Riccardo Petrella: Bandire la guerra, la prima audacia.

| 7 Marzo 2019 | Comments (0)
Diffondiamo da Investigaction.net questa intervista a Riccardo Petrella sul suo ultimo libro

 Il nuovo libro di Riccardo Petrella, In nome dell’Umanità, l’audacia mondiale, Casa editrice Il Margine, è una requisitoria implacabile contro la guerra economica e sociale condotta dalla classe dominante contro i popoli, tanto al Nord così come al Sud. Fondatore dell’Istituto europeo di ricerca sulla politica dell’acqua, Riccardo Petrella è l’autore di numerose opere, tra le quali «Limites à la compétitivité (Limiti alla competitività) o «Le Bien Commun (Il Bene Comune) e si oppone vigorosamente alle vecchie ricette neoliberali delle politiche dette d’austerità, così come alla «naturalizzazione» dei recenti interventi militari. Nell’intervista esclusiva che ci ha accordato, lancia un appello urgente per un impegno audace nelle battaglie del nostro tempo.

 

D. Lei ha scritto un’opera intitolata «In nome dell’Umanità. L’audacia mondiale». Ci può riassumere in cosa consiste l’audacia mondiale?

Si tratta di «tre «audacie», cioè realizzare tre cambiamenti radicali del nostro universo di vita. Per cominciare, la “prima audacia” è quella di bandire la guerra. Bisogna disarmare la guerra. In un mondo sempre più interdipendente, che lega il destino degli a quello degli altri (che sia un problema di lavoro, di sicurezza energetica, di cambiamento climatico o di stabilità monetaria…), a che serve la guerra? A cosa è servito che l’Occidente abbia bombardato l’Afghanistan, l’Iraq, poi la Libia ed adesso la Siria?

L’umanità ha raggiunto uno stadio di mondializzazione della condizione umana ove la vera saggezza degli umani non è quella di giocare alla guerra per sapere chi è il più forte e sopravvivere al posto e/o dominare gli altri, ma di imparare a vivere insieme agli altri esseri viventi e di prender cura dell’insieme della vita sulla Terra. Conosciamo il ritornello: “è impossibile pensare che si possa fermare la guerra, essa fa parte della “natura umana”, la sua “naturalezza” la rende inevitabile, al massimo possiamo cercare di prevenirla armandoci; gli esseri umani sono dei nemici per gli altri umani, allora è meglio assicurarsi della propria potenza per vincere le guerre piuttosto che perderle”.

Nel mio libro, credo di aver dimostrato il carattere fallace di questi argomenti. Ho insistito, da una parte, sul fatto che nella pretesa “natura umana” c’è di tutto, l’aggressività e la violenza come l’amore e la pace. Non c’è determinismo del male che sarebbe più forte del bene. Ma ho soprattutto dimostrato che la guerra non ha nulla di “naturale” per quel che riguarda la specie umana. Essa è fondamentalmente un prodotto della storia sociale, il risultato di scelte operate dalle società umane. Fino alla sua scomparsa nel 1989, i gruppi dominanti dell’Occidente hanno affermato che l’URSS era la causa principale della corsa agli armamenti del mondo nell’era della guerra fredda. Il collasso dell’URSS non ha condotto alla fine della militarizzazione del mondo. I dominanti hanno “scoperto” (sarebbe meglio dire “creato”) un nuovo nemico mondiale, il terrorismo, in particolare il “terrorismo islamista”. Nessun antropologo o biologo oserebbe affermare che il terrorismo “islamista” faccia parte della “natura umana”. E’, invece, evidente che questo terrorismo è il frutto della crisi dei rapporti secolari tra cristiani e musulmani alimentata dalle nuove crisi interne al mondo cristiano ed al mondo musulmano intesi come “sistemi religiosi” assolutisti ed esclusivi. Il terrorismo “islamista “è anche uno dei risultati della decomposizione delle comunità umane e della disgregazione dello Stato nel Medio Oriente, andando di pari passo con l’insostenibile situazione rappresentata dalla dominazione militare d’Israele e la colonizzazione/occupazione dei territori palestinesi.

 

D. Potrebbe fornire degli esempi concreti per sostenere la tesi che la guerra è «non –naturale» e, al contrario, sulla guerra come costruzione sociale?

Esistono numerosi comunità umane che non hanno mai fatto la guerra. E’ il caso, tra gli altri, della maggior parte delle comunità monacali. Dal XVIII secolo, la Svezia non fa più la guerra a nessuno. La Norvegia, l’Austria, l’Irlanda e la Svizzera hanno affermato la loro neutralità. L’articolo 11 della Costituzione italiana stabilisce che l’Italia condanna la guerra. Era 75 anni fa. La storia è piena di esempi di società umane che abbandonano la pratica della guerra. La Cina, in particolare, ha deciso spontaneamente nel XVI secolo di non mirare ad alcuna espansione territoriale del suo stato. Essa ha applicato questo principio per più di 400 anni. L’ha fatto volare in pezzi nel 1950 con l’occupazione militare del Tibet.

La pace anch’essa non è un fatto naturale. Ed in più, il pacifismo ed il militarismo coesistono. Dalla fine della seconda guerra mondiale, i paesi europei hanno potuto vivere insieme in pace e si farebbe fatica ad immaginare che la Germania e la Francia si rimettessero in guerra una contro l’altra.

Ciononostante, la maggior parte dei paesi europei non hanno mai smesso le guerre altrove che in Europa, nel mondo. Il pacifismo intra-europeo non ha impedito alla Francia ed al Regno Unito di rimanere grandi potenze militari (nucleari) mondiali e la grande maggioranza degli Stati europei di far parte della NATO. La popolazione della Svezia continua a considerarsi ed a essere considerata come pacifista quando il paese è il terzo principale esportatore di armi nel mondo (per abitante). Ciò equivale a dire che la pratica della guerra o della pace è una scelta della società ed un illustrazione delle contraddizioni interne in un paese e tra differenti paesi. Sono le evoluzioni storiche delle società umane e non certo “la natura umana” che fanno la guerra o la pace. Lo stesso discorso vale per la povertà.

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D. Infatti, mettere fuori legge i fattori strutturali che innescano i processi generatori dell’impoverimento nel mondo, costituisce la sua “seconda audacia”.

La povertà anch’essa non è un fatto naturale. Non cade dal cielo, come la pioggia. Nessuno nasce povero o ricco. Lo si diventa. E’ la società che produce i fenomeni d’impoverimento o di arricchimento, in particolare i processi di disuguaglianza e di esclusione sociale tra gli esseri umani. Cosa che spiega che alcune società sono più inuguali ed escludono più di altre.

Infatti, più una società è ingiusta umanamente e socialmente più ci sono persone impoverite Per esempio, se una società adotta una legislazione favorevole all’appropriazione privata delle terre e delle sementi e della loro commercializzazione a scopo di lucro, si può esser sicuri che questa società produrrà dei contadini impoveriti e dei proprietari terrieri ricchi. Inoltre, meno in misura minore una società garantisce i diritti umani e l’assistenza sanitaria per tutti, più le diseguaglianze saranno grandi e le esclusioni sociali forti.

Se i processi d’impoverimento si sono mantenuti, anzi rinforzati in questi ultimi decenni, non è solo a causa delle crisi finanziarie o a causa delle insufficienze finanziarie pubbliche. Il mondo non ha smesso di diventare più ricco in termini di beni e di servizi materiali ed immateriali, ma l’ha fatto in modo molto disuguale tra le categorie sociali ed i paesi ed in modo rapace delle ricchezze naturali, cosa che ha provocato a sua volta, forti disuguaglianze territoriali.

Durante gli ultimi quaranta anni, le nostre società sono diventate più ingiuste per due ragioni principali. Primo: le loro classi dirigenti non credono più che tutti gli esseri umani nascano uguali in dignità ed abbiano gli stessi diritti umani e sociali. Essi considerano, al contrario, che la disuguaglianza è un dato naturale della condizione umana. Da qui discende l’importanza accordata al principio del merito. Il godimento dei diritti si deve meritare. Secondo: essi hanno adottato la tesi che tutto è merce, che il valore delle cose passa per lo scambio mercantile e che pertanto anche l’accesso ai beni ed ai diritti debba esser a pagamento. Da qui deriva la privatizzazione e la monetizzazione/finanziarizzazione della maggior parte dei beni e servizi in passato pubblici.

Ed ancora il grande aumento dell’impoverimento in seno anche all’UE, poiché nel 2015 si contavano secondo l’Ufficio statistico dell’UE, più di 125 milioni di persone sui 510 milioni d’abitanti dell’UE che vivevano al di sotto della soglia di povertà.

O ancora, sul piano mondiale, questa cifra stupefacente, assurda, pubblicata nel rapporto d’Oxfam International presentato nel gennaio 2016 al World Economic Forum: 62 persone le più ricche del mondo possiedono la stessa ricchezza che la metà più povera della popolazione mondiale, ossia 3.7 miliardi di esseri umani.

Affermare che la seconda grande audacia mondiale attuale sia di mettere fuori legge i fattori generatori della povertà nel mondo non è, di fronte a tali cifre, un’audacia cosi “audace” come si possa credere.

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D. Ma i dirigenti mondiali sostengono che, in tempo di crisi finanziarie frequenti, sia impossibile di realizzare un tale compito mancando dei mezzi sufficienti….

E’ una pura mistificazione. Tutti sanno che, soltanto a far data dal 2008, i dirigenti del mondo han fatto scorrere il denaro a fiumi per salvare le banche, che loro erano il principale responsabile della crisi: le stime oscillano tra 30 e 50 mila miliardi di dollari! Sappiamo che, secondo le stime della Banca mondiale et dell’ONU, bisognerebbe spendere circa 200 miliardi per anno per un periodo di 10 anni affinché tutti i “poveri” attuali abbiano accesso all’acqua potabile e all’igiene, alle cure essenziali, ad una scolarizzazione di base e ad un’alimentazione minima. Tutto il problema consiste nel fatto che i poveri non sono della banche. E nemmeno delle armi, per le quali il mondo ha speso nel 2015 più di 1.500 miliardi di dollari Si possono salvare le banche ed alimentare la guerra, ma non si vogliono sradicare le cause dell’impoverimento.

Secondo la logica del sistema finanziario attuale, le banche e l’armamento producono profitti per i capitali investiti. Al contrario, “salvare i poveri” è considerato un costo per il capitale, in particolare privato. Un esempio “indecente” di questa situazione riguarda il mancato accesso all’acqua potabile e al disinquinamento. Da uno studio pubblicato il 12 febbraio 2016 nella rivista Science, 4 miliardi di persone vivono in uno stato grave di mancanza d’acqua (cause naturali ed umani).

Da decenni, i gruppi sociali dominanti, poteri pubblici compresi, affermano che non si può risolvere la situazione per mancanza di mezzi finanziari pubblici sufficienti ma che se l’acqua potesse essere messa liberamente sul mercato e se la gestione dei servizi fosse affidata ad imprese private, i capitali privati sarebbero incitati ad investire nell’acqua ed il problema sarebbe risolto!

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D. Oggi, la difesa dei diritti universali sembra sempre più difficile. E’ subordinata alle esigenze finanziarie. Come costruire la pace e sradicare la povertà nonostante tutto?

Precisamente promuovendo un’economia ed una società fondate sul principio e la pratica della responsabilità collettiva dei beni (e dei servizi) comuni pubblici essenziali ed insostituibili per la vita ed il vivere insieme, quali l’acqua, il sole, la terra, le sementi, la conoscenza, la salute, l’istruzione, la sicurezza. Per questa ragione, la “terza audacia” consiste nella concezione e messa in opera di un nuovo sistema finanziario mondiale.

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D. Questo comporta innanzitutto una critica severa del sistema economico dominante?

Infatti. Come abbiamo visto a proposito della povertà, il sistema economico attuale, non è, evidentemente, ragionevole, sensato, efficiente. L’attuale economia è un’economia rapace che produce disuguaglianze, esclusione, ingiustizia, sfruttamento degli uni sugli altri, conflitti, guerre…Il solo diritto che quest’economia riconosce è il diritto alla proprietà privata e della libertà su scala planetaria dell’impresa privata, del commercio, dei movimenti di capitale, del profitto, dell’arricchimento…la libertà dei mercati.

L’économie actuelle est une économie prédatrice qui produit inégalité, exclusion, injustice, exploitation des uns par les autres, conflits, guerres…Le seul droit qu’elle reconnaît est le droit de la propriété privée et de la liberté mondiale de l’entreprise privée, du commerce, des mouvements des capitaux, du profit, de l’enrichissement…la liberté des marchés.

 

D. Lei attacca la struttura ed gli strumenti che permettono a questo sistema di riprodursi…

Esattamente, bisogna aver l’audacia di cambiare radicalmente il sistema finanziario attuale. La finanza esistente non ha più senso. Anche i finanzieri dicono che la finanza è distaccata, dissociata dall’economia reale. Allora perché mantenerla?

Di solito la finanza serve ad assicurare il legame tra il risparmio (delle famiglie, delle imprese, delle pubbliche istituzioni) e l’investimento (allo scopo di migliorare i beni ed i servizi esistenti o di crearne altri) contribuendo così a creare la ricchezza reale. Non è più il caso, la finanza cerca di guadagnare soldi usando i soldi. Inoltre, i finanzieri riconoscono anche che la finanza è diventata sempre più volatile, cioè che i valori finanzieri cambiano con la rapidità dei minuti e dei secondi.

Da qualche anno, la finanza ad alta frequenza (FHF) ha fatto registrare un considerevole progresso, cioè le transazioni finanziarie si fanno ormai al millesimo di secondo, per mezzo di macchine, o di algoritmi. Tranne che per la creazione di algoritmi e la concezione delle macchine, la FHF funziona in assenza di qualsiasi intervento umano. Anche in questo caso cisi può interrogare sul “senso” di questo tipo di finanza. Non si può costruire il divenire dell’umanità (più di 9 miliardi di esseri umani nel 2050) fondandosi su un’economia (“regole della casa”) dominata da una finanza predatrice del “luogo in cui vivere” (oikos) volatile, priva di “senso”.

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D. Per finire, qual è stata la sua reazione agli attentati di Bruxelles del 22 marzo?

Quella di un’immensa tristezza. Per la morte di persone innocenti. Per la violenza del “non-senso”, ma anche una tristezza collerica costatando che i nostri dirigenti non hanno imparato granché dai massacri (lezioni di questi ultimi anni, prima e dopo l’11 settembre 2001 negli Stati Uniti. Essi continuano ad utilizzare la guerra come risposta ai problemi.

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D. Gli attentati del 2001 a New York, così come quelli dell’anno scorso a Parigi e adesso a Bruxelles, sono serviti come pretesto per nuovi interventi militari. Cosa ne pensa?

La reazione del tipo «ci fanno la guerra, noi dobbiamo vincerla» non mi sembra una reazione ragionevole né saggia. Questo atteggiamento vorrebbe evacuare l’enorme responsabilità che noi, Europei, abbiamo nella situazione attuale. L’Iraq non ha mai attaccato l’Europa. E’ stato attaccato dal Regno Unito del governo Blair e dagli Stati Uniti sulla base di documenti falsi. La Francia di Sarkoszy ha attaccato la Libia, non il contrario. La Siria è stata distrutta a causa dei numerosi conflitti in seno alla Siria e al mondo arabo, una volta ancora, dagli interessi degli Occidentali.

L’Afghanistan è stato dapprima attaccato dai Russi e poi dagli Stati Uniti. Per anni l’Iran è stato sottoposto ad una enorme pressione, politica, economica e militare da parte degli Occidentali perché l’Iran ha cercato di dotarsi di armi nucleari e che questo è stato considerato una grave minaccia per l’Occidente (in particolare Israele).

Si possono considerare i Siriani, che fuggono dalla guerra e provano di venire da noi, come degli aggressori ed invasori? E su quale base giuridica e in base a quale etica l’Unione europea si attribuisce il diritto di comprare per 6 miliardi di euro l’accordo della Turchia e della Grecia affinché le navi militari della NATO possano pattugliare il mar Egeo?

Forse questi migranti sono invasori militarizzati? L’Iraq era uno Stato, ora non lo è più. I Libici avevano uno Stato, ora non l’hanno più. I Siriani avevano uno Stato, non esiste più. Tutto questo è colpa nostra. Ed adesso i nostri dirigenti dicono che noi dobbiamo difenderci.

  

D. Nel contesto attuale marcato dalla confusione ideologica, quale sarebbe la lezione principale da trarre?

Riprendere tutte le possibili strade della pacificazione imponendo a tutte le parti interessate (Arabia Saudita e Israele comprese) l’arresto del finanziamento e del commercio della armi. Un cammino estremamente difficile da intraprendere e poi da mantenere, ma considero che sia la sola strada realmente efficace da prendere se non si vuole mantenere l’insieme della regione “Mediterraneo, Medio Oriente, Asia minore, Africa del nord e Corno d’Africa” in uno stato permanente di guerra e di massacro nel corso dei 30 ai 50 prossimi anni.

La ragione è la pace. L’irragionevole è continuare la guerra illudendosi che la pace verrà con lo sterminio del nemico. Gli Stati Uniti, che spingono sempre verso la guerra totale non hanno risolto nulla in tutti questi anni. Perché seguire il loro esempio?

Category: Osservatorio Europa, Osservatorio internazionale, Politica

About Riccardo Petrella: Riccardo Petrella .Presidente dell'Istituto Europeo di Ricerca sulla Politica dell'Acqua a Bruxelles, è professore emerito dell'Università Cattolica di Lovanio (Belgio) dove ha insegnato "mondializzazione". E' promotore dell'Università del Bene Comune a Verona con la quale ha lanciato nel 2012 in Italia insieme a numerose organizzazioni l'iniziativa internazionale "Dichiariamo illegale la povertà - Banning poverty 2018". E' considerato il pioniere dell'acqua pubblica in Europa da cui è nato il movimento dell'Acqua Bene Comune in Italia. Fra i principali esponenti dell'altermondialismo ha creato nel 1991 il Gruppo di Lisbona, il cui rapporto "Limiti alla competitività" è stato tradotto in 12 lingue. Ha insegnato Ecologia umana all'Accademia di Architettura a Mendrisio (Svizzera). Attualmente sta coordinando la campagna "Dichiariamo illegale la povertà", alla quale la rivista «Inchiesta» aderisce attivamente ed è candidato per la Circoscrizione Nord Est per la Lista Un altra Europa per Tsipras.

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