Maurizio Scarpari; Parlare “bene” della Cina

| 17 Gennaio 2022 | Comments (0)

 

 

 

Non è facile parlare di Cina con competenza e serenità, liberi da pregiudizi e condizionamenti. Ciò è vero soprattutto per coloro che hanno rapporti costanti con il mondo cinese o per motivi di carattere istituzionale o per esigenze di studio, ricerca, lavoro. La difficoltà si deve al fatto che le opinioni sono spesso così diverse da apparire ideologiche e così contrastanti da elidersi a vicenda.

Si consideri, ad esempio, quello che succede in Xinjiang (la più occidentale delle regioni cinesi, dove la popolazione autoctona è musulmana e trucofona) o a Hong Kong (fino al 1997 colonia britannica): nel riferirne non ci sono posizioni misurate; testimonianze, prove, dossier redatti da organismi internazionali vengono selezionati da ognuno a sostegno delle proprie tesi. Spesso si aderisce a una narrazione o all’altra o per un atto fideistico o ideologico, oppure con un atteggiamento farisaico, polarizzando il discorso al punto da svuotarlo di ogni utilità per chi intenda improntarsi all’imparzialità del giudizio. “Raccontare bene la storia”, laddove per “bene” si intende “secondo il punto di vista del Partito comunista cinese”, è l’esortazione con la quale il leader cinese Xi Jinping vorrebbe imporre, non solo ai cinesi, nozioni e notizie che sono “per certo” vere, in quanto “certificate” dal Partito, garanzia incontrovertibile di autenticità. Ma perché mai si dovrebbe accettare una “storia” quando a chiunque si occupi di Cina è noto che procurarsi dati attendibili è un’impresa pressoché impossibile, sia che si tratti di quantificare il tasso di inquinamento o il debito di un ente pubblico o il numero dei morti di Piazza Tiananmen?

Il problema è sempre esistito, si dirà, ma oggi assume una rilevanza particolare. Non siamo più in un’epoca in cui la Cina era chiusa in un impenetrabile mistero, o in cui, apertasi all’Occidente, se ne percepiva la presenza soprattutto nei negozi e nelle bancarelle disseminate nelle nostre città. Con sacrifici enormi e pagando prezzi elevatissimi in termini umani, sociali e ambientali, la Cina è riuscita a diventare una potenza di prima grandezza, ritrovando quell’orgoglio e quell’identità che erano state umiliate e si erano smarrite. Senza quasi che ce ne rendessimo conto, nell’era di Xi Jinping l’espansione commerciale si è trasformata in espansione egemonica. Ricomporre l’unità nazionale frantumata dall’arroganza delle potenze imperialiste, sconfiggere la povertà e l’arretratezza in cui il paese versava fino a pochi decenni fa, creare una nazione moderna e altamente tecnologizzata, in grado di esportare un modello di governance e un sistema di valori ritenuti superiori e quindi alternativi rispetto a quelli dei Paesi democratici, fare della Cina il perno di un network che si dirami in ogni direzione, avvolgendo e connettendo l’intero pianeta: la realizzazione del sogno tanto agognato sembra ora a portata di mano.

Se poi questo comporta un clima sempre più autoritario e repressivo, crescenti limitazioni delle libertà e dei diritti individuali e incontenibili ambizioni in ambito militare, con il rischio di attirarsi le critiche di gran parte dell’Occidente, poco importa: il regime può sempre contare su un certo numero di più o meno inconsapevoli intellettuali, accademici, ricercatori, giornalisti, politici ed ex politici, diplomatici ed ex diplomatici e imprenditori desiderosi di essere parte di questo “momento storico” o, forse, solo di ottenere investimenti, privilegi e benefits che le istituzioni e le imprese cinesi sono pronte a concedere. In quanti sono disposti a rinunciare a profitti e vantaggi per difendere valori e principi che dovrebbero essere il fondamento della nostra cultura e del nostro ordinamento sociale, spesso dati per acquisiti, quando invece tanto scontati non sono?

Questo tuttavia non deve in alcun modo giustificare un’equiparazione tra il popolo cinese e il suo governo autoritario. Un errore che spalancherebbe le porte a un razzismo sinofobico di cui, purtroppo, anche nel discorso pubblico si vedono affiorare diverse tracce.

Category: Nuovi media, Osservatorio Cina, Osservatorio internazionale

About Maurizio Scarpari: Maurizio Scarpari, professore ordinario di Lingua e letteratura cinese classica presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia, dove ha insegnato dal 1977 al 2011 e ricoperto numerose cariche acca-demiche, tra le quali quelle di Pro-Rettore Vicario e Direttore del Dipartimento di Studi sull’Asia Orientale. Sinologo esperto di lingua cinese classica, storia, archeologia, pensiero filosofico e la sua influenza sul pensiero attuale è autore e curatore di numerosi articoli e volumi, tra cui si se-gnala La Cina, oltre 4000 pagine in quattro volumi (Einaudi 2009-2013), alla cui realizzazione hanno contribuito esperti di 35 istituzioni universitarie e di ricerca tra le più prestigiose al mondo. Per ulteriori informazioni e la bibliografia completa dei suoi scritti si rinvia a www.maurizioscarpari.com.

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