Vincenzo Comito: La Cina e il Pil sottovalutato

| 24 Settembre 2014 | Comments (0)

 

 

Diffondiamo da www.sbilanciamoci.info del 24 settembre 2014

 

Notizie sulla Cina Il Pil cinese dovrebbe nel 2014 superare come dimensioni globali quello degli Stati Uniti. Ma come funziona l’apparato statistico cinese? Pubblichiamo il primo di quattro articoli dedicati all’analisi di alcuni sviluppi recenti che riguardano il mondo cinese

Qualche mese fa, come è noto, un’organizzazione del gruppo della Banca Mondiale ci ha informato che il pil cinese dovrebbe nel 2014 superare come dimensioni globali quello degli Stati Uniti, almeno utilizzando per il calcolo relativo il criterio della parità dei poteri di acquisto; e da allora non è successo niente che possa far pensare ad una qualche modifica nella previsione. Secondo un’agenzia statunitense, The Conference Board, tale evento si sarebbe forse già verificato nel 2012.

Da rilevare peraltro che i cinesi, come risulta dalle notizie di stampa, hanno cercato di impedire la pubblicazione dell’informazione della Banca Mondiale, mentre anche gli Stati Uniti non ne hanno comunque avuto grande piacere. Il fatto è che ambedue i paesi hanno interesse a non sottolineare notizie di questo tipo, i cinesi per una tendenza di fondo a mantenere una scarsa enfasi sui loro crescenti successi economici, gli statunitensi per una ovvia questione di prestigio e, in prospettiva, di potere. La notizia, anche per questo, non ha avuto comunque il clamore che meritava e così il sorpasso della Cina sugli Stati Uniti si sta nella sostanza svolgendo in questi anni in sordina, come ci ricorda Martin Jacques (M. Jacques, 2012).

Ricordiamo a questo punto come negli anni della guerra fredda, quando i russi annunciavano che in un certo anno l’economia sovietica era cresciuta del 7% e più, in realtà essa era aumentata di molto meno, ma gli Stati Uniti, che conoscevano la verità, facevano finta di credere all’informazione ufficiale del nemico perché essa sosteneva gli interessi della loro politica di potenza e faceva marciare a ritmo molto sostenuto il loro complesso militare-industriale.

Questi episodi ci portano a ricordare come le statistiche economiche, come più in generale quelle politicamente sensibili, sono soggette ad essere manipolate dal potere politico per evidenti ragioni strategiche.

Un esperto di economia industriale, Michael Kami, diversi decenni fa sottolineava come i governi mentano sistematicamente per quanto riguarda la divulgazione di statistiche importanti ed egli arrivava a calcolare il lie factor caratteristico di ogni governo; se ricordo bene tale fattore, per quello statunitense, era calcolato intorno al 20%. Il che significava che se l’allora presidente in carica, Ronald Reagan, annunciava che il livello di inflazione in un certo anno si era collocato intorno al 4,0%, aggiungendovi il 20% di menzogna si otteneva la cifra vera, che era quindi quella del 4,8%.

Da allora, comunque, la situazione potrebbe essere migliorata, ma la questione aleggia sempre nel mondo. Per esempio, alle statistiche ufficiali argentine degli ultimi anni relative alla crescita del pil o dell’inflazione nessuno crede più, mentre alla veridicità di quelle greche di qualche anno fa tutti hanno semplicemente fatto finta di credere. Per altro verso, qualcuno forse ricorda gli attacchi che i membri dei governi Berlusconi ogni tanto rivolgevano all’Istat per la pubblicazione di dati piuttosto scomodi.

A volte, peraltro, le statistiche di un paese tendono ad essere distorte anche semplicemente per l’esistenza di carenze nell’apparato tecnico dello stesso paese. Così, nell’ultimo periodo alcuni stati africani hanno rifatto i conti relativi alle loro economie con delle metodologie più moderne e hanno quasi sempre trovato che il loro pil era notevolmente superiore a quanto precedentemente si pensasse. La Nigeria, dopo la rivalutazione dei suoi dati, è diventato il paese africano con il pil più alto, superando il Sud-Africa, che era precedentemente valutato come il più ricco paese del continente.

Le statistiche cinesi

E veniamo di nuovo alla Cina. Ricordiamo come agli inizi del Novecento un geografo anarchico di grande valore, Elisée Reclus, dopo un soggiorno in Cina, valutava che nessuna cifra di tipo economico sul paese appariva attendibile. L’osservazione di Reclus metteva l’accento in realtà sul fatto che tradizionalmente nella cultura cinese le statistiche non avevano grande valore né erano seguite con molta attenzione. La situazione da allora è certo migliorata, culturalmente ed operativamente, ma essa permane per molti versi complicata.

Intanto, i cinesi stanno forse comportandosi come i russi qualche decennio fa? Nel caso del paese asiatico le spinte ad abbellire la realtà, almeno a livello di statistiche nazionali relative al pil, non sembra essere veramente molto presente (Yukon Huang, 2014); piuttosto si può parlare, almeno sul fondo, oltre che di qualche reticenza, di persistenti debolezze nell’apparato statistico nazionale, anche se esse sembrano in via di superamento.

Se c’è una qualche malizia nella pubblicazione delle statistiche cinesi, essa è stata, almeno sino a qualche anno fa, quella di “attenuazione delle punte”, nel senso che negli anni di crescita economica più forte le statistiche ufficiali tendevano a ridurla, mentre negli anni di sviluppo più debole si tendeva a incrementare un poco le stime; ma il trend di fondo mostrato ufficialmente appariva probabilmente abbastanza coerente con le informazioni possedute dalle autorità. Va comunque sottolineato che qualche volta, per quanto riguarda alcune informazioni sensibili, i dati sono molto carenti ed approssimativi, come ad esempio se ci si chiede su quanto sia elevato il numero dei lavoratori migranti o come si presenti nella realtà la distribuzione del reddito tra gli abitanti del paese.

Esistono apparentemente dei punti deboli nelle statistiche cinesi anche più recenti. In termini generali va sottolineato che in realtà il livello del pil cinese è probabilmente e tradizionalmente sottovalutato in misura rilevante. Per tenere conto di questo fatto ci sono state in passato delle rivalutazioni una tantum dello stesso. Così nel 1993 nuove stime hanno portato ad aumentare il pil del 10% e nel 2004 la crescita media del pil del precedente decennio è stata portata dal 9,2% annuo al 9,9% (Yukon Huang, 2014).

Così la Morgan Stanley, ancora nel 2008, affermava che il pil cinese era sottovalutato del 30%.

Se queste valutazioni fossero corrette questo significherebbe, tra l’altro, che la previsione fatta qualche tempo fa da alcuni esperti, secondo la quale nel 2030 l’economia cinese potrebbe risultare più grande come dimensioni quantitative di quella statunitense e di quella dell’Unione Europea messe insieme appare a questo punto un po’ meno improbabile di come poteva sembrare a molti qualche tempo fa.

La sottovalutazione del pil nelle statistiche cinesi sembra dovuto essenzialmente al fatto che tradizionalmente le metodologie impiegate erano basate su di una cultura che mirava soprattutto a misurare il livello della produzione industriale tangibile e quello degli investimenti, mentre trascurava fortemente il settore dei servizi e quello dell’economia informale. Ora la Cina ha adottato le metodologie delle Nazioni Unite e quindi dobbiamo aspettarci, dopo un necessario periodo di perfezionamento ancora in atto, dei valori più attendibili.

Così la sottovalutazione del pil appare legata a delle carenze tecniche più che a tentativi di manipolazione.

Una cosa che colpisce da molto tempo nelle statistiche cinesi da molto tempo appare il basso livello dei consumi, che si aggirerebbero, secondo le cifre ufficiali disponibili sino a qualche tempo fa, intorno al 35% del pil, mentre corrispondentemente risulterebbe un altissimo livello degli investimenti, intorno al 48% dello stesso pil. In particolare appaiono sottovalutati i consumi personali.

Una struttura di questo tipo appare anomala per un paese del livello di sviluppo cinese. Così studi recenti sembrano suggerire che il livello dei consumi si aggira in realtà intorno al 45% mentre corrispondentemente quello degli investimenti verrebbe ridimensionato al 38%, cifre che sarebbero più ragionevoli e del resto sarebbero in linea con informazioni a portata di mano tutti i giorni, informazioni che vedono la forte crescita dei consumi di lusso nel paese ed in particolare di beni di consumo durevoli.

Conclusioni

Certo molte statistiche economiche cinesi sembrano non molto solide, più apparentemente per incuria metodologica che per una volontà deliberata di nascondere la realtà. Provando a tener conto di questo fenomeno, delle valutazioni abbastanza equilibrate portano a pensare che la Cina, dopo essere diventato il primo paese esportatore del mondo, poi il primo commerciante globale, sia ormai diventata anche la prima economia del mondo; e molti altri primati dovrebbero seguire nei prossimi anni. Questo pone, come sempre in casi analoghi nella storia, un oggettivo rischio di conflitti anche pesanti con l’attuale potenza egemone, gli Stati Uniti, che sono oggi ben lontani dall’immaginare di poter perdere il primato economico, politico, militare.

L’articolo che seguirà cercherà di dar conto di alcune tematiche legate a questo possibile contrasto tra le due potenze.

 

Testi citati nell’articolo

-Comito V., La Cina è vicina?, Ediesse, Roma, 2014

-Jacques M., When China rules the world, Penguin books, Londra, 2° ed., 2012

-Yukon Huang, China misleading economic indicators, www.ft.com, 29 agosto 2014

 

Category: Osservatorio Cina, Osservatorio internazionale

About Vincenzo Comito: Vincenzo Comito (1940), ha lavorato per molti anni nell’industria (gruppo Iri, Olivetti) e nel movimento cooperativo, nelle aree dell’amministrazione e finanza, del controllo di gestione e del personale. Da molti anni docente di finanza aziendale prima all’Università Luiss di Roma, attualmente insegna all’Università di Urbino. Fa parte del gruppo “Sbilanciamoci”. Tra i suoi libri: Idee e capitali. Mercati finanziari e decisioni di impresa, Isedi 1994; Idee e capitali. Modelli strumenti e realtà della finanza aziendale, Utet 2002; Storia delle finanza d'impresa. Dalle origini al XVIII secolo, Utet, 2002; Storia della finanza d'impresa. Dal XVIII secolo ad oggi, Utet 2002; L'ultima crisi, la Fiat tra mercato e finanza, L'Ancora del Mediterraneo 2005; Le armi come impresa. Il business militare e il caso Finmeccanica, Edizioni dell'Asino 2009; La fabbrica dei veleni. Il caso Ilva e la crisi della siderurgia (con Riccardo Colombo), Edizioni dell'Asino (marzo 2013)

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