Nello Rubattu: I profughi arrivano in Sardegna. La gente reagisce bene, gli attori dell’informazione no.

| 14 Giugno 2015 | Comments (0)

 

 

In questo  periodo in Sardegna, cominciano ad arrivare vagonate di profughi. Sono una parte di quelli che sono stati recuperati vivi dalle carrette dei mari e sbarcati nei porti siciliani. Si tratta delle famose “quote” assegnate da questo governo di folli alle regioni. Sono gli stessi che le regioni del Nord: Lombardia, Piemonte e Veneto in particolare – ma gli altri non è che si stiano comportando in maniera molto diversa – non vogliono in mezzo alle balle. Non sanno dove metterli e non sono attrezzati per accoglierli. Inutile dire che la loro parte di ragione l’hanno tutta.

Ma la verità è che alcune forze politiche – la Lega, Fratelli d’Italia e i loro sgherri purulenti di casa Pound – invece che fare quadrato su una emergenza e rimboccarsi le maniche per migliorare l’accoglienza, stanno trasformando il problema in un argomento da arena per discussioni fra polli televisivi: “Ricacciateli in mare; Assaltate i barconi; murate i porti; sono dei poveracci; non avete pietà; è inumano, pensate ai nostri poveri”. Una lite da fuori porta. dove gli unici che ci perderanno saranno questi sfigati arrivati con i loro carichi di dolore, di miseria, di vite spezzate e di malattie sulle nostre coste.

La cosa più assurda è che l’Italia, i soldi per mettere in piedi una buona organizzazione di prima accoglienza li avrebbe. Ma tutti sembrano volersi dimenticare che fra le tante cose che gli italiani pagano c’è anche una tassa per tamponare le emergenze umanitarie. A quei soldi, bisognerebbe aggiungere a quelli che arrivano dall’Unione europea. Ma, guarda un po’: ogni volta che spunta un’emergenza umanitaria, di questi soldi non se ne sa nulla. Tanto meno si sa come vengono spesi. L’unico spettacolo a cui si assiste sono le interminabili carrellate mediatiche di marinai che salvano e volontari che vanno a dare “volontariamente” una mano. Le brave persone, per fortuna, esistono ancora a questo mondo e ogni tanto un grazie non sarebbe male darglielo!

E lo Stato?

Lo Stato, si materializzaa con i prefetti e i questori, tutti belli lindi che con abito di buon taglio rispondono alle domande “intelligenti” dei soliti giornalisti che a dire che fanno incazzare è dire poco: “Come va? Come li avete trovati? C’era una donna in cinta che ha partorito sul barcone? E di quella che ha trasportato per seimila chilometri un gattino cosa ne pensiamo?”. Insomma le stronzate aumentano e hanno il loro clou, quando arriva l’inquadratura della solita crocerossina capa (De André, la descriverebbe come una esperta in anticaglie) che con un’aria da Madonna trafitta, ci spiega che la croce rossa sta intervenendo. Come se la Croce Rossa fosse nata per organizzare gite fuori porta!

Meglio lasciare perdere: tutti sappiamo che il circo degli aiuti in Italia, ha sempre ingrassato organizzazioni e cooperative legate a doppio filo al solito luna park politico… e in maniera infame. Forse mafia capitale vorrà pur dire qualcosa o i ladri sono solo Buzzi e Carminati? La cosa più allucinante è che un minimo di buona pratica da Stato democratico la si dovrebbe imparare e che farsi ricordare dal presidente leghista del Veneto che questo governo di imbelli, si è fatto fregare persino dai suoi partner dell’Unione europea, nonostante tutti abbiano sottoscritto un piano di aiuti comunitari strombazzandolo come una vittoria a mezzo stampa dal prode Renzi.

Verrebbe da chiedere: cosa sta succedendo? Come mai uno Stato sovrano (ma l’Italia lo è?), non chiede il rispetto delle risoluzioni adottate: sia in termini di quote di profughi da ospitare che di organizzazione dei recuperi in mare. Alle campagne di salvataggio di questi poveracci che arrivano da situazioni dove neanche i cani sopravviverebbero, per adesso, si vedono solo le navi italiane: le marinerie maltesi, spagnole, portoghesi, francesi, belghe, olandesi, svedesi, danesi, dove diavolo sono?

Sta succedendo qualcosa in quei Paesi dell’Unione europea che non sappiamo? E’ in corso qualche catastrofe biblica? Uno tsunami? E’ saltata una centrale nucleare? Niente non sta succedendo niente. Semplicemente stanno adottando la tattica del “vai avanti tu che a me scappa da ridere”. Nessuno si vuole prendere la responsabilità di accogliere quei poveracci. Sembra di sentire un coro di gente che canta – ve la ricordate? – una canzone di Jannacci: quella del “se me lo dicevi prima”. Eppure tutti i “lor signori” europei, che si vedono in giro per il mondo a disquisire su rapporti Usa-Russia, Ucraina, fame nel mondo, democrazia in Turchia e via cantando, sanno che quelli che stanno arrivando con i barconi, sono semplicemente una massa di poveracci che non possono fare altro che scappare da un disastro umano che non ha veramente confini.

Poi, ovviamente, nessuno parla del fatto che quando arrivano vengono semplicemente trattati da miserabili dalle autorità e che la gente li percepisce da una parte con pietà e dall’altra con rabbia. Con in più da aggiungere che i giornali, su questa disgrazia ci tocciano alla grande il biscotto.

Tutto il circo dell’informazione a cercare uno spazio per dire fesserie, a inquadrare volti smunti, camerate linde e pulite di accoglienza e tutti: nei bar, sui luoghi di lavoro (dove ancora ne esiste, di lavoro), nelle scuole, a disquisire sul problema. Con una sequela di fesserie che sembrano non avere fine. Perché, la sensazione che ha la gente del problema è davvero contraddittorio… e pericoloso: non è razionale, non si basa su dati reali ma su letture spicciole. Si va per luoghi comuni e per sentito dire. Che sono la base per qualsiasi intolleranza. Il terreno più fertile.

In Sardegna, molti vedono in questi profughi semplicemente i sopravvissuti dalla follia africana, i prodotti tragici di secoli di colonialismo. Altri, dei nemici, dei rompiballe che vengono in Sardegna a rubare spazi  e possibilità a gente già di loro in crisi profonda: “Ma come, noi stiamo vivendo con i pochi spiccioli che  riusciamo ancora a recuperare e questi vogliono più di noi? Cosa pretendono l’albergo a cinque stelle?”. Sembrano ragionamenti da bar, ma sono molto più diffusi di quanto si creda.

Da dove nasce questo modo di vedere il problema? Soprattutto: perché viene fomentato in maniera così folle dai media e dalle autorità che sembra non vogliano pensare alle conseguenze? Cominciamo a sottolineare i comportamenti incredibili degli attori dell’informazione. Umanamente, non si riesce a capire se quei giornalisti utilizzano certi toni “letterari” per un eccesso di sensazionalismo o per dare corpo a strani piani di chissà quale centrale terroristica internazionale. Perché, davvero, i volontari – che sono accorsi per sopperire alle mancanze dello Stato, della protezione civile e delle cooperative a cui è stato demandato l’organizzazione dei soccorsi – descrivono una realtà completamente diversa. I primi a meravigliarsi sono stati proprio i volontari che hanno capito “nella pratica” che le condizioni di accoglienza sono state a dir poco insufficienti e inefficienti. Perciò, non riescono a capire come mai le cronache non lo rilevino e le normali proteste dei profughi, vengano ingigantite dai giornali isolani, chiamandole – addirittura! – “Rivolte!”.

“Ero alla scuola di Santa Maria la Palma [dove sono arrivati 94 profughi, vedi le due foto in alto], con un altro mi sono dato da fare per recuperare dei rubinetti e agganciare dei tubi per le docce”, scrive un ragazzo di Sassari; “Non c’era neanche un cesso, ho chiamato un mio amico a darmi una mano e metterne in piedi qualcuno volante. Abbiamo recuperato delle tazze da un muratore che li aveva in magazzino”. “Quali rivolte? Quando siamo arrivati noi nella scuola dove li hanno ammassati, non avevano neanche dei  cambi di vestiti… e neanche da mangiare. Si sono dovuti organizzare quelli della frazione di Santa Maria la Palma per fornirgli un po’ di cibo!”, scrivono scandalizzati molti di questi ragazzi loro sui loro blog. Ragazzi nella maggior parte che sono riusciti ad organizzarsi cammin vedendo, tramite internet, fra amici, dando vita a collette per procurare persino mutande e scarpe. Inoltre, sui loro siti, si assiste ad una infilata di volti di profughi che non sembrano intenzionati a combinare “rivolte”: profughi che si fanno fotografare con i volontari e che con loro organizzano pasti collettivi. Basta farsi un giro sulla rete per capirlo.

Ma se non si vuole proprio vedere non ci sono cristi che tengano. Per esempio, in questi giorni, i profughi che vagavano per la frazione di Palmadula [vedi due foto in basso], venivano letteralmente protetti dalla gente che li invitava al bar, li offriva acqua e caffé e molti se li prendevano a mangiare a casa. Non è gente ricca quella che abita nelle frazioni vicine a Sassari e non voglio di certo dire che i sardi sono migliori degli altri esseri umani sulla terra. Voglio dire che non bisogna pensare che non esistano gli stronzi, quelli verranno fuori e a pacchi.

Ma la domanda che ci si dovrebbe fare è invece un’altra: da dove vengono fuori, allora, certe cronache giornalistiche? Cosa si tenta di suscitare?  Cosa  si sta cercando di nascondere? Forse che queste emergenze bibliche sono suscitate da una cattiva gestione delle risorse globali e che fino a quando non si capirà che bisogna intervenire con un minimo di progetti saranno dolori per tutti?

Lo so è un ragionamento del cazzo che sembra non abbia per niente a che fare con la concretezza del problema e con la necessità di intervenire subito e in maniera efficiente. Ma bisogna anche pensare che alcune domande bisogna cominciare a porsele. Perché quei profughi che oggi accogliamo, sono semplicemente la punta di un brutto e pericoloso iceberg, di cui continuiamo a fare di tutto per non vedere.


E allora, vediamo il problema da altri punti di vista. Non sarà il migliore ma almeno speriamo serva a far riflettere. Un operaio, un impiegato o un professore guadagna lordi mediamente 27 mila euro l’anno. Quanto guadagna, invece, l’amministratore delegato della WPP, una società di advertising inglese? 45 milioni di sterline, un 60 milioni di euro l’anno, tanto per intendersi. Con quella cifra, quanta gente potrebbe vivere, per esempio, in Sardegna? diciamo 10.000 persone? In pratica, gli abitanti di Thiesi e dell’intera regione storica del Meilogu.

Uno potrebbe dire: vuoi fare il comunista? Manco per nulla: semmai il liberale. I grandi economisti liberali sono infatti convinti che qualsiasi guadagno che sfora certi meccanismi di equità, sono portati a diventare una turbativa di mercato e lo droga.

Lo droga perché fa aumentare, per esempio, i fenomeni corruttivi (per stabilizzare i guadagni si giustifica qualsiasi colpo basso); produce disaffezione al lavoro (cosa vuol dire lavorare onestamente se poi i risultati non vengono equamente distribuiti?); aumenta i fenomeni di scontri e alleanze fra colossi; blocca il gioco della concorrenza; e soprattutto aumenta a dismisura i costi per difendere lo statu quo. In pratica i “costi d’apparato” salgono sempre più a discapito di quelli legati all’innovazione.

Uno potrebbe dire: “E’ sempre stato così. Se un tempo non era la finanza, era la guerra fra blocchi. Russia contro Stati Uniti; Spagna dell’invincible armada contro Inghilterra di Elisabetta e così via”.

Tutto vero.

Con un piccolo particolare: le guerre, non hanno mai favorito il miglioramento delle condizioni di vita, ma hanno agito solo sulla distribuzione delle ricchezze che a quel punto passano di mano a favore delle nuove classi dei vincenti.

In guerra, inoltre, non si ridistribuiscono utili, ma si reinveste soprattutto in armi. Questa è la regola. Che vuole anche dire che la ricchezza, alla fine, si concentra nelle mani di sempre meno persone. Le guerre, dicono molti economisti, sono convenienti solo a chi le vince, quasi mai a chi le perde. In questi ultimi secoli, solo la Germania e il Giappone, sconfitte nella seconda guerra mondiale, sono riuscite a rimettere in ordine i loro conti. La loro fortuna è però da ricercare nel fatto che sia la Germania che il Giappone, servivano agli Stati vincenti per riequilibrare in Europa come in Asia l’avanzata del comunismo. I piani Marshall del secondo dopoguerra, sono serviti solo per stabilizzare il modello americano. Anche questo è pacifico.

E’ però di fatto vero, che la ricchezza mondiale non è per niente aumentata, anzi, è vero il contrario: i miglioramenti vi sono stati solo nell’ambito del modello di vita occidentale. Ma questo non ha impedito alla povertà, alla denutrizione di colpire sempre più persone al mondo: per tre miliardi di persone, la povertà estrema, non è per nulla diversa da quella che si sono ciucciati gli abitanti poveri del Medioevo europeo. Inoltre, la ricchezza che noi conosciamo, non si è per niente diffusa in maniera armonica: oggi le 300 persone più ricche al mondo, possiedono la stessa quantità di soldi di quei tre miliardi di persone sotto la soglia di povertà di cui abbiamo appena detto. Non lo dico io ma quelli del MIT di Boston.

Ma sono in molti quelli che in questi anni hanno cercato di dare modelli di intervento al problema. la tesi che si è cercato di sviluppare è che se non si risolvono certi dislivelli a livello globale non si salva nessuno. Paul Krugman, premio Nobel nel 2008, ha scritto un libro “la coscienza di un liberal”, in cui, oltre ad analizzare la storia politica degli Stati Uniti, si soffermava sulle accentuazioni delle ragioni che stanno portando ad un aumento del divario tra le classi, auspicando l’attuazione di un altro new deal . Sempre Krugman nel 2012, ha pubblicato un  altro suo libro”Fuori da questa crisi, adesso!” che per correggere le cause della crisi attuali, forse sarebbe stato opportuno ripensare ad un ritorno dello Stato in funzione di attore economico.

Quale sia il modello da seguire è difficile come al solito affermarlo, ma sta di fatto che la “fortezza occidentale”, è in un periodo di crisi pericolosa; e tale crisi sembra sempre di più accelerarsi a causa del divario fra Nord e Sud del mondo.

La cosa peggiore è che la ricchezza globale del mondo  – in termini di beni primari – sta diminuendo. O per meglio dire, è regolata in maniera sbagliata: si producono cioè, beni che non servono alla sopravvivenza dei popoli che le producono… e se questo è l’andazzo, irreparabilmente il divario fra i poveri totali e i possessori di ricchezze aumenterà sempre di più.

Cosa può accadere di realistico in una situazione di questo tipo? Semplice: aumenteranno i  conflitti regionali. Anzi: molti di questi diventeranno stabili e dureranno epoche storiche, non solo qualche decennio, bisogna ricordare. Molti lo sono già adesso: basta pensare alle aree di conflitto in Medioriente (Palestina, Siria, califfati vari), dell’Iraq, dell’Afghanistan, dello Yemen, della Somalia e senza contare i molteplici conflitti in Africa… o quelli in Asia: mai sentito parlare di permanenti stati di guerra nelle Filippine o in Nuova Guinea?

Quei conflitti, sono direttamente funzionali al modello di divisione dei compiti fra aree ricche del pianeta e aree povere? Quanto durerànno? I geografi politici dicono che questo modello di comando scomparirà, non appena i movimenti migrativi provocati dalla fame e dalle guerre, travolgeranno le frontiere degli stati ricchi.

La povertà, è più forte di qualsiasi fortezza!

Perché le fortezze cadono nella maggior parte proprio per la pressione di popoli poveri che non hanno niente da perdere. Qualsiasi studioso militare spiegherebbe meglio di me che in millenni di storia. non è mai esistita una città in grado di uscire indenne da un assedio. Un assedio rallenta  la vittoria degli assedianti ed è, in pratica, solo un deterrente che nel migliore dei casi accelera le trattative per la risoluzione del conflitto con i minori danni possibili fra le parti.

Questo è il suo limite.

I barbari sono sempre i più forti. Anche perché a regolarli non sono le intelligenze raffinate dei Think thank internazionali, ma le esigenze primarie di una massa disordinata di esseri umani alla ricerca di una strada per la loro pura e semplice necessità di sopravvivenza.

I poveri, in effetti, non sono interessati a sapere quanti di loro moriranno, perché sanno che morirebbero comunque di fame

Si possono trovare strade alternative? Come al solito ci sono e sono molto semplici: togliere la ricchezza dalle mani di pochi, aumentare la distribuzione orizzontale dei privilegi, istituire regole mondiali di equità per tutti, aumentando l’accesso a un minimo di benessere a molti più abitanti del pianeta, diminuendo gli sprechi e salvaguardando le ricchezze collettive a livello planetario.

Ma questo vorrebbe dire, diminuire i privilegi dell’Occidente e i livelli standard della loro vita.

Sarà mai possibile? Oppure la gente in Occidente, chiederà un rafforzamento delle barriere di difesa? Probabilmente quest’ultima sarà l’ipotesi attualmente in grado di vincere.

Solo le elitès sociali potrebbero agire in senso contrario e solo in quel caso si potrebbe ragionare in termini di cambiamenti più o meno pacifici degli equilibri geografici.

Difficilmente accadrà: sarà molto probabile che le elites, vorranno mantenere i loro privilegi e quindi saranno portati ad aumentare i loro sistemi di difesa. Il bello è che gli abitanti dell’Occidente, poveri o benestanti che siano, nella maggior parte dei casi approveranno tali scelte. Semmai utilizzando diverse scale cromatiche di intervento, ma tutti riterranno giusto difendere dei diritti percepiti come fondamentali.

Solo che per aumentare la difesa, ovviamente, dovranno aumentare le spese militari e aumentando queste, le elites, si troveranno a risolvere un duplice problema: da una parte mantenere certi standard di vita acquisiti, dall’altra saranno costretti ad aumentare la rapina delle risorse generali: le bombe sismiche, il fracking, la deforestazione, per esempio, sono il frutto di questa continua ricerca di mantenere in Occidente i suoi standard di civiltà. Solo che così si impoveriranno sempre più intere popolazioni a livello mondiale.

A quel punto la fortezza occidentale crollerà, perché aumenteranno le pressioni esterne e mancheranno le braccia e gli strumenti di riequilibrio: molti si sono beati pensando che lo sviluppo scientifico (robotica e informatica, tanto per ricordarlo), avrebbero prodotto fenomeni di riequilibrio e portando per questo l’Occidente a un nuovo rinascimento umano. Un rinascimento, per altro, che non dovrebbe avere come presupposto il problema del lavoro, ma la sua progressiva eliminazione, quantomeno per questa parte di mondo. E’ vero che questo è diminuito ed è aumentata (almeno dalle nostre parti),  la ricerca scientifica, ma non ha diminuito, le condizione di miseria di intere popolazioni a livello globale.

Il problema del disequilibrio rimane tutto e anzi sembra aumentare. Fantascienza? Futurologia da supermercato? Può essere.

Certo, per il momento, le spinte centrifughe sono stoppate da meccanismi di guerra di difesa e dall’uso di potentati locali in guerra fra di loro e con il loro sudditi. Ma, fino a quando durerà?

Perciò, quando personaggi come Salvini o Le Pen, parlano di difesa del nostro modello di vita e sognano di chiudersi nella fortezza occidentale,  si dovrebbe semplicemente sottolineare che se non siamo alla stretta finale ci si è molto vicini.

Sia ben chiaro, il disastro forse io, manco lo vedrò per un problema di età, ma rischiano di subirlo le generazioni che verranno. Perché è folle che i prossimi sei miliardi di individui poveri (questo è il numero che si presume sarà in un quadro di dieci miliardi di abitanti della terra prossimo futuro), smettano di tentare di raggiungere la fonte della ricchezza.

Chi potrà mai impedirlo? Soprattutto lo impediranno mai queste politiche restrittive e di difesa? Ho i miei dubbi.

Bisogna che lo si tenga ben presente: la fame e la necessità di sopravvivere, hanno distrutto tutti gli imperi che storicamente abbiamo conosciuto. Perché nessuno, ma proprio nessuno, può sognarsi di salvarsi dall’assalto di sei miliardi di persone. Non capirlo è da pazzi.

 

 

 

Category: Migrazioni, Osservatorio Emilia Romagna, Osservatorio Sardegna

About Nello Rubattu: Nello Rubattu è nato a Sassari. Dopo gli studi a Bologna ha lavorato come addetto stampa per importanti organizzazioni e aziende italiane. Ha vissuto buona parte della sua vita all'estero ed è presidente di Su Disterru-Onlus che sta dando vita ad Asuni, un piccolo centro della Sardegna, ad un centro di documentazione sulle culture migranti. Ha scritto alcuni romanzi e un libro sul mondo delle cooperative agricole europee. Attualmente vive a Bologna

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