendo in primis proprio sul fronte europeo. Hollande appare incerto e minuscolo di fronte a Merkel, e al netto della retorica, ormai percepita come grottesca da gran parte dell’opinione pubblica francese, non ha ottenuto alcunchè, il tanto conclamato asse franco tedesco essendo ormai un carro tirato dalla Merkel dove lei vuole. I socialisti di osservanza hollandiana ripetono sempre più stancamente che non bisogna tirar via il bambino dell’unità europea con l’acqua sporca della tedesca politica di austerità, leggi oppressione se non strangolamento dei bisogni sociali. Ma  già altri socialisti hanno dato vita a un gruppo interno, che mette il dito sulla piaga, perchè il bambino  galleggiando nell’acqua sporca nonchè nutrendosene, rischia di morire. Poi accade che il governo greco chiuda d’imperio la televisone pubblica e in Francia è un unico coro: ecco dove si va a finire dando retta all’Europa, con i socialisti hollandiani ancor più balbettanti del solito. In questo panorama compaiono fenomeni di vera e propria schizofrenia, per cui accade che in prima pagina di Le Monde un corsivo senza firma, cioè attribuibile alla direzione,  fustighi i socialisti dissidenti affermando perentorio che l’Europa non può essere messa in discussione, e in una pagina interna si distenda un articolo che più critico non si può contro la Merkel, la Germania, la CE. Insomma il compromesso europeo tentato da Hollande con Merkel è allo stato attuale carta straccia, rischiando di rendere carta straccia anche il patto tra la Presidenza francese con governo socialista al seguito, e il suo popolo, i socialisti avendo perso alla grande tutte le elezioni parziali dell’ultimo anno, nè è pensabile che i rapporti di forza nell’ambito dell’attuale oligarchia europea cambino a breve medio termine, quindi che fare. Ci vorrebbe una azione a ampio spettro per rilanciare lo spirito europeo del manifesto di Ventotene scritto da Spinelli e Colorni quando stavano al confino, introducendo una robusta dose di democrazia politica e sociale, con un parlamento europeo dotato di reali poteri, e non puro simulacro di una finta rappresentatività, ma non sarà Hollande a portarla avanti; gli mancano carisma e visione, il funzionario di partito che fu rimanendo il suo tratto distintivo.

Va detto anche che l’attuale situazione europea è figlia della sconfitta che Mitterand subì sull’Europa sociale, che infatti non si fece, tutti gli altri accordandosi sul fatto che prima di tutto doveva venire la moneta unica, che si chiamò euro, ma significava marco. Il Presidente francese obtorto collo consentì, sperando di cambiare le cose in seguito, specie attraverso un rapporto con l’URSS riformata di Gorbaciov, ma poi nacque la Russia di Putin, cadde il muro e la Germania riunificata diventò un gigante economico, restando per ragioni storiche, la sconfitta nella seconda guerra mondiale e il nazismo,  ancora confinata a un ruolo politico di secondo piano, una distorsione di cui i popoli europei pagano il prezzo oggi, non a caso Merkel era una giovane e brillante dirigente del partito comunista nella DDR che fu, seppure la signora abbia tentato di mettere in ombra questo suo passato di stalinista convinta e militante, nè mai levò una voce o parola critica. Se dall’Europa volgiamo lo sguardo all’interno Hollande non ne esce meglio, anzi, se possibile, le cose vanno peggio, perchè neppure funziona il compromesso socialdemocratico proposto dal governo socialista tra le “parti sociali”, diciamo meglio: tra le classi. Alla flessibilità e aumento dello sfruttamento dentro le aziende e sul mercato del lavoro concesse dai sindacati avrebbe dovuto corrispondere un atteggiamento “responsabile” dei padroni sull’occupazione, senza delocalizzazioni selvagge, senza un uso eccessivo del precariato e pagando le tasse. Il che non è stato e non è. Nè da una parte nè dall’altra. All’annuncio della tassa sui grandi patrimoni, poi rigettata dal consiglio di stato, il flusso di capitali esportati all’estero e di persone che hanno preso cittadinanze diverse da quella francese si è moltiplicato, con il governo completamente impotente così come impotente si è manifestato rispetto alla speculazione finanaziaria. Sull’altro versante intanto, tutti gli altri sindacati, salvo la CFDT, la CISL francese, rifiutavano l’accordo globale, dando vita a una miriade di lotte aziendali, spesso con l’occupazione e/o il blocco dei cancelli.

Neppure si è avuta una tregua dai licenziamenti, anzi per esempio il 10 giugno, giornata nera, sono stati annunciati licenziamenti alla Michelin, a Lafuma nota azienda del ramo tessile, ai grandi magazzini Virgin, ai macelli Gad di Bretagna, per oltre tremila posti di lavoro scancellati a vario titolo, mentre ne venivano prospettati altri, per esempio alla fabbrica di automobili elettriche Mia Electric, che avrebbe dovuto avere un grande futuro e invece sta, secondo la direzione, con l’acqua alla gola. Complessivamente nell’ultimo anno l’industria privata ha perso circa 165.000 (centosessantacinquemila) posti di lavoro, seppure l’attività industriale nel mese d’aprile sia aumentata del 2.2%, cioè si produce di più con meno forza lavoro, ovvero si è intensificato lo sfruttamento in modo consistente. Intanto la disoccupazione sta oltre il 10%. Ma là dove il governo misura tutta la difficoltà del compromesso sociale sono i cosidetti “emplois d’avenir”, un programma per l’occupazione dei giovani finanziato dallo stato che, oltre a una serie di vantaggi fiscali e quant’altro per chi assume, paga anche i primi tre anni di salario agli assunti. Dovevano essere nelle previsioni governative 100.000 (centomila) entro la fine del 2013, e invece a tutt’oggi (giugno) sono soltanto 25.000 (venticinquemila) in genere assunti dalle comunità locali, comuni, regioni, province … Liberation, che sostiene a spada tratta il progetto, in una sua inchiesta racconta che soltanto il 7,1% sono a tempo indeterminato, il 53% per tre anni, l’11.3% da due a tre anni, il 28.6% da 1 a 2 anni, ovvero circa il 40% sono altamente precari e il 53% precari seppure pagati dallo stato. Si tratta in genere di giovani poco scolarizzati, che altrimenti sarebbero in strada e visto in quest’ottica, quasi come programma umanitario, è benemerito ma non certo un volano per l’occupazione giovanile, come avrebbe voluto il governo. All’altro capo della scala sociale, tra i giovani laureati delle Grandi Scuole che non hanno problemi di occupazione, insomma l’elite dell’elite, circa il 25%, uno su quattro, emigra andando a lavorare all’estero, Inghilterra, Stati Uniti, Germania, Cina, e via globalizzando, con una frustrazione del mai sopito spirito nazionale di grandeur che mal sopporta questa fuga di cervelli dalla madrepatria verso lidi più stimolanti. Insomma è come se la politica del PS traballasse dal vertice alla base della società degli studi. O almeno così pare nell’immaginario sociale, nonostante proprio sul terreno di scuola, formazione e ricerca la politica di Hollande sia tutto sommato efficace e piena non solo di buone intenzioni ma anche di buone pratiche, volte a ripristinare l’eguaglianza delle possibilità e la democratizzazione degli studi soprattutto verso i giovani più privi di mezzi, spesso figli dell’immigrazione, ugugalianza devastata da anni di politica della destra. Uguaglianza fino alle Grandi Scuole appunto, con corsie privilegiate e quote riservate agli studenti dei licei della banlieue e/o di provincia.

Tornando verso i lavoratori, ecco lo sciopero dei ferrovieri del 13 giugno, sciopero di una giornata – 24 ore – molto seguito che ha paralizzato l’intero traffico, dai treni regionali ai TGV.  Uno sciopero per il controllo operaio, senza alcun altro obiettivo. Di fronte alla volontà della direzione della SNCF, la società ferroviaria, di avviare un piano di ristrutturazione, i ferrovieri hanno deciso che nessuna ristrutturazione può essere configurata senza la loro partecipazione diretta, fin dall’inizio. E ancora una volta si tratta anche di confrontarsi con le linee europee, privatizzazione di alcuni servizi, esternalizzazioni, riduzione del bilancio e quant’altro, dietro cui la direzione si fa scudo. Molti pensavano che fosse troppo ideologico e quindi fallisse, mentre è riuscito alla grande con percentuali di scioperanti bulgare come si suol dire, ponendo al centro della scena sociale il problema vero a tutto tondo: chi decide dell’organizzazione del lavoro e degli indirizzi produttivi. Se è questione solo dei padroni o manager che dir si voglia, poi il sindacato accetta o propone modifiche qua e là, o se invece le maestranze abbiano il diritto ab origine di metterci le mani e le teste. Il movimento dei ferrovieri così possente si incrocia poi con la proposta di una riforma delle pensioni per cui il governo ha convocato una conferenza sociale, per ora tanto piena di parole quanto vuota di contenuti. Hollande sa che rimettere mano alle pensioni significa camminare sulle uova, e che il rischio di scatenare un movimento sociale di grande ampiezza è dietro l’angolo, ma anche qui gli impegni europei incombono mettendo, il presidente francese tra l’incudine  e il martello.

Senza dimenticare che l’attuale governo deve fare i conti sia con la sinistra PS, che con il Front de Gauche di Mélenchon e con un PCF molto attivo. Le misure più critiche che il rapporto dell’apposita commissione suggerisce sono, in breve, l’aumento del tempo di contribuzione da 41 anni e tre mesi a 43-44 anni, il calcolo per gli impiegati pubblici su gli ultimi diecianni invece che sugli ultimi sei mesi, nonchè aumenti fiscali variamente distribuiti. Infine un debolezza maggiore del pensiero socialista, quella di riferirsi a una “crescita”, vista soltanto come aumento del PIL, e misurata dagli incrementi di produzione industriale e dei consumi interni, sempre più illusoria e evanescente, senza mai prendere sul serio il problema di una riconversione ecologica,  dei consumi e dei modi di vita tanto quanto della produzione.  Col che quando in Italia arrivo alla stazione sotterranea di Bologna, forse frutto di un incubo certamente manifestazione di uno spreco terrificante, e per soprammercato sento le epurazioni ordinate dal Grillo che abbaia ma non morde i padroni del vapore, bensì gli eletti dissidenti del M5S che non chiedono perdono (sic), indi ascolto Letta nuovo cavallo di razza democristiano dirmi che il governo delle larghe intese durerà forse cinque anni , beh mi viene voglia di riprendere subito il treno verso le terre di Francia e Navarra dove, per quanto Hollande sia pencolante, almeno una sinistra esiste e tenta di governare, mentre a livello sociale corrono persino gli scioperi, quelli di otto ore e coi picchetti, un’arte che in Italia sembriamo avere del tutto dimenticato.

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Category: Politica

About Bruno Giorgini: Bruno Giorgini è attualmente ricercatore senior associato all'INFN (Iatitutp Nazionale di Fisica Nucleare) e direttore resposnsabile di Radio Popolare di Milano in precedenza ha studiato i buchi neri,le onde gravitazionali e il cosmo, scendendo poi dal cielo sulla terra con la teoria delle fratture, i sistemi complessi e la fisica della città. Da giovane ha praticato molti stravizi rivoluzionari, ha scritto per Lotta Continua quotidiano e parlato dai microfoni di Radio Alice e Radio Città. I due arcobaleni - viaggio di un fisico teorico nella costellazione del cancro - Aracne è il suo ultimo libro.

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