Raimondo Bultrini: Thailandia. Anno nuovo, paure nuove

| 11 Aprile 2015 | Comments (0)

 

 

 

Diffondiamo dal blog di Raimondo Bultrini, www.larepubblica.it dell’11 aprile 2015

Era qualcosa che si aspettavano anche le autorità thailandesi, e che potrebbe significare molte cose o nessuna. Altre volte il Regno ha subito le avversità della natura, la violenza degli uomini in politica e quella dei generali dittatori. Ma la bomba relativamente piccola di Samui, con la dodicenne italiana ferita, è esplosa rumorosamente sabato sera nel mezzo di un silenzio imposto ai media dai militari sulla vera entità dei rischi per il futuro del Paese. Un regno di 60 milioni di anime il cui re è amatissimo ma vecchio e fragile, e il primo ministro è un ex generale non amatissimo ma relativamente giovane e dai metodi forti.

Dalle notizie che continuano a giungere c’è stato un altro ordigno fatto esplodere davanti a una cooperativa che serve cibo locale a poca distanza dai grandi magazzini Central Festival di Surat Thani (vedi foto), mèta privilegiata anche per chi vuole rinfrescarsi con una passeggiata di shopping nell’aria condizionata. Ma c’è stata una terza piccola esplosione ben distante da Samui, a Phang Nga, a nord di Puket, pressappoco nelle stesse ore di sera. Nessuno esclude che possano essere collegate, e questo rende la situazione ancora più delicata.

Anche se le tre esplosioni non sono state rivendicate, tutti puntano il dito contro l’insorgenza degli islamici del sud, che in 14 anni ha causato 6000 vittime e un clima di paura per tutti i residenti, musulmani e buddhisti. E’ una delle possibilità, sebbene finora le violenze dei gruppi armati abbiano colpito soltanto le tre province meridionali confinanti con la Malesia senza toccare se non raramente luoghi turistici. In particolare Samui, una delle mète privilegiate di tour internazionali, non era mai stata sfiorata da incidenti vagamente a sfondo terroristico.

Le circostanze che rendono questa bomba più rumorosa di quanto non sembri dal bilancio delle vittime, sono principalmente tre. La prima è il clima di vigilia per la festa del Nuovo anno thai, il Songkran, che viene celebrato in molte aree della Thailandia con lanci d’acqua e guerre di schizzi con le pistole di plastica. In un clima di eventuale paranoia le misure di sicurezza potrebbero pregiudicare le celebrazioni mentre centinaia di migliaia di turisti e di locali che rientrano ai villaggi per le feste si muovono attraverso il Paese.

La seconda è la sfida di chi ha piazzato gli esplosivi, all’indomani della decisione del generale-premier Prayut Chan Ocha di assumersi tutti i poteri con un articolo di legge noto come Sezione 44, che di fatto gli attribuisce un controllo assoluto ben oltre le già rigide prerogative dell’esercito con la legge marziale, applicata subito dopo il golpe del maggio di due anni fa contro ogni forma di dissenso e di disturbo della quiete pubblica.

La terza sono le conseguenze per l’economia di un Paese che conta sul turismo e sull’export di prodotti come il pollame e il pesce che costituiscono una delle principali voci di bilancio.

In questo delicato settore è di recente esplosa un’altro tipo di bomba, altrettanto pericolosa per l’immagine e per egli affari delle aziende del Regno, la scoperta che le navi da pesca thai usano gli immigrati, specialmente birmani, in condizioni disumane. Non è una novità, ma per la prima volta alcune indagini giornalistiche hanno dimostrato che esiste un traffico di esseri umani dietro al grande business della pesca. La cosa non è piaciuta molto ai generali al governo, e un giorno il premier Prayut, con viso truce e tono sarcastico, disse che ci sarebbe stata l’”esecuzione” per quei reporter che coi loro servizi creano un impatto economico negativo denigrando il Regno e le sue istituzioni principali. Si discuteva in quell’occasione proprio delle cronache sugli schiavi del mare, le decine di migliaia di immigrati assoldati sulle barche thai per pescare in pieno oceano e “salvati” dalle autorità indonesiane in alcune piccole isole dov’erano detenuti per pesca illegale nelle acque territoriali di Giakarta.

E’ un affare da parecchi miliardi, calcolando che la Thailandia è la seconda esportatrice di pesce trasformato al mondo, e che le sue fabbriche di inscatolamento a Sud di Bangkok servono alcune tra le più grandi compagnie alimentari americane ed europee, specialmente di tonno, gamberi e gamberetti. Per questo i giornalisti erano stati chiamati a responsabilizzarsi, e non dare del Paese una cattiva immagine se non volevano essere puniti. E’ stato quando gli è stato chiesto a che genere di punizione si riferisse che il generale ha risposto con la battuta pesante anche se scherzosa.

La scoperta delle condizioni di schiavitu’ in cui erano tenuti un numero tra i 4 e i 15 mila pescatori birmani, con parecchi cambogiani, laotiani e pochi thai già riportati a casa, ha reso urgente per questo governo militare la soluzione di un problema che va avanti da decenni, perché le ripetute denunce degli abusi sulle barche thai avevano convinto gli Stati Uniti e l’Unione europea a sanzionare la Thailandia con una degradazione del suo status per non aver garantito i diritti umani dei lavoratori, con possibili relative sanzioni fino al divieto di import del pesce.

Il generale Prayut ha messo subito al lavoro governo e investigatori per interrompere un traffico che non ha inventato l’attuale giunta al potere, ma che alcuni militari da decenni nei posti di comando conoscevano bene, e non hanno mai combattuto a causa dei propri interessi personali nel business. Per non parlare dei precedenti esecutivi politici distratti, non solo fedeli a Thaksin Shinawatra, ma anche ai Democratici, la stessa corrente che oggi sostiene a spada tratta la monarchia attraverso l’esercito.

Il compito che aspetta ora la giunta militare è delicatissimo. Mettendo le tre esplosioni nel contesto dell’attuale situazione politica e sociale, nemmeno i generali possono negare la possibilità che altre violenze, e forse altre bombe, possano rovinare la festa del nuovo anno e l’immagine del Paese. Non esiste soltanto la guerriglia del Sud, ma anche un mondo sotterraneo di dissenso tenuto finora sotto controllo da rigide norme e dall’invisibile pero’ inflessibile pugno dei militari. Fino a quando?

E’ anche da questo ambiente del dissenso contro la dittatura che potrebbe essere nata l’idea degli attacchi ai centri commerciali, simbolo di prosperità, e non a caso altre due bombe, artigianali ma capaci di ferire due persone, sono esplose all’inizio di febbraio tra i popolari grandi magazzini di Siam nel cuore di Bangkok e il frequentatissimo trenino di superfice Bts. Un investigatore disse esplicitamente che si indagava sul fronte delle camicie rosse devote a Thaksin, e non possono sfuggire le coincidenze con le bombe di ieri. Una è che si tratta dello stesso obiettivo scelto, un centro commerciale affollato anche di turisti oltre che thai, l’altra è che si attende – come a febbraio – una sentenza contro l’ex premier Yingluck, sorella di Thaksin accusata di corruzione e abuso di potere.

Che sia stato un avvertimento di una possibile escalation verso aree finora inedite degli islamici indipendentisti, o degli uomini degli Shinawatra, l’impatto di questo potenziale stato di rischio-terrorismo sulla Thailandia è comunque alto. E nessuna “sezione 44” coi pieni poteri del premier Prayut potrà garantire la totale sicurezza. Ma questo è un problema che sta affrontando un po’ tutto il mondo.


 

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Category: Osservatorio internazionale

About Raimondo Bultrini: Raimondo Bultrini, giornalista de La Repubblica, ha lavorato all’«Unità» e a «Paese Sera», occupandosi di temi politici, giornalismo investigativo e di denuncia sociale. Successivamente il suo interesse si è spostato alle filosofie orientali, alle politiche asiatiche e al buddhismo, diventando direttore delle riviste «Oriente» e «Merigar Letter». Dopo un anno trascorso in Cina e in Tibet seguendo il professore e maestro Choegyal Namkhai Norbu, ha scritto il libro In Tibet. Ha prodotto documentari per Samarcanda, Mixer, Format e La7 tra i quali La caduta del Muro di Pechino. Dal 2000 è collaboratore dal Sud-est asiatico del gruppo editoriale la Repubblica /L’espresso e ha pubblicato oltre 500 articoli sull’Asia, seguendo gli eventi più importanti per «la Repubblica», «L’espresso», «il Venerdì», «Limes» e «D donna». Dopo l’11 Settembre 2001 è stato inviato in Pakistan e Afghanistan. Nel 2002 ha diretto il film documentario Madre Teresa, una santa indiana. Fra le sue più importanti interviste, ci sono quelle effettuate nei numerosi incontri con il Dalai lama. Vive in Thailandia. Ha pubblicato: I prefetti e la zarina (1995); Il demone e il Dalai Lama: Tra Tibet e Cina. Mistica di un triplice omicidio (Baldini e Castoldi, 2008); Il diario di un viaggio in Tibet con Chögyal Namkhai Norbu (Edizioni Shang-shung)

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