Enrico Pugliese: Baobab Experience: l’intervento, la persecuzione e la resistenza
All’alba di martedì 20 ha avuto luogo l’ennesimo sgombero del Centro Baobab. O, meglio, lo sgombero delle persone che sono rimaste raccolte all’esterno della stazione Tiburtina presidiando il luogo perché si tratta di un punto di riferimento importante per migranti in transito e bisognosi dia accoglienza. Il presidio ha voluto rappresentare la continuità dell’impegno e richiamare l’attenzione sui problemi dei migranti a Roma e in particolare di quelli rimasti privi di accoglienza dopo lo sgombero della settimana precedente (il 13 novembre) effettuato in grande stile con tanto di ruspa della piccola tendopoli che alloggiava i migranti in attesa di una sistemazione da parte dei servizi sociali del comune.
Grande è stata la solidarietà alle vittime dello sgombero espressa da vasti settori dell’opinione pubblica e dalla stampa progressiste oltre che da molteplici organizzazioni della società civile. A questo vasto coro di solidarietà ha corrisposto sul fronte opposto l’entusiastico commento del ministro salvini che si è congratulato per l’operazione. Il giorno dopo il grande sgombero del giorno 13 in un’affollata conferenza stampa, i militanti del Baobab, insieme ad alcuni migranti, facevano il punto sulla situazione denunciando l’insensatezza dell’operazione, la sua crudeltà e le vessatorie forme di controllo sui migranti sfrattati. Era evidente che non c’era alcuna necessità alla base dell’operazione. Inoltre alla cacciata dei migranti, in larghissima parte forniti di documenti regolari, non corrispondeva una sistemazione alternativa nelle strutture di accoglienza previste dai servizi sociali del comune per tutti loro.
Peggio è andata per i migranti che, insieme ai volontari, hanno tenuto in piedi il presidio all’esterno della stazione Tiburtina in condizioni drammatiche, davvero ‘al freddo e al gelo ’, confortati da bevande calde e roba da mangiare portate da gente sensibile accorsa per solidarietà. In questo secondo caso lo sgombero del presidio è avvenuto il giorno 20 senza alcun impegno di collocazione altrove da parte dei servizi sociali del comune che avrebbe l’obbligo di occuparsi di loro.
Ancora una volta si è seguita la linea dello sgombero senza prospettiva di sistemazione: la cacciata come progetto di dispersione sul territorio. L’importante per chi gestisce l’ordine pubblico a Roma è solo sgomberare. Non ha alcuna importanza che fine fanno le persone cacciate. Finanche Minniti – il ministro del ‘decoro’ – aveva stabilito il principio che non si sbatte via la gente senza un collocazione altrove. Principio buono. Ma giustappunto solo un principio.
L’opera di assistenza materiale, sociale e giuridica agli immigrati portata avanti da Baobab ha svolto un ruolo di supplenza delle istituzioni pubbliche. E in questo Baobab experience (questo è il nome ufficiale dell’organizzazione) ha mostrato anche grande capacità di interlocuzione con le istituzioni – generalmente sorde e a volte contrarie -. Ma proprio la qualità e il successo dell’intervento e la capacità di sostenere quelli in maggior difficoltà spiegano l’accanimento da parte della destra xenofoba e la persecutorietà espressa dagli sgomberi
L’attività di assistenza ai migranti svolta dal Baobab diventa importante all’epoca dei grandi sbarchi del 2015. I migranti – la componente eritrea è la più numerosa – sbarcano in Italia perché i barconi attraccano nei porti sicuri più vicini. Una parte di loro arriva a Roma e si accampa alla stazione Tiburtina. Si tratta prevalentemente di‘transitanti’ – termine gergale che, insieme ad altri, è frutto dalla cornice istituzionale della convenzione di Dublino. Il loro progetto è in generale quello di muoversi seguendo la catena migratoria – quell’insieme di relazioni e forme di sostegno tra perenti e paesani – che assiste e informa i migranti e ne definisce così il progetto migratorio.
Le istituzioni pubbliche sono assolutamente assenti. Ma con l’aria che comincia a tirare fin da allora, questo è per qualche verso un bene. I migranti – se si appoggiano alle istituzioni italiane -rischiano di essere intrappolati nelle strutture di controllo – ad esempio gli hot spots previsti dalla convenzione di Dublino – con il rischio restare a marcirvi o di essere deportati. Cercano aiuto in generale per un breve periodo perché intendono proseguire il loro viaggio. Nella sede di Via Cupa, dove ormai Baobab si è trasferito in una struttura dismessa. gli immigrati trovano assistenza e hanno da dormire e da magiare. Baobab diventa così un punto di riferimento fondamentale e una struttura di servizio volontaria gratuita. Nell’ immobile di Via Cupa, sempre tenuto perfettamente pulito e ordinato dai volontari e dai rifugiati stessi, transitano decine di migliaia di persone. Si cucinano ogni giorno due o trecento pasti.
Servono coperte, lenzuola e indumenti: un grandioso tam tam tam stimola persone di varia estrazione a darsi da fare. E i beni necessari arrivano da molte parti. A volte anche cose sbagliate o un po’ inutili da parte di qualche filantropo tirchio che coglie l’occasione per vuotare il guardaroba. Ma in genarle le cose che servono arrivano. Arrivano grazie al moderno tam tam della rete. Su face book si può sapere cosa serve e cosa accade. Amici della struttura vanno su e giù tra via Cupa e i supermercati per portare riso, pasta e latte. C’è gente che si offre per collaborare ma non si sa cosa fargli fare. Ma alla fine ce ne è per tutti. Perché non portare un paio di bambini transitanti a distrarsi e fare un giro in macchina per Roma?. Infatti una cifra che caratterizza Baobab è che l’attività è svolta con impegno ma anche con affetto. E questo è insopportabile per i salvini che si annidano in tutte le forze politiche. E’ per questo che arrivano gli sgomberi.
Il primo arriva a dicembre del 2015. IL tribunale ordina la chiusura di Via Cupa e la restituzione dei locali occupati al proprietario dello stabile. Sgomberato l’immobile, i volontari del Baobab restano comunque sul posto per istrada. C’è una sorta di tendopoli, nei pressi della sede, dove agiscono associazioni mediche e legali. Ma anche questo dà fastidio. E quindi anche questa sorta di presidio è sgomberato: “divieto di dare assistenza”.
Nel settembre 2016 i migranti trovano un nuovo rifugio a Piazzale Spadolini dietro la stazione Tiburtina. Ma nell’aprile 2017, le forze dell’ordine eseguono lo sgombero anche di questo presidio. I migranti si ritrovano quindi in un parcheggio abbandonato alle spalle della stazione. Ancora altre vicissitudini e poi Baobab Experience forma un presidio in un’area battezzata “piazzale Maslax”. Si tratta di un indirizzo non ufficiale : lo spazio dove sorge la tendopoli prende il nome da un migrante somalo passato per il presidio, morto suicida a 19 anni a Pomezia dove si trovava, ospitato in un Centro di accoglienza straordinario, dopo essere stato spedito indietro dal Belgio.
Insomma la quantità di lavoro fatta da Baobab è sterminata e non si ferma. Si calcola che qualcosa come settantamila persone sono passate per Via Cupa o per i campi allestiti dall’associazione grazie ai mezzi donati dalla cittadinanza, ricevendo cure mediche, cibo, una sistemazione per la notte e assistenza legale. I volontari specificano che si tratta prevalentemente di “donne, uomini e bambini in transito verso altri paesi europei o richiedenti asilo in Italia, che a Roma, dopo viaggi estenuanti in cui rischiano dalle torture alla morte, sono costretti ad aspettare circa un mese e mezzo in strada prima di poter accedere alle pratiche legali”. In questo senso gli sgomberi rendono più crudele la situazione di chi aspetta che le istituzioni facciano il loro dovere suoi confronti.
Che succederà? Negli anni dei grandi sbarchi Baobab asssiteva ‘transitanti’. Ora questo passaggio è più difficile. Ci sono quelli che tentano di proseguire, a volte con successo, il loro viaggio. C’è chi richiede le forme di protezione internazionale come ‘richiedente asilo’ o le forme di protezione previste dalla legislazione italiana come giustappunto la protezione umanitaria che il decreto Salvini intende cancellare. Il numero di questi ultimi tende invece ad aumentare per effetto della maggior chiusura e della creazione di un ambiente ostile agli immigrati più o meno in tutti i paesi. Ai transitanti si stanno aggiungendo nuove categorie di immigrati in difficoltà: i‘dublinati’, altro neologismo della politica migratoria Europea. Si tratta dei richiedenti asilo che, arrivati in Italia, invece di presentare la richiesta nel porto di sbarco secondo le indicazioni della convenzione di Dublino proseguono per altri paesi e vengono rispediti indietro. Ci sarebbe da fare un vocabolarietto dei termini dell’ ‘hostile enviroment’, secondo la dizione di Teresa May, prevalente in Europa.
Per chi invece intende partire per altre destinazioni a Roma manca un Hub come invece esiste in altre situazioni. Anche in questo Baobab ha svolto la funzione di supplenza.
Per anni ormai da parte delle amministrazioni capitoline ci sono state promesse di sistemazioni adeguate per il Baobab del quali si riconosce il ruolo sociale. Ma poi non se ne è fatto nulla. L’interlocuzione continua così come la speranza. D’altronde – spiega il coordinatore di Baobab Experience, Andrea Costa “Il Baobab non chiuderà perché continua a esserci bisogno di attivisti che aiutano i migranti in strada. Non ci hanno fermato gli sgomberi precedenti. Non ci ferma neanche questo” E chiama a raccolta per la manifestazione di venerdì 23 novembre davanti a Montecitorio.
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