Bruno Giorgini: Il mal francese
Recentemente Romano Prodi ha formulato l’ipotesi o l’auspicio o la speranza che nascesse una alleanza tra i paesi mediterranei, Portogallo, Spagna, Italia, Grecia, guidata dalla Francia capace di contrastare l’egemonia tedesca e il potere della cosidetta troika (Commissione Esecutiva UE, Banca Centrale Europea – BCE, Fondo Monetario Internazionale – FMI) che stringono i popoli nella morsa dell’austerità fino a strangolare diritti politici e sociali, nonchè moltiplicando diseguaglianze e povertà.
Vista da Parigi la suggestione di Prodi va ben oltre l’utopia per accedere alla fantascienza. Quando scendo alla Gare de Lyon tre notizie campeggiano: la crisi di Liberation, i risultati del referendum svizzero e il viaggio di Hollande in USA.
Tralasciamo in questo testo la crisi di Libè, il suo possibile fallimento finanziario e/o trasformazione che lo snaturi, mentre la redazione autogestisce il quotidiano, il cui direttore sfiduciato dal 90% dei giornalisti, si è dimesso, e come si suol dire: la lotta continua. Liberation è il quotidiano fondato da Jean – Paul Sartre, Philippe Gavì, Pierre July, Pierre Victor, al secolo Benny Levi, e altri protagonisti del Maggio ’68, con l’aspirazione a esserne l’erede e nel contempo il più vivace giornale della sinistra comunque intesa, per cui la sua deflagrazione sarebbe quella di un intero ciclo e universo dell’immaginario di libertà e rivolta forse europeo – chi non ricorda il libro “Ribellarsi è giusto” di Gavi, Sartre e Victor, almeno quelli della mia generazione?
Ma passiamo al referendum con cui gli svizzeri hanno messo fine al libero accesso dei lavoratori stranieri nel loro paese, dichiarandosi a favore di una politica delle quote: dice infatti il testo votato che il paese “deve gestire in modo autonomo” l’immigrazione instaurando dei “tetti annuali”. Tutti i partiti tradizionali erano contrari in nome dei numerosi accordi stipulati con l’UE, che garantiscono la libera circolazione della forza lavoro europea nonchè un surplus di ricchezza agli svizzeri stessi. Soltanto l’UDC, che qualcuno chiama populista, ma in realtà è una formazione politica nazionalista e conservatrice, era a favore. Così l’establishment svizzero è rimasto a bocca aperta, scoprendo che il bisogno di identità nazionale pesa più del guadagno economico – in Svizzera gli immigrati non “rubano” il lavoro a nessuno, la disoccupazione essendo un fenomeno quasi sconosciuto, anzi producono tangibile ricchezza – nonchè delle relazioni e trattati con l’UE. Quindi un referendum che ben oltre i sondaggi scoperchia la crisi di credibilità e autorevolezza dell’UE, a poche settimane dalle elezioni per il Parlamento Europeo.
Un colpo di tuono ha scritto qualcuno, mentre Liberation titolava la prima pagina “ il virus svizzero”, e tutti si chiedono quanto si diffonderà in Francia, perchè se è pur vero che nei cantoni “francofoni” l’ipotesi nazionalista non ha raggiunto la maggioranza, ottiene comunque percentuali assai alte, per esempio in quello di Ginevra, che dette i natali a Jean – Jacques Rousseau, i favorevoli si attestano quasi al 40%. Tra parentesi, per quanto ci riguarda il Canton Ticino è quello con il più alto numero di voti (68%) a favore dell’ipotesi nazional xenofoba. Tornando in Francia incontriamo Marine Le Pen, leader del Front National (FN), maestra nel maneggiare la questione dell’identità nazionale come una clava. Secondo un sondaggio molto ampio sulle propensioni politiche dei francesi, realizzato da TNS Sofres per Le Monde (13 Febbraio), il 34% dichiara di aderire alle idee di Marine Le Pen, vuol dire: un cittadino su tre! Ancor più impressionante, il 46% degli interrogati dice che Marine Le Pen rappresenta “una destra patriottica attaccata ai valori della tradizione”. Per comprendere appieno cosa questo significhi, bisogna sapere che in Francia la parola “ nazionalista” ha un’accezione reazionaria, mentre “patriota” da Robespierre in poi sta piuttosto sul fronte dei democratico rivoluzionari. A sinistra si usa dire che i nazionalisti manifestano l’odio per gli altri, gli stranieri, i diversi ecc.. mentre i patrioti incarnanano l’amore per i loro simili, congiunti, concittadini ecc.. Chiamare Marine Le Pen “patriota” significa inscriverla nella tradizione “democratica”, seppure un po’ tradizionalista. Inoltre il 56% (cinquantasei) valuta che la signora del FN “comprende i problemi quotidiani dei francesi”. Se poi andiamo in visita tra gli elettori dell’ UMP, la formazione della destra classica di derivazione gaullista, il 40% auspica alleanze locali con Marine Le Pen, e il 37% è favorevole a un accordo nazionale col FN. Infine il 43%, cioè meno della metà, pensa che rappresenti “una estrema destra nazionalista e xenofoba”, ovvero il FN è ormai inscritto nel pensiero della maggioranza come un’organizzazione di destra democratica.
Per gli estimatori della UE che volessero consolarsi, soltanto (si fa per dire) il 29% del campione si dichiara per una uscita dall’ euro, tornando al franco. E sempre sul lato dell’ottimismo, su un tema sensibile come l’adozione di bambini da parte di coppie omossessuali, il 46% è favorevole, il 42% contrario – il che spiega perchè Marine Le Pen che ha il naso fino, non abbia mai partecipato in prima persona alle manifestazioni cattolico reazionarie contro i diritti civili dei gay. Nè l’estrema destra si manifesta solo nei sondaggi. Per esempio sono in atto azioni coordinate sul territorio nazionale volte a intimidire le biblioteche pubbliche perchè non espongano al pubblico libri considerati “scandalosi”, specie per i giovani, a tal punto che la ministra della cultura Filippetti è intervenuta in prima persona per denunciare pubblicamente “gli attacchi scandalosi” contro le biblioteche “spazi di libertà”. Questo nella patria dei diritti dell’uomo e dell’illuminismo.
Ma pure nazione di tradizione coloniale, rinverdita dall’intervento militare, voluto dal Presidente eletto dalla sinistra, in Mali e Repubblica Centrafricana. In particolare quest’ultima è percorsa da una pulizia etnica praticata da gruppi armati che innalzano la croce di Cristo. Scrive in un editoriale non firmato, quindi particolarmente autorevole, Le Monde: “Debole, assai troppo debole, il contingente francese è oggi il testimone impotente per quella che dobbiamo ora qualifcare col suo nome, dopo avere a lungo esitato: una epurazione etnica di cui le comunità mussulmane sono le vittime. Accusati di passività la Francia e i suoi soldati, non lo saranno un giorno anche di complicità.?” Concludendo “Risultato, lontano dal pacificare il paese, l’intervento francese ha rovesciato i rapporti di forza (tra milizie mussulmane e cristiane, ndr) e scatenato l’odio (..). Decine di migliaia di mussulmani hanno preso la via dell’esodo. Quante migliaia di uomini, donne e bambini uccisi a colpi di macete? Che lo voglia o no la Francia è imbarcata in questa tragedia.” Se in Centrafrica va male, le cose non migliorano per Hollande in patria. Scrive Alain Duhamel, autorevole commentatore dell’area della sinistra: “Sul piano politico Francois Hollande ha perso la partita.(..) Il Presidente non ha più una maggioranza e non si vede come potrebbe riconquistarla. La sua popolarità è andata in pezzi(..).
Nessun Presidente della V Repubblica ha mai suscitato tanta sfiducia.” E allora in questa situazione cosa fa Hollande? Va in America. Se in Africa la politica neocoloniale è disastrosa; se in Europa la parola francese vale più o meno come un soldo bucato, rinunciando a qualunque politica neokeynesiana e/o ipotesi di new deal – come del resto l’SPD tedesca anche lei prona al rigore di Merkel, troika, BCE, FMI – mentre in Francia “ha perso la partita”, il Presidente tenta la carta atlantica, aspirando a qualificarsi come il miglior alleato di Obama, nonchè puntando a racimolare qualche buon affare con le porte spalancate agli investitori eventuali. Per sopramercato Obama e Hollande cofirmano un articolo pubblicato in esclusiva mondiale su Le Monde e sul Washington Post l’11 febbraio.
Peccato che Le Monde riservi la prima pagina non all’articolo in questione collocato nelle pagine interne, ma a una micidiale vignetta di Plantù, che vale un editoriale. C’è Obama comodamente seduto in poltrona la pipa in bocca e il giornale dispiegato davanti che dice “E se scrivessimo un articolo su Le Monde?”, risponde Hollande “Oh! A quattro mani, ce sera charmant!” emanando un cuoricino rosso, mentre lava i piatti con un bel grembiule da casalinga. La prima evidenza è la disistima fin quasi al disprezzo verso Hollande nella caricatura di un servile quasi cicisbeo – con quel charmant che risuona – nonchè lavapiatti del Presidente USA, mentre tutta la storia della V Repubblica è assiata sulla scelta antiatlantica di De Gaulle, e dopo europeista di Mitterand. Ma c’è una lettura ancora più perfida suggerita dalla vignetta, ovvero che per pubblicare un articolo su Le Monde Hollande ha bisogno della firma di Obama! Nè è soltanto Le Monde, su Liberation un titolo recita “scambiare 2 Hollande contro 1 Obama?”, e non vi dico l’articolo.
Nota bene: stiamo parlando di giornali che hanno appoggiato in modo esplicito la candidatura di Hollande alla Presidenza, tanto che qualcuno all’epoca accusò Liberation di essere diventato una succursale dell’ufficio stampa socialista. Ora la mancanza di una sponda del governo socialista francese per quanto attiene la costruzione di una Europa sociale, dei diritti dell’eguglianza e dei cittadini, rende ancora più urgente una iniziativa di base che operi attivamente su tutti i piani, sia per contrastare la dittatura finanziaria del debito, del rigore, dello sfruttamento, che per proporre progetti alternativi di autogestione, riconversione ecologica, accoglienza e convivenza sociale multietnica e multiculturale, scienza dei cittadini (citizens science), liberazione dei corpi e delle menti, salvaguardia e estensione dei beni comuni. Il che, in tempo di elezioni, significa anche proporre e sostenere una lista come Tsipras, un primo tentativo di coordinamento continentale tra forze, gruppi e singoli disponibili a mettere in moto un processo che nel contempo inceppi questa Europa delle oligarchie e ne metta in cantiere un’altra delle democrazie e della partecipazione diretta. Ricordando la lezione che ci viene dal popolo bosniaco in rivolta e dal Plenum dei cittadini/e di Tuzla, un organo di autorganizzazione e autogoverno come da tempo in Europa non si vedeva.
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