Maurizio Scarpari: Nuova vigilanza sugli affari cinesi
Maurizio Scarpari: Nuova vigilanza sugli affari cinesi
il testo è stato pubblicato ne La Lettura de Il Corriere della sera del 9 gennaio 2022
Nel marzo 2021 il governo cinese sanzionò dieci tra parlamentari, accademici, ricercatori ed enti di ricerca europei come ritorsione alle sanzioni imposte da Bruxelles a un’istituzione politica e a quattro funzionari cinesi per le violazioni dei diritti umani nello Xinjiang. Si trattò di una reazione senza precedenti, rivelatasi fin da subito un boomerang, che colpiva quella parte del mondo accademico e della ricerca non disposta a rinunciare alla propria autonomia di pensiero e libertà di espressione, per salvaguardare le quali un numero crescente di paesi ha deciso di adottare misure sempre più stringenti finalizzate al controllo e al contenimento delle attività con istituzioni e imprese cinesi.
Le conseguenze più rilevanti sono state l’immediato accantonamento dell’accordo sugli investimenti tra Pechino e Bruxelles (Cai), faticosamente raggiunto a fine 2020, e la definitiva presa di coscienza di quanto fosse impossibile persistere nell’ambiguità di una politica che mette in secondo piano questioni legate ai diritti umani per salvaguardare interessi personali o di gruppi politici, economici o commerciali. L’Unione ha cambiato atteggiamento e ora, per usare le parole del Commissario europeo all’Economia Paolo Gentiloni, “pretende un atteggiamento diverso dalle autorità cinesi”.
Non sorprende quindi che il tema della crescente influenza e della natura sempre più sofisticata e pervasiva delle attività di condizionamento e manipolazione dell’informazione da parte della Cina, già nel mirino del Copasir e di alcuni studiosi e giornalisti, sia l’oggetto del recente rapporto della Commissione europea sulle ingerenze straniere nei processi democratici dell’Unione Europea, inclusa la disinformazione (Inge), presieduta da Raphaël Glucksmann.1 Nel rapporto, che verrà sottoposto a marzo prossimo all’esame del Parlamento, si denunciano le intrusioni da parte dei regimi autocratici, Russia e Cina in primis, rese possibili dalla mancanza di strumenti legislativi adeguati e, soprattutto, dalla scarsa consapevolezza della gravità del fenomeno non solo da parte dell’opinione pubblica ma anche di chi è preposto a gestire istituzioni politiche e culturali, che favorisce più o meno consapevolmente la creazione di ulteriori vulnerabilità. Il rapporto denuncia apertamente, tra l’altro, la “crescente dipendenza finanziaria delle università europee dalla Cina” e il ruolo degli Istituti Confucio, impropriamente incardinati nelle università di tutto il mondo (sono 200 circa in Europa), impiegati dal governo cinese come un vero e proprio strumento di ingerenza nelle attività accademiche e di ricerca.
È in questo clima che il tema dei rischi derivanti dall’eccessiva e talvolta impercettibile “presenza” cinese è sempre più spesso oggetto di attenzione e di dibattito, come dimostrano il convegno organizzato lo scorso novembre a Palazzo Madama da Fondazione Farefuturo, International Republican Institute e Comitato Atlantico Italiano a cui hanno partecipato parlamentari e ricercatori italiani ed europei, o il progetto condotto dall’Istituto Affari Internazionali (IAI) di Roma presentato a inizio dicembre a Bruxelles, in collaborazione con il locale Centre for European Policy Studies, e in seguito riproposto in alcune città italiane. Per quanto riguarda il mondo accademico, della ricerca tecnologica e dei media, l’IAI denuncia per l’Italia situazioni analoghe a quelle descritte dalla Commissione europea. Sono quasi un migliaio gli accordi di collaborazione tra le università italiane e cinesi, una dozzina gli Istituti Confucio e alcune decine le Aule Confucio disseminate nelle scuole: i rischi di autocensura e/o subalternità agli interessi di Pechino sono inevitabili e andrebbero affrontati in modo strutturale. Invece, ad eccezione di un unico caso, il governo italiano non ha finora vietato alcun progetto o partenariato universitario con la Cina, tantomeno ha preso posizione sugli Istituti Confucio e sul crescente numero di Aule Confucio nelle scuole, una situazione che, rilevano gli estensori del rapporto, mette l’Italia “fuori sincrono” rispetto ai principali paesi europei ed extraeuropei.2
È evidente la complessità e la delicatezza della materia, soprattutto la difficoltà di trovare efficaci modalità di gestione di problemi che riguardano l’autonomia delle nostre istituzioni, la corretta informazione e la sicurezza della ricerca, tecnologica in particolare. Per porre il governo nella condizione di affrontare la situazione con la necessaria consapevolezza avendo a disposizione efficaci strumenti è improrogabile l’istituzione di un Osservatorio Permanente di Vigilanza (o una struttura simile, come da altri sollecitato) con funzioni non meramente consultive, purché sia costituito da esperti autenticamente indipendenti, non coinvolti cioè in enti o attività finanziate direttamente o indirettamente da istituzioni o imprese cinesi. Operazione non semplice, visto l’ascendente che queste sono in grado di esercitare non solo sul mondo accademico ma anche su quello politico, come denunciato da più parti e, da ultimo, dal recente rapporto Una preda facile. Le agenzie di influenza del PCC e le loro operazioni nella politica parlamentare e locale italiana pubblicato da Sinopsis,3 che conferma quel modus operandi del Partito comunista cinese verso l’estero descritto da Clive Hamilton e Mareike Ohlberg ne La mano invisibile. Come il Partito Comunista Cinese sta rimodellando il mondo,4 di cui i report cui abbiamo fatto riferimento costituiscono un prezioso complemento.
NOTE
1 Sandra Kalniete (rapporteur), Draft Report on foreign interference in all democratic porcesses in the European Union,
including disinformation (2020/2268 (INI)), Special Committee on Foreign Interference in all Democratic Processes in
the European Union, including Disinformation, 18/10/2021.
2 Il progetto di ricerca dell’IAI, coordinato da Beatrice Gallelli, When Italy embraces the BRI, si articola in cinque
contributi. Nell’articolo si fa riferimento a Lorenzo Mariani, «L’iniziativa Belt and Road e l’internazionalizzazione del
potere scientifico cinese: il caso dell’Italia»; Francesca Ghiretti and Lorenzo Mariani, «One Belt One Voice: i media
cinesi in Italia»; Nicola Casarini, «Legami accademici sulla Via della Seta: la cooperazione Cina–Italia nell’ambito
dell’istruzione superiore e le sue implicazioni per l’Occidente». La presentazione finale del progetto, dal titolo La
presenza della Cina in Italia: sfide e opportunità, è avvenuta il 17 dicembre presso la sede dell’IAI di Roma.
3 Una preda facile. Le agenzie di influenza del PCC e le loro operazioni nella politica parlamentare e locale italiana, a
cura di Livia Codarin, Laura Harth e Jichang Lulu, Sinopsis, 20 novembre 2021. Sinopsis è la rivista dell’associazione
no–profit AcaMedia z.ú. realizzata in collaborazione con il Dipartimento di Sinologia della Charles University di Praga;
il rapporto è stato compilato di concerto con il Global Committee for the Rule of Law “Marco Pannella” (Comitato
globale per lo stato di diritto “Marco Pannella”) di Roma.
4 Clive Hamilton e Mareike Ohlberg, La mano invisibile. Come il Partito Comunista Cinese sta rimodellando il mondo,
Fazi, 2021, da me recensito con il titolo “La Cina si avvicina. Troppo” in La Lettura 486 del 21 marzo 2021 e in
Inchiesta online del 23 marzo 2021
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