Simone Pieranni: La via della seta polare portata avanti dalla Cina

| 30 Gennaio 2018 | Comments (0)

An iceberg floating in South Greenland. The glaciers of Greenland are contributing to a rise in the global sea level at a faster rate than was previously believed but global warming is also an opportunity for Greenland to develop agricolture and access his natural resources.

 

1. Simone Pieranni: Se la Cina porta avanti il progetto  della Via della seta polare (da estwest.eu del 30 gennaio 2018)

Il passaggio a nord-est nella bella stagione è diventato più veloce e sicuro della via meridionale. E presenta meno insidie geopolitiche. Così Pechino progetta di dirottare nell’Artico una quota crescente delle sue merci. Ma se punta a nord, a perderci sarà il sud, Italia in testa

La scorsa settimana Pechino ha pubblicato il suo Libro bianco sulle politiche cinesi per l’Artide. Nel documento pubblicato dal Consiglio di Stato cinese (il governo di Pechino) si esprime la volontà di “comprendere, tutelare, sviluppare e partecipare congiuntamente alla governance dell’Artide, e avanzare la cooperazione relativa alle questioni artiche nel contesto della Belt and Road Initiative”, ovvero il progetto della Nuova Via della Seta. Secondo il documento, le tratte terrestri e marittime della Nuova Via della Seta “daranno l’opportunità di edificare congiuntamente una Via della Seta polare”, facilitando «la connettività e lo sviluppo socioeconomico sostenibile di quella remota regione del pianeta».

La Nuova Via della Seta, presentata da Xi Jinping nel 2013 e divenuta nel tempo l’asset della proposizione globale della Cina, consta di due rotte: quella terrestre, capace di solcare l’Asia centrale e collegare la Cina all’Europa, e quella marittima, composta da due tratte, quella pacifica – attraverso il canale di Panama – e quella mediterranea, attraverso il canale di Suez. In futuro la Cina prevede di utilizzare il passaggio a nord-est collegando direttamente la Cina all’Europa del Nord, con punto finale Rotterdam (nonché Canada e Usa al posto della rotta del Pacifico).

La Nuova Via della Seta è un progetto mastodontico che dovrebbe coinvolgere oltre 60 Paesi, e dovrebbe consentire alla Cina di controllare gli snodi, gli investimenti nei punti fondamentali delle tratte e riversare le merci in eccesso su nuovi mercati. La via polare avrebbe gli stessi obiettivi, compresi quelli di sfruttare l’enorme potenzialità in temi di risorse della zona. Ma per fare questo, Pechino deve vedersela con chi sull’Artico investe da tempo.

Dal 2013 – infatti – la Cina è diventata osservatore permanente di quanto accade nell’Artico, mentre i Paesi che compongono il Circolo artico sono otto: Canada, Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia, Russia, Svezia e Stati Uniti. I territori terrestri dell’Artide coprono un’area di circa otto milioni di chilometri quadrati (e rientrano nella giurisdizione del Circolo artico), mentre il Mar glaciale artico estende su una superficie di oltre 12 milioni di chilometri quadrati. Pur essendosi definita “nazione vicina all’Artico” il punto geografico cinese più vicino dista ben 1.600 chilometri.

Come raccontato da Limes nel 2013, la presenza cinese nell’Antartico “risale al 1984; tuttavia l’attività di Pechino è salita agli onori delle cronache con la spedizione di ricerca sul clima e sull’ambiente del 1995”. Nel 2003 e nel 2008 vi furono altre due missioni finché non si arrivò alla creazione di una stazione di ricerca nel luglio 2004 (Arctic Yellow River station nelle Svalbard) e, infine, la crociera transpolare del primo rompighiaccio cinese Xuelong (Drago della Neve) nel 2013.

Come racconta nel suo libro Artico. La battaglia per il grande Nord» (Neri Pozza, 2017) Marzio G. Mian, l’85 per cento del commercio oggi avviene via mare e la Cina controlla l’80 per cento del trasporto marittimo. Si tratta di un giro d’affari di 100 miliardi di dollari all’anno. L’idea cinese è quella di trasferire entro dieci anni il 20 per cento delle rotte mercantili nel passaggio a nord est. Perché? Perché la Cina, oltre alle ovvie attenzioni alle risorse, dovrebbe scegliere la via polare, che, per quanto ora non necessiti più di navi rompighiaccio, può essere utilizzabile solo sei mesi all’anno?

Proviamo a immaginare, ad esempio, una nave carica di merci che parte da Ningbo o Fuzhou, due porti cinesi, e deve arrivare a Genova. Nel suo tragitto la nave cargo deve affrontare due snodi particolari: lo stretto di Malacca e il canale di Suez. Il primo è straordinariamente pericoloso per la presenza, potenziale, di pirati, tanto che le navi attraversano lo stretto issando fili spinati, azionando le pompe dell’acqua e con turni di guardia costanti. Talmente pericoloso quel passaggio da essere noto come “il dilemma di Malacca”. Il canale di Suez, invece, è a rischio continuo e la Cina teme che in condizioni di pericolo possa essere chiuso o possa diventare un passaggio rischioso.

Ecco allora che la via artica assume una nuova importanza: intanto il passaggio a nord-est consente alle navi di arrivare a destinazione prima dei 48 giorni che una nave cinese può impiegare a raggiungere Rotterdam attraverso il Canale di Suez. L’anno scorso, una petroliera russa ha viaggiato dalla Norvegia alla Corea del Sud senza una scorta di rompighiaccio per la prima volta in un viaggio che durò 19 giorni. «La Yong Sheng di Cosco Shipping – ha ricordato il Financial Times – è stata la prima nave mercantile cinese a salpare per la rotta nel 2013 e altre sei navi cinesi hanno effettuato il passaggio a nordest la scorsa estate». Senza navi rompighiaccio – quindi – il percorso è più facile e rapido.

Inoltre il passaggio a nord est consentirebbe di evitare problematiche di natura geopolitica, considerando per altro che la Cina ha già stretto importanti accordi con chi in quella zona si considera a casa, ovvero la Russia. Nel 2013 un accordo tra Mosca e Pechino prevedeva che in cambio di finanziamenti cinesi, Mosca garantisse approvvigionamenti di 620 mila barili di greggio al giorno, concessioni per esplorazioni nel Mare di Barents e di Pechora (fu il famoso accordo per la fornitura per 30 anni di gas proprio nel bel mezzo della guerra in Ucraina).

Spostare l’attenzione a Nord, ovviamente, significa abbandonare, in parte, il Sud. Cosa significherebbe per il Mediterraneo e per l’Italia questa nuova rotta? Una sicura perdita di peso geopolitico, visto che la Cina pare puntare con molta forza proprio all’Europa settentrionale, con perdita di importanza per i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Anche per questo in Italia, la Cina pare più interessata a Trieste che a Napoli, Gioia Tauro o la stessa Genova: perché da Trieste c’è una linea diretta verso il Baltico e la Cina sembrerebbe intenzionata a sfruttarla. Almeno sei mesi l’anno, in attesa cioè della stagione propizia nei mari del nord.

 

 

2. Rai 3 Radio: La via della seta polare (da www.rayplayradio.it del 30 gennaio 2018)

Martedì 30 gennaio Luigi Spinola ha dedicato un programma di Rai 3  con Marzio G. Mian, giornalista autore del libro Artico. La battaglia per il grande nord (Ed Neri Pozza 2018)  tra i fondatori di The Arctic Times Project, un’associazione giornalistica no profit internazionale per realizzare inchieste collettive sull’Artico e sulle conseguenze geopolitiche del cambiamento climatico. E con Alessandra Spalletta, giornalista Agi esperta di Cina.

Chi avrebbe mai detto che il riscaldamento globale sarebbe diventato un utile strumento nelle mani della Cina?
Se lo scioglimento dei ghiacci preoccupa i climatologi di mezzo mondo, per il governo cinese invece significa rotte navigabili più percorribili nell’Artico: “siamo all’inizio di una nuova era di rotte di navigazione commerciale”, ha annunciato il governo cinese tre giorni fa, che si trasformeranno in una “Via della seta polare”. Al piano che cambierà l’asse del commercio internazionale, collaboreranno non solo la Cina, ma anche la Russia e altri paesi artici: lo scopo di della nuova rotta polare è di trasformare le connessioni terrestri e marittime della Cina con l’Europa. Come l’iniziativa Belt and Road del presidente Xi Jinping (da più di 800 miliardi di euro) che intende ricostruire gran parte delle infrastrutture Euroasiatiche (porti, strade, e ferrovie) e mettere la Cina al centro, fisicamente e geopoliticamente, dello scacchiere mondiale. Il Nuovo Artico diventa così l’ultima frontiera, dove le conseguenza del cambiamento climatico sono più drammatiche, ma anche dove è in atto una spietata corsa neo coloniale per la conquista dell’ultima delle ultime frontiere.

 

Category: Osservatorio Cina, Osservatorio internazionale

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