Carlo Laurenti: Sotto il segno di Andersen. Postfazione al libro “L’umore, l’onore, l’orrore” di Simon Leys
Parallelamente al dibattito curato da Amina Crisma “Ritorno a Confucio” ricordiamo alcuni libri utili per contribuire al dibattito. Iniziamo con il libro di Simon Leys: L’umore, l’onore, l’orrore. Saggi sulla Cina , Casa editrice Irradiazioni, Roma 2004
Tema federatore di questo libro poliedrico è l’amore per la cultura cinese tradizionale e per uno stile morale che l’autore ha incarnato con coerenza, offrendo sotto le apparenze di un sinologo occidentale un compiuto esempio di letterato cinese 1.
Questa raccolta di saggi della maturità rappresenta tutta la gamma del proteiforme sinologo belga Pierre Ryckmans, il quale, in omaggio all’amatissimo Victor Segalen (autore dell’inemulato Réné Leys – il più bel libro, forse, che un occidentale abbia scritto sulla Cina), adottò lo pseudonimo di Simon Leys per firmare una serie di corrosivi pamphlet che al loro apparire lasciarono un’impronta e che ancora oggi, dopo trent’anni, si leggono con spasso. Tra questi, Les habits neufs du President Mao 2 e Ombres chinoises, che, nonostante lo pseudonimo, non mancarono di inimicargli l’establishment accademico francese, all’epoca compattamente enchanté dalla Cina di Mao. Si vuole che da allora dati il suo esilio volontario in Australia, dove per oltre vent’anni insegnò all’Università di Canberra formando una generazione di studiosi.
Se quei testi possono oggi apparire datati, pervasi come sono dall’urgenza del ‘dire ad alta voce’ ciò che nessuno diceva, di svelare sull’altro lato del tappeto istoriato della propaganda i nodi della lotta per il potere, essi mantengono tuttavia un valore storico e letterario. Infatti, anche se la quantità di dati sul periodo della Rivoluzione culturale è infinitamente maggiore di allora, l’enigma storico resta tale.
Oltre a questi interventi ve ne sono altri di un genere diverso, meno acceso e di accento più maturo; tra questi quelli qui tradotti, sparsi in riviste e poi raccolti sotto il titolo L’’humeur, l’honneur, l’horreur 3. Titolo che è una citazione dal principe de Ligne4, maestro di stile e di vita del nostro enfant terrible. Quando, dopo la restaurazione, qualcuno gli chiedeva perché mai non facesse ritorno in Francia, il Principe de Ligne rispondeva con questa frase. Rickmans, alias Leys, trovò che un tale reparti fosse calzante anche per lui, ogniqualvolta gli veniva chiesto perché mai non tornasse in Cina. Ma, inalberato fin nel titolo, quest’omaggio a un principe austriaco che si esprimeva in francese, ed era il prototipo del cosmopolita e forse l’ ultimo esemplare di autentico europeo, ha funzione araldica. Anche Musil riserva a questa figura un silenzioso, significativo omaggio, nel cuore del suo Uomo senza qualità: quando Agathe gira per Vienna in tram e “vorrebbe suicidarsi”, finisce proprio sulla tomba del principe de Ligne5. “Fui nulla per voi” vi trova scritto. Ed è la constatazione della propria inutilità a distorglierla dal proposito. Quest’aristocratico dimenticato, di cui nessuno si è accorto, è forse l’archetipo non solo di Ulrich ma anche di Ryckmans: solo chi è compiutamente parte di una cultura può rendere conto, immergendovisi, di un’altra.
Si devono all’eteronimo Rickmans memorabili traduzioni dal cinese: filologicamente rigorose, aderenti al contenuto intimo del testo, autentici esercizi di ermeneutica, le sue traduzioni sono un termine di paragone. Tra di esse si annoverano trattati di pittura, un testo chiave dell’ottocento cinese, testimonianze su un ‘pittore maledetto’ del ‘800, nonché i poemi in prosa di Lu Xun6 Les mauvaises herbes.
Autore satirico, aforista classico, sferzante come il prediletto Lu Xun, su cui scrisse pagine che meritano di essere tradotte. Nel 1986 uscì La morte di Napoleone7, sapida parabola magrittiana su una fuga indisturbata dell’Imperatore da Sant’Elena, mascherato dal proprio sembiante. Giunto in visita guidata a Waterloo, l’imperatore s’affaccia sul vertiginoso iato tra le parole e le cose, quello che Confucio si riprometteva di colmare, solo gliene avessero dato l’opportunità: “Correggere i nomi!”.
Si tratta di un’altra variazione sul tema dell’ “abito nuovo”, con l’aggiunta del tema dell’esilio, che lo riguardava da vicino. Anni dopo, questo racconto diventerà un film di successo: Gli abiti nuovi dell’Imperatore8.
Leys è anche autore di una straordinaria traduzione dall’inglese, il Two years before the Mast9 di Dana, (“l’altro Melville”) un classico ingiustamente messo in ombra per aver trattato, negli stessi anni, i medesimi temi di Moby Dick. Leys lo rivelò al pubblico francese, riconferendogli il suo giusto posto. Quasi un cavaliere errante, un ronin pronto a raddrizzare torti o accettare sfide talvolta apparentemente fini a se stesse. Come quella duplice, di tradurre i Dialoghi di Confucio in francese (la lingua di Chamfort!) prima per Gallimard nel 1987, dove ogni parola è calibrata, e poi, pochi anni dopo, in inglese. Questa volta tornerà a sfidare il Lunyü adottando lo pseudonimo militante di Simon Leys per avere più libertà pur non rinunciando al rigore filologico e arrivando a quell’immediatezza, a quella concretezza e lapidarietà che finora, nonostante tanti esempi insigni (per tutti, Arthur Waley, il principe dei traduttori) gli apoftegmi del Maestro non avevano raggiunto in quella lingua. Il suo Confucio è un ritratto pointilliste: a piccoli tocchi di pennello fa scaturire dalle schegge rimaste un vivido ritratto. Non si dà ermeneutica migliore di una traduzione come questa.
A compitare questi tour de force si rimpiange che le sue preferenze non siano andate alla vetta, al Zhuangzi, che da tanti indizi si sarebbe indotti a supporre più affine a questo interprete eccezionale. Ma culto per lo stile non vuol dire affinità profonda: il disincanto taoista non avrebbe indotto Leys a raddrizzare torti e ad annunciare a tutti che l’imperatore è nudo. O allora il tono sarebbe stato più lieve. Un rigore morale severo, più “confuciano” informa quelle opere risentite.
Un Leys “taoista” forse lo si trova in questi saggi per nulla polemici, tra le cose migliori che abbia scritto. Come nel primo saggio di L’Humeur, l’honneur, l’horreur, “L’atteggiamento dei cinesi nei confronti del passato”, dove, basandosi su quella che è la sua specialità, la storia della pittura e della calligrafia cinesi (tradusse e commentò lo Hua Yulu di Shitao, uno dei classici della teoria estetica e pittorica10), mette a fuoco un concetto chiave, quello di “copia” e ne evidenzia il suo diverso statuto in Cina e in Europa. Si tratta di una chiave passepartout che, come d’incanto, ci libera da una serie di pregiudizi.
Già R.B.Onians ha mostrato come in molti campi le concezioni degli antichi greci e gli antichi cinesi non fossero poi così distanti11. Ma sul falso e la copia in contesto cinese questo saggio apre porte inedite12. E forse dovremmo anche usare questa chiave per definire la differenza che c’è tra un falso, un apocrifo e un’opera pseudonima. Blackhouse13, il grande falsario, che scrisse di sua mano una biblioteca cinese che vendette alla Bodleyan Library in fondo aveva assimilato un modo. Psalmanaazaar, l’inventore degli usi e costumi di Formosa, dove non era mai stato, ne è un altro esempio14.
Questa raccolta è un autoritratto plurimo: tutte le facce del proteiforme Leys/Rickmans vi sono rappresentate: il sinologo umanista, il traduttore e teorico della traduzione, il critico militante. Come Pessoa, Ryckmans sa di essere multiplo. Poeta che si dissimula sotto vesti di traduttore, sembra ritenere che fintantoché le cose che si vogliono scrivere son già state scritte, esse vanno tradotte, elucidate: si può scrivere solo quando non si trova da nessuna parte già enunciato quel che si vuole dire15.
Alla sintesi elegante del primo saggio, segue un’omaggio a Segalen; il suo modello (dal cui capolavoro, René Leys, come già visto, ha tratto il proprio pseudonimo16). A questo fanno pendant gli interventi “corsari”, le stroncature sacrosante ed esilaranti dei falsi maestri cui in poche frasi riduce il pulpito in trespolo. Rètore persuaso, il suo tono è vibrante. Schiva il ruolo di maestro, come Lu Xun – che di pseudonimi ne ebbe centoventi – gioca con l’identità. Insegue la trasparenza: il traduttore è per lui ‘l’uomo invisibile’. Quest’ideale riecheggia l’idea di prosa di Orwell, un’altro dei suoi autori17: una finestra dai vetri tersi.
Negli anni, forse grazie all’isolamento australiano, Ryckmans si trovò a rappresentare la vecchia Europa. Affiora allora un altro Leys, il saggista letterario che torna sui classici così noti da essere sepolti dall’indifferenza: Protée et autres essais18 è incentrato soprattutto sulla sfuggente figura di Gide; il saggio che lo riguarda e che dà il titolo al libro è forse uno specchio indiretto del nostro proteiforme autore. Gli altri sono altrettanti inviti a scoprire Hugo, Cervantes, etc.: torna il leitmotiv che ciò che crediamo arcinoto è ignoto, che l’Evidenza maschera, nasconde, cancella. Si tratta di ripristinare la freschezza del primo sguardo, quello del bambino di Andersen, il solo a vedere il re per come è: nudo. Così il connaisseur torna a ‘riconoscere’ il falso dall’autentico, all’infinito.
NOTE
1 Capace, ci ricorda Leys nel suo commento a Confucio, anche di abilità tecniche, di usare le armi, di condurre il carro, di progettare opere pubbliche e amministrare la giustizia.
2 Del 1971. Questo libro venne tradotto in italiano nel 1977 dalle Edizioni Antistato, ma ebbe scarsa circolazione. Ombre cinesi uscì nel ’80 nella collana “1984” della Sugarco.
3 Anche se in italiano la rima resta, viene però a mancare quel crescendo, in cui risiede tutta la sua efficacia. 4 Del prince de Ligne cf. presso Sellerio Il giardino di Beloeil e……
5 L’uomo senza qualità, trad. Anitha Rho, Einaudi, Torino 1970, p.932.
6 È appena uscita, da Quodlibet, Erbe selvatiche, nella traduzione di Edoarda Masi. Schweiller ne aveva pubblicata nel …. una di Anna Bujatti.
7 Edita da Irradiazioni nel 2002.
8 Regia di Alan Taylor.
9 Due anni a prora, ed. de Agostini
10 Pierre Ryckmans, Les “Propos sur la Peinture” de Shitao, Institut belge des hautes études chinoises, Bruxelles 1970.
11 Le origini del pensiero europeo, Adelphi, 1998.
12 Cf. Anthony Grafton, Falsari e critici. Creatività e finzione nella tradizione letteraria occidentale. (1990) Einaudi, 1996.
13 Cf. Rodney Needham, Exemplars, University of California Press, 1985, p.75 e seg.: “Psalmanaazaar, Confidence-man.” (tr. it. Casi Esemplari, La Medusa, 2002).
14 Cf. Hugh Trevor-Roper, L’eremita di Pechino, la vita nascosta di Sir Edmund Backhouse, Adelphi, 1981.
15 Si vedano anche le variazioni sull’arte della traduzione ora raccolte, insieme ad altri saggi, in L’Ange et le cachalot, Seuil, 1998 (di prossima pubblicazione presso questa casa editrice).
16 Di Segalen condivide la venerazione sacrale per la cultura cinese: il solo fatto di parlarne equivarrebbe a simonia, commercio di cose sacre. Lo pseudonimo Simon nasce di qui.
17 Cf. Orwell ou l’Horreur de la politique, Hermann, 1984 (sic).
18 Gallimard, 2000, premio Renaudot 2001.
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