Bruno Giorgini: Impressioni di sciopero a Bologna
E’ stato un bello sciopero e tonificante, che di questi tempi non è poco. Ai cortei c’è un mucchio di gente e la più varia. I pensionati dello SPI e i metalmeccanici della FIOM, i giovani dello sciopero sociale e i vecchi che ne hanno viste tante, cui Renzi non fa neanche un baffo come mi dice un amico, quelli/e della Zanichelli e i lavoratori del teatro comunale, le ragazze vivacissime in cordone e le operaie più seriose composte, il compagno che dopo trentanni di CGIL è passato all’USB (Unione sindacale di base) e il giovanotto di primo pelo iscrittosi alla CGIL l’altro ieri o poco più che sgrana tanto d’occhi, ha da essere la sua prima manifestazione, quelli che ancora vendono Falce e Martello, gruppo storico che data da quando ero giovane cioè oltre cinquantanni fa, forse prima, e la fanciulla battagliera che si porta addosso le bandiere della neonata “ L’Altra Emilia Romagna”, sorellina minore dell’”Altra Europa”, a sua volta figlia di Siriza, la formazione della sinistra greca guidata da Tsipras oggi in prima linea, prevedendosi elezioni anticipate a breve nell’Ellade, patria della democrazia che la troika (CEE; FMI; BCE) e i mercati vorrebbero annichilire.
Un mondo del lavoro ricco e per niente rassegnato, nemmeno rancoroso e/o troppo arrabbiato, sebbene ne avrebbe ben donde; piuttosto determinato, direi cocciutamente determinato, sceso in campo contro tutti i pronostici, dato per sconfitto, anzi moribondo e che pare non abbia molta voglia di ottemperare a questo decreto di morte deciso da governo, confindustria, finanza, burocrazia europea e buona parte dei media dell’establishment, nonchè quasi tutta la politica ufficiale, in primis il partito della nazione PD.
“Qui non è come in parlamento che quello là pone la fiducia e chi s’è visto s’è visto. Vuol metterci la faccia, che venga qua a dircelo in faccia!” Un po’ estremisti questi lavoratori vien da dire, e comunque “adesso qualcuno dovrà darci retta – la legge è votata ma ci sono i decreti attuativi e lì ti voglio mio bel renzi, perchè se no saremo di nuovo qui e più incazzati, parecchio più, che è già successo che volessero metterci i piedi sul collo…”
Nei più anziani si respira una sorta di lontano ricordo, quel Luglio ’60 che vide la rivolta delle magliette a strisce contro il governo Tambroni in quello che Togliatti chiamò “un grande sussulto democratico”. Pare uno scontro appena cominciato, questi lavoratori e lavoratrici non paiono venire da sette anni di crisi durissima, sembrando invece in piena vitalità come se il conflitto finalmente dispiegato e aperto avesse iniettato nuove e insospettate energie nel corpo sociale del lavoro, come se stesse nascendo una nuova soggettività ribelle e insubordinata alle leggi dei mercati (in realtà i mercanti) e dei padroni.
D’altra parte che cosa significa “dignità del lavoro” se non autonomia intellettuale, politica e sindacale dei lavoratori, dei loro bisogni e diritti, rispetto ai dictat di padroni e mercati, e dei governi, che ai mercati s’inchinano e dalla confindustria mutuano, se non copiano, la loro “riforma” del mercato del lavoro, come ha puntualmente certificato e sottolineato il sindacalista che ha svolto il comizio finale, riferendosi al governo renzi. Adesso mi viene una domanda. Tutta questa ricchezza e complessità del Movimento Operaio sceso in sciopero e quindi in corteo oggi come può diventare un luogo permanente del dibattito pubblico.
Perchè alla fine della manifestazione tutti/e si è tornati a casa e domani chi sarà in ufficio, chi in reparto, chi a smaltire il tempo del pensionato, chi a inseguire l’ennesimo lavoro precario, chi in università, chi al liceo, chi chino al computer – diciamo i lavoratori cognitivi cosidetti – e chi alle presse – i lavoratori manifatturieri, chi a controllare la busta paga e chi la sua partita IVA, chi a cercare un lavoro e chi a sacramentare perchè non arriva alla fine del mese, chi nel turno di notte chi nel turno di giorno eccetera eccetera. Ovvero ciò che nel corteo appariva unito, segmento dopo segmento, tornerà a essere diviso nel tempo e nello spazio, l’unione essendo delegata alla mediazione sindacale di obiettivi, bisogni, interessi, diritti eccetra. Ma la mediazione sindacale se mai bastò, oggi nel pieno della più lunga crisi almeno dal ’29, non basta più, nè si può sperare nel partito intellettuale organico della classe operaia di gramsciana memoria.
Va costruito uno spazio pubblico permanente, una agorà dove tutte le soggettività possano confluire e confrontarsi sul modello di Occupy Wall Street a New York, di Occupy Central a Hong Kong, di piazza Tahrir al Cairo diventate vere e proprie fucine di formazione e azione politica, luoghi dove il ribelle e il democratico si danno la mano creando una nuova e comune socialità, direi una “società che esercita collegialmente il potere in modo tale che tutti siano tenuti a obbedire a se stessi, senza che nessuno sia costretto a obbedire a un proprio simile” (Spinoza). Certo, non una società permanente almeno per l’oggi e probabilmente il domani, epperò un luogo di eguaglianza che può sviluppare nuove forme per una larga efficace politica d’opposizione e anche di proposizione verso orizzonti di liberazione dall’imperio dei merca(n)ti e delle loro istituzioni.
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