Bruno Giorgini: In vita di Luigi Mariucci
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Premessa. Nei giorni immediatamente seguenti la morte di Luigi Mariucci ho tentato di scrivere. Per lenire il dolore. Per ricordarne la vita. Ma non potevo. Dovevo aspettare che il dolore allentasse la sua presa totalitaria e violenta dal cervello nonchè dal cuore, per diffondere e spalmarsi sull’intero corpo dai piedi ai capelli, e quindi permettermi di mettere in fila le parole. Tutto ciò che è dicibile è sopportabile, e allora la morte di Gigi era per me del tutto insopportabile, quindi indicibile. Oggi ci provo. A dire non la sua morte che rimane insopportabile seppure dev’essere sopportata, ma la sua vita. Pezzetti della sua vita, che, come il figlio Lorenzo ha ricordato nella bellissima lettera indirizzata al padre, è stata “una vita complessa”.
Luigi Mariucci fu, è, mio amico esattamente nel senso che ci insegnarono gli antichi greci, secondo cui l’amico mio è “l’altro me stesso”.
Nei primi anni ’60 del secolo scorso. E’ una mattina di scuola ma c’è lo sciopero, il primo o secondo al nostro liceo, il glorioso G.B. Morgagni di Forlì, piuttosto conservatore col Preside fervente democristiano.
Alcuni di noi hanno deciso di fare un picchetto. Non di quelli duri e robusti degli anni a venire ma una specie di filtro che rallenti il flusso e ci permetta di parlare, tentando di persuadere i nostri compagni a restare fuori dalle aule. Forti anche del fatto che lo sciopero coinvolge tutte le scuole superiori della città.
Così incontro Luigi Mariucci, che conoscevo solo di vista, il quale partecipa, presentandosi come segretario nazionale della FGR, la federazione giovanile repubblicana. Mi misi a ridere dicendo: dovete essere almeno due, o sbaglio? Senza cattiveria, epperò sul momento Mariucci si adonta giusto un poco, ma intanto avevamo altre cose da fare. Perchè sono arrivati parecchi militanti della Giovane Italia, i giovani dell’MSI, i neo fascisti. Così ci rifugiamo sulla scalinata, alcuni gradoni che portavano all’entrata, e cominciarono i cucci e spintoni.
Tra una spallata e l’altra con Gigi diventammo amici. Dopo conobbi Ado suo padre persona splendida, e imparai un mucchio di cose della politica.
Per esempio che si poteva essere progressisti senza militare nel PCI e/o nel PSI – venivo da una famiglia comunista fin dagll albori, voglio dire il congresso di Livorno o giù di lì – e che non tutti i repubblicani erano dei voltagabbana, che seppure a un certo punto dell’ascesa di Mussolini avevano rotto l’unità antifascista, dopo La Malfa capo dei repubblicani, aveva fondato il Partito d’Azione, uno dei più combattivi nella Resistenza. Insomma il mio campo di osservazione politico diventò assai più largo e aperto. Nonchè più tollerante. E antistalinista, che fu un bel salto nella libertà. Intanto venivo scoprendo Gramsci, e anche questo ha aiutato.
L’ origine di questo slargo mentale, una sorta di Big Bang che generò un nuovo cosmo, e per me una nuova traiettoria, fu certamente Gigi, e la mia amicizia con lui.
Una sera di qualche anno dopo. Nel salone comunale di Forlì pieno zeppo. La sonnolenta città di provincia sembra vibrare tutta. Ci si aspetta che la famosa contestazione si manifesti. In qualche modo. L’idea che circola è occupare il salone.
Bisogna farlo bene, senza strappare con l’amministrazione, epperò farlo!
Una serie di interventi che navigano a vista, guardinghi poi Gigi architetta un discorso che porta all’occupazione in punta di diritto. Il diritto di noi cittadini che siamo lì: cittadini molto critici, ma non un gruppo di guastatori della civile convivenza, più o meno impazziti. Così quando la parola è pronunciata, l’occupazione avviene da parte di tutti i presenti. Dopo siamo stretti l’uno all’altro mentre la polizia ci trascina fuori.
Un’ altra immagine. Siamo all’università, facoltà di giurisprudenza, in pieno ’68. Si svolge un’assemblea che deve decidere l’occupazione. La situazione è melmosa, il dibattito di strascina finchè non vedo Mariucci saltare sulla cattedra e in piedi proclamare l’occupazione in atto con un discorso che trascina tutti, sotteso da applausi scroscianti.
Gigi che difende il picchetto liceale. Gigi che occupa il salone comunale di Forlì praticando la resistenza passiva. Gigi che salta sulla cattedra in occupazione di una facoltà. Tre episodi, ma molti altri ce ne sono, che raccontano come Luigi Mariucci sia stato non solo l’intellettuale che tutti abbiamo conosciuto, non solo una persona dall’eloquio brillante e dall’intelligenza critica tagliente e profonda insieme, ma anche un uomo d’azione dotato di audacia e grande coraggio. Nonchè di un indomabile spirito ribelle.
A questo punto possiamo tentare di dipanare il nodo del suo pensiero e percorso politico. Luigi Mariucci fu tra i fondatori di Lotta Continua a Bologna e in Emilia-Romagna, una delle personalità di spicco dell’organizzazione. Finchè a fronte di quella che egli riteneva una deriva estremista (sto semplificando al massimo, col rischio di distorcere la realtà – mi si perdoni) decise di uscire. Lo fece con un discorso per certi versi drammatico e traumatico per molti di noi, amici suoi prima che compagni (e amici restammo). Il centro della sua arringa appassionata fu che egli rimaneva un militante di classe, un militante del Movimento Operaio, e che in quell’ambito ci saremmo prima o poi reincontrati. In realtà Lotta Continua di lì a qualche tempo si sciolse.
Vorrei dirla così. Esaurita o in via di esserlo, la prospettiva – o illusione che dir si voglia – rivoluzionaria nel nostro paese, egli riteneva che fosse necessario rientrare nell’alveo riformista (se Gigi mi leggesse sarebbe assai insoddisfatto di questo schematismo, di questo esprit de geometrie, lui che praticava da maestro l’esprit de finesse, ma tant’è).
Personalmente mi sono fatto convinto che la sua guida teorica, se non filosofica, fosse Piero Gobetti. In particolare laddove scrive: “Il realista sa che la storia è un riformismo, ma sa pure che il processo riformistico, nonchè ridursi a una diplomazia di iniziati, è prodotto dagli individui in quanto essi operino come rivoluzionari, attraverso nette affermazioni di contrastanti esigenze.”
In fine. Non è facile raccontare una vita come quella di Luigi Mariucci, anche limitandosi alla sola vita politica, in poche sparse parole. Più precisamente: è impossibile. Ho voluto tentare per in qualche modo salutarlo. D’altronde fin da ragazzini non abbiamo mai smesso di discutere accaniti. Come una delle ultime volte quando ci incontrammo per caso a Parigi, al metrò Odeon, e tu amico mio carissimo mi invitasti a prendere una “piccola colazione”. L’ultima credo che facemmo insieme.
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