Francesco Raparelli: Prove di coalizione sociale
Diffondiamo dal blog di Francesco Raparelli de Il fatto quotidiano del 28 febbraio 2015
Si discute molto in questi giorni di Coalizione sociale. Ne ha discusso lo Strike Meeting a Roma, un paio di settimane fa, ne discutono i metalmeccanici in questi giorni a Cervia, pongono il problema da tempo i professionisti “atipici” (non legati agli ordini) di ACTA. Così è insistente la discussione sulle forme, semmai sui soggetti (bastano precari e studenti, se la cavano gli operai con la “società civile”, bene che gli autonomi se la vedano tra loro), che stentano a emergere in primo piano le pratiche. Proviamo a rovesciare il problema: partiamo dalle pratiche di coalizione, dalle esperienze di connessione, se volete lacunose, tra professionisti e precari, studenti e disoccupati, lavoro dipendente e quello senza diritti.
Nel segno dello Strike Meeting e del suo slogan «Incrociamo le lotte», vale la pena leggere la bella giornata di venerdì 27 febbraio. Grazie alla mobilitazione degli avvocati di MGA, in tante e tanti hanno partecipato allo Speakers’ Corner che si è svolto in piazza Cavour, nei pressi della Cassa forense. Un momento prezioso per raccontarsi e riconoscersi, a partire dall’istanza dell’equità fiscale e previdenziale. Prove di coalizione, niente di più, ma sicuramente prototipi su cui è bene appuntare l’attenzione.
Oltre agli avvocati, venuti da tutta Italia, soprattutto dal meridione, una ampia partecipazione dei farmacisti, dei geometri, dei giornalisti, degli archivisti. Poi i professionisti atipici, i parasubordinati, gli studenti che animano lo Strike Meeting. Attraverso la formula – assai efficace – dello Speakers’ Corner, si sono alternati decine di interventi: un affresco del mondo del lavoro contemporaneo, dell’impoverimento drammatico che, in Italia, investe la forza-lavoro qualificata. Non c’è stato intervento che non abbia insistito sul blocco della mobilità sociale, sulla necessità di ripristinare il principio di progressività dell’imposta, sulla violenza dei sotto-compensi e dell’apartheid del welfare che riguarda gli autonomi.
I professionisti degli ordini, gli avvocati in primo luogo, sono afflitti dalla riforma voluta da Monti nel 2012. Il censo, il fatturato, sta diventando la condizione per rimanere avvinghiati alla professione. Per chi non ce la fa, per chi non ha le spalle coperte dal genitore professionista o dalla famiglia danarosa, si prospettano l’espulsione, la disoccupazione. Stesso destino se non si pagano le casse previdenziali (quelle degli ordini sono oltre 20). Negli anni ’80 e ’90 del secolo scorso, in decine di migliaia hanno inseguito il sogno delle professioni liberali: troppi, ci ricordano le retoriche neoliberali “all’amatriciana”, ora è venuto il tempo di frantumare il sogno, di rimandare a casa i sognatori.
I professionisti atipici, nonostante l’approvazione del Milleproroghe, sono i più fragili. Per tutti loro è spesso faticoso definire i confini della propria professione, niente tabellari e dunque quasi sempre retribuzioni da fame, spirito di corpo (per fortuna dico io) neanche a parlarne. La gestione separata dell’INPS, introdotta dalla riforma in senso contributivo delle pensioni del 1995, impone un’aliquota sempre più proibitiva, con la riforma Fornero spinta fino al 33%. Gli aumenti previsti dalla Fornero, anche per quest’anno, sono stati rinviati. Ma di rinvio si tratta, e non di intervento strutturale. Per non parlare della cancellazione, anch’essa soltanto rinviata, del regime dei minimi, della completa assenza di welfare (rispetto alla malattia, ad esempio), dei mancati pagamenti o dei ritardi senza fine degli stessi.
Questo mondo, oltre un milione di lavoratori in Italia, comincia a parlarsi, la mattinata di venerdì lo ha dimostrato. Tanti gli elementi comuni che emergono in primo piano. Eppure stiamo parlando di una mobilitazione, a volte molto efficacie, che spesso procede solo sul web, mescolando tradizionale agire da lobby (in rapporto diretto con parlamentari e partiti) ed effervescenza comunicativa. Più difficile che la mobilitazione trascini i selfie nelle piazze. Ieri mattina questo è accaduto e, vista la convergenza delineata dai tanti interventi al microfono, accadrà di nuovo, sotto la sede dell’INPS come sotto quella delle altre casse previdenziali. Un segno importante, perché non è mai scontato che, di fronte al blocco della mobilità sociale, alla ri-feudalizzazione, all’impoverimento del ceto medio, si reagisca con la solidarietà e la cooperazione.
Tornando alla Coalizione sociale a venire. Dice il maestro René Ferretti che la televisione italiana funziona secondo il principio “un tanto ar chilo”, non c’è posto per la qualità. Lo stesso principio vige nel sindacato italico. Sfoderati i milioni di iscritti (di cui la metà pensionati), poco conta mettersi in relazione con poche centinaia di professionisti e parasubordinati che si uniscono in una piazza romana. Ma è per questo che oggi Renzi può permettersi di piegare, di più, umiliare i sindacati, destinati a un declino per nulla tiepido. Per riflettere seriamente di Coalizione bisognerebbe capire che non basta più “un tanto ar chilo” e che, di fronte all’offensiva in atto, solo la solidarietà tra i non sindacalizzati può fare la differenza. Se Coalizione, allora cooperazione paritaria tra diversi, “piccoli” e “grandi”.
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