Gianni Rinaldini: Così non si va da nessuna parte!
Diffondiamo da “Inchiesta” gennaio-marzo 2014 l’intervento di Gianni Rinaldini al Congresso della Camera del Lavoro di Brescia del 5-6 marzo 2014 (era presente Susanna Camusso) per favorire “un vero confronto sul futuro del sindacato che abbia il coraggio di uscire dal pantano dell’autoreferenzialità”
Ringrazio per lʼinvito che mi è stato rivolto da parte della segreteria della CdL di Brescia. Nei limiti di tempo che ci siamo dati intendo sviluppare un ragionamento che va al di la delle singole questioni che giustamente sono state richiamate più volte negli interventi.
Mi riferisco al fatto incontrovertibile che tutte le conquiste degli anni ’60 e ’70, sono state totalmente smantellate. Non c’è rimasto più niente. Il mio ragionamento si focalizza su un aspetto che ritengo dirimente, quello della democrazia che costituisce nello stesso tempo, metodo e merito.
Ritengo la situazione che abbiamo davanti molto pericolosa, nel nostro paese, in Europa a livello internazionale. Le varie vicende che si susseguono, l’ultima in ordine di tempo è quella dell’Ucraina, hanno a che vedere non tanto e solo con la democrazia, ma sono l’espressione di una fase di transizione e ridefinizione degli equilibri economici, politici e militari su base globale.
Non scordiamoci che le crisi del passato comparabili con quella attuale, sono state risolte attraverso tragedie immani che è meglio non evocare, che sono state lo strumento per ridefinire gli assetti mondiali.
Lo rammento perchè quando si determina una situazione di disagio sociale, quando fai i conti con la disoccupazione, con la precarietà, come condizione di vita e di lavoro, con l’incertezza di non sapere se la prossima settimana riesci a portare a casa uno stipendio o un sussidio, vuole dire la pura e semplice disperazione.
Una tale situazione di per se, non va a sinistra, questa è una favola che a volte ci siamo raccontati. Questo a me pare il punto decisivo perchè lo smantellamento, la distruzione di tutte le conquiste sociali, è stato fatto attraverso la cancellazione della democrazia nel lavoro. Mi riferisco alla cancellazione del diritto di parola e di decisione delle lavoratrici e dei lavoratori sulle proprie condizioni normative e retributive, come parte essenziale e decisiva della crisi della democrazia politica.
Facciamo attenzione perchè quando nel vissuto delle persone, la democrazia diventa irrilevante perchè tanto decidono tutto gli altri, siano essi i politici, le istituzioni, le organizzazioni di rappresentanza sociale, si determinano le condizioni, lo stato d’animo, il “sentire comune”, su cui possono innestarsi le avventure più strane. La democrazia sociale non è scindibile dalla democrazia politica.
Questo è successo nel corso di questi anni, prima e durante la crisi, perchè incompatibile con il modello di sviluppo del capitalismo finanziario. Questo è l’aspetto dirimente.
Noi facciamo i conti con unʼidea del mondo e della società che si esprime in modo diverso a secondo dei singoli paesi, che si può riassumere in un elemento, per quanto riguarda il lavoro: la totale concorrenza tra lavoratori e lavoratrici, la logica di puro mercato nel rapporto tra i lavoratori, la concorrenza tra lavoratori e lavoratrici nel singolo paese e tra i diversi paesi, tra aziende e aziende, in una rincorsa al ribasso a chi offre condizioni migliori alle imprese per il profitto e la rendita finanziaria. Questo processo ha messo in crisi tutte le organizzazioni sindacali di tutti i paesi industrializzati perché ha messo in crisi le fondamenta su cui è nato il sindacato.
Noi su che cavolo siamo nati? Perché siamo belli, simpatici? Noi siamo nati perché a un certo punto i lavoratori si sono uniti per contrattare la loro condizione e per superare una logica di concorrenza tra i lavoratori. Da qui nasce il movimento sindacale e da qui nasce poi il percorso di conquista del Contratto Nazionale delle tutele e di tutte le cose che abbiamo conosciuto.
Oggi il sindacato o è in grado di mettersi in discussione e di interrogarsi in una situazione totalmente nuova su come fare vivere quei valori di libertà e giustizia sociale o saremo travolti. Nè più, nè meno di quello che è avvenuto nel percorso e nella deriva delle forze politiche!
Questa discussione a tutto campo non lʼabbiamo mai fatta neanche in questo congresso e abbiamo in qualche modo pensato che attraverso questo o quellʼaccordo cʼera da pagare un pegno, ma dopo, tutto riprenderà come prima. Invece non riprenderà un bel niente!
Siamo dentro ad un processo che richiede da parte nostra la capacità di ridefinire quei valori e la nostra idea di trasformazione della società, di quale società vogliamo, quali sono gli elementi fondamentali su cui noi operiamo e agiamo anche nellʼattività quotidiana della contrattazione. Senza questo la confederazione non esiste. Senza unʼidea di carattere generale, la confederazione come organizzazione che mette assieme tutti i lavoratori dipendenti e tutti i pensionati, diventa una pura struttura gerarchica, senza un progetto di questa natura la confederazione in quanto tale è destinata anchʼessa ad essere travolta da una crisi profonda.
Questa crisi non la si risolve con i riconoscimenti da parte del Governo o di Confindustria, ma mettendoci seriamente in discussione e aprendo un confronto con i lavoratori e le lavoratrici. Molti interventi hanno richiamato ciò che è avvenuto con il Governo Monti, a partire dalla devastazione del sistema previdenziale.
Riflettiamoci un attimo, la conquista del sistema previdenziale universale è avvenuta nel ’68 a conclusione di un forte conflitto sociale. La sua modifica nel ’95 è stata oggetto di un accordo sindacale con il Governo Dini, dopo una grande mobilitazione che ha determinato la crisi del primo Governo Berlusconi.
Quell’accordo fu sottoposto al voto referendario delle lavoratrici, dei lavoratori e dei pensionati e fu approvato con una esigua maggioranza. Adesso la situazione è esattamente capovolta, hanno fatto un operazione complessiva su Mercato del Lavoro, pensioni e ammortizzatori sociali, senza alcun reale contrasto sindacale.
Non è soltanto il problema delle 3 o 4 ore di sciopero, ma del fatto che noi non abbiamo costruito una proposta diversa da discutere e proporre, alla validazione democratica, su cui aprire una vera e propria vertenza con il Governo. Abbiamo invece scelto di assistere a questa devastazione esprimendo delle opinioni, partecipando al dibattito politico.
Sulla contrattazione e sulle tutele è avvenuta la stessa cosa. Hanno fatto di tutto, dalla abolizione sostanziale dell’art.18, alla distruzione del Contratto Nazionale con l’art.8, fino ad arrivare ad un decreto sulla detassazione del premio aziendale variabile di produttività, che scatta se rientra nei criteri definiti dalla legge e che incentiva persino gli straordinari. Tutto ciò è avvenuto cancellando la democrazia.
Colloco in questo quadro il ragionamento riguardo allo stato della CGIL. Ho fatto anch’io dei congressi. Potrei dire che sono andati bene perché gli emendamenti che ho presentato hanno raggiunto un esito superiore alle aspettative. Non è vero! Bastava guardare in faccia chi ci ascoltava. Non prendiamoci in giro, i congressi ci hanno fatto toccare con mano il livello di distacco e di crisi che ormai si è determinato. I congressi fatti in questo modo non servono a niente.
Congressi dove tutto lo decidiamo noi, noi del comitato direttivo che decidiamo i diversi documenti, gli emendamenti e le procedure, praticamente tutto! Successivamente il tutto viene scaricato addosso ai delegati e ai lavoratori in assemblee di 1 ora (nella realtà sono effettivamente poco più di quaranta minuti), dove si illustrano i documenti, gli emendamenti e nel migliore dei casi ci sono 1 o 2 interventi e poi si passa alle votazioni. I lavoratori, le lavoratrici iscritti e non iscritti al sindacato che partecipano a quelle assemblee, semplicemente non capiscono di che cavolo stiamo discutendo. I congressi fatti in questo modo sono deleteri, per la stessa immagine della Cgil.
Va rovesciato il meccanismo stesso del congresso, bisogna definire una procedura di coinvolgimento dei delegati nelle scelte che si vogliono compiere: e il comitato direttivo solo a quel punto decide i documenti che vanno alla discussione congressuale. La democrazia è lo strumento fondamentale su cui fare leva, e questo viene confermato dalle ultime vicende che hanno di fatto cambiato il significato dei testi congressuali.
Il Testo Unico sulla Rappresentanza, siglato il 10 gennaio 2014 da Cgil, Cisl Uil e Confindustria, non è un brutto accordo che vale 3 o 4 anni, e caso mai recuperabile nell’accordo successivo. Stiamo parlando di un accordo che modifica e completa diversi passaggi, accordo del 28 giugno 2011 e quello del 31 maggio 2013, che segnerà profondamente un intero ciclo di vita delle relazioni sindacali e della rappresentanza sociale nel nostro Paese. Non a caso sostituisce un accordo di oltre 20 anni fa. In sostanza si definisce la validazione, esigibilità e funzione dei Contratti Nazionale e Aziendali. Delle organizzazioni private, definiscono in modo organico, per se, e per gli altri, le regole della democrazia e della libertà sindacale, come se ne fossero i proprietari.
I diretti interessati, cioè i lavoratori e le lavoratrici hanno il diritto di decidere sui loro contratti? Per noi, per le Organizzazioni sindacali, i lavoratori e le lavoratrici sono dei soggetti oppure sono semplicemente l’oggetto delle nostre decisioni? Questo interroga la Cgil.
La Confederalità è la costruzione di una sintesi di posizioni diverse, tanto più nella fase che stiamo attraversando. Quando affronti questioni cosi delicate e vitali, di cui sai che nel corso di questi anni si sono svolte esperienze e situazioni contrattuali diverse, attenzione ad intraprendere strade che possono essere pericolose per tutti.
A proposito di democrazia, siamo un paese in cui c’è un governo (che dice di voler andare avanti fino al 2018) e un parlamento che è stato eletto con la legge del 1923, il primo atto che fece Mussolini prima di compiere l’atto successivo. Formalmente non è illegittimo, ma la situazione è questa ed è una vergogna.
Siamo un paese dove è stato possibile chiudere sedi sindacali, mettere sigilli alle sedi sindacali della FIOM negli stabilimenti FIAT, e non è successo niente. C’è voluta la Corte Costituzionale a difendere la democrazia, perché noi non c’eravamo, perchè la stessa Cgil non ha nemmeno tentato di costruire una mobilitazione a difesa della democrazia in tutti i luoghi di lavoro. Per fortuna la Corte Costituzionale ha sanzionato quell’atto.
In una situazione di questa natura, la confederalità non può che essere costruita sul massimo di coinvolgimento, passaggio per passaggio nella stessa definizione del testo degli accordi. Non si possono fare trattative con due o tre persone della segreteria di cui nessuno sa nulla, a partire dai segretari generali di categoria. Così non si va da nessuna parte!
Se uno sa che ci sono quei problemi, non è possibile che il Segretario Generale della Cisl, faccia la riunione con l’esecutivo della FIM quattro giorni prima che noi conoscessimo l’accordo, per capire con la FIM se le modifiche fatte gli andavano bene o meno.
Non è possibile che in Cgil non ci sia la delegazione trattante. Così non si va da nessuna parte perché questa è un’idea della confederalità – ve lo dice uno che è da 25 anni nel Comitato Direttivo Nazionale – che non ho mai conosciuto. E un’altra cosa. Questi atti si configurano come la successione di una serie di colpi di mano, e per favore, non diciamo che l’accordo del 28 giugno del 2011 è stato approvato dagli iscritti con una consultazione che definisco, per pudore, “creativa e fantasiosa”.
Come ex segretario generale della FIOM non so come avrei reagito, perché c’è un limite anche all’umiliazione di una categoria e del suo Segretario Generale.
Vi dico semplicemente, so che siamo in una fase congressuale successiva alle assemblee di base: attenzione, fermiamoci prima di farci del male. Dove andiamo a finire? Perché una consultazione come quella che è stata decisa dal comitato direttivo nazionale, che si svolge non sul testo dell’accordo, ma sull’ordine del giorno votato dallo stesso comitato direttivo, è ridicola.
Si tratta di una furbata, perché votare il testo sarebbe stato incompatibile con le assemblee unitarie dove CGIL CISL UIL illustrano, nel senso che informano, tutti i lavoratori e le lavoratrici dell’accordo già siglato. In verità l’accordo del 31 maggio aveva trovato l’opposizione della FIM e della UILM, con tanto di documenti ufficiali, che per esempio, hanno continuato per sette mesi ad eleggere le RSU – con la logica dell’1/3 garantito – fregandosene dell’accordo interconfederale.
Le novità che sono state aggiunte nell’accordo sul Testo Unico, sono quelle che chiedevano FIM e UILM per renderlo compatibile con gli accordi che loro avevano sottoscritto a partire dalla Fiat. Non a caso quando hanno ottenuto quelle modifiche, il giorno dopo hanno diffuso un volantino che inneggiava alla scomunica della FIOM.
Per l’insieme di queste ragioni, il Comitato Direttivo Nazionale non può essere messo nelle condizioni di votare, tutte le volte, testi di accordi che sono già stati siglati. La sintesi confederale è una costruzione che presuppone il pieno coinvolgimento delle categorie nel percorso negoziale, nella valutazione dello stato di avanzamento dei testi degli accordi confederali. In caso contrario l’utilizzo del Comitato Direttivo come una clava per risolvere la dialettica interna alla organizzazione non appartiene alla storia della Cgil.
Il Comitato Direttivo della Cgil, non può funzionare come se fosse una società per azioni con l’Amministratore Delegato, perché in questo modo si mette a rischio la confederalità. Non è accettabile, è da irresponsabile che la segretaria generale della Cgil invii l’intervento del Segretario Generale della FIOM, svolto nel corso del comitato direttivo, al collegio statutario della Cgil per acquisire il giudizio di sanzionabilità. Lo sappiamo tutti che il collegio statutario non sconfesserà mai il Segretario Generale della Cgil.
Abbiamo bisogno di altro, di un vero confronto sul futuro del sindacato che abbia il coraggio di uscire dal pantano dell’autoreferenzialità. La strada imboccata non favorisce questo confronto e corre il rischio, alla fine, di mettere in discussione la tenuta della Cgil.
Category: Lavoro e Sindacato