Vittorio Capecchi: E’ morto a 90 anni l’amico economista Giacomo Becattini
Giacomo Becattini è morto il 21 gennaio 2017 a 90 anni nella sua casa di Scandicci Sono moltissimi i ricordi che ho in comune con Giacomo: i seminari ad Artimino con Sebastiano Brusco , i tanti dibattiti poi trasformati in libri con Frank Pike e Werner Sengenberger organizzati dall’Institute for Labour Studies di Ginevra, il convegno alla Bocconi il 9 giugno del 2000 presieduto da Sergio Vaccà su ” Evoluzione del lavoro, crisi del sindacato e viluppo del paese” ( i contributi di Giacomo ed il mio furono pubblicati da “Il ponte”) e così via. Giacomo è stato un economista di sinistra coerente e fortemente innovatore dai suoi primi studi su i distretti marshalliani all’ultimo suo libro (bellissimo) La coscienza dei luoghi. Il territorio come soggetto corale. Lo ricordo con tre pezzi che sono frammenti della eredità straordinaria che ci ha lasciato
1. Giacomo Becattini: La coscienza dei luoghi Il territorio come soggetto corale
Donzelli Editore 2015 con una Presentazione di Alberto Magnaghi e un Dialogo tra un economista e un urbanista di Giacomo Becattini e Alberto Magnaghi
«La coscienza di luogo è un passaggio intermedio per riacquistare la responsabilità sociale e può riaprire la strada a una visione della società che vada oltre il mercato. Ad esempio verso un’economia cooperativa. La quale si fonda su un concetto limpido: la produzione è un fatto sociale e quindi una manifestazione di cooperazione fra soggetti».
“È il luogo a educare la comunità che lo abita; è il patrimonio di saperi, culture, esperienze, tradizioni a fornire alle persone che vivono in un certo luogo la direzione da percorrere per la crescita, per il proprio arricchimento continuo nel tempo. Giacomo Becattini, uno degli economisti più autorevoli, propone in queste pagine un rovesciamento del rapporto fra produzione e luoghi e ci offre il frutto della sua riflessione più recente, tornando al luogo inteso come matrice e tessuto connettivo dei mondi di vita e della produzione. In questo ribaltamento di prospettiva, l’esperienza dei distretti industriali – sistemi economici locali fondati sulla valorizzazione del patrimonio territoriale – è il primo antidoto alla crisi da gigantismo industriale e finanziario della globalizzazione. L’obiettivo è superare il concetto di settore produttivo attraverso il concetto di coralità produttiva dei luoghi, che affonda le radici non tanto nella storia economica dei luoghi, quanto nella storia della loro cultura produttiva; coralità cui si accompagna la visione utopica di un mondo di scambi solidali fra molteplici comunità di luogo. Quasi a testare la validità del suo approccio da economista, Becattini propone in coda al volume un dialogo con l’urbanista Alberto Magnaghi sul tema «coscienza di classe e coscienza di luogo», in cui la centralità del territorio è trattata, a partire dai due diversi sguardi disciplinari, come matrice patrimoniale di un globale costituito da una moltitudine di mondi locali cooperanti. L’unica strada percorribile, riflette Becattini, «è la costruzione di una, cento, mille, un milione di coscienze di luogo. Qui l’individuo non è perduto nell’ambiente di lavoro, né è succube dell’atmosfera aziendale, ma è parte attiva di una comunità di persone insediate in un dato luogo. Qui, nella dialettica della vita quotidiana, si formano la sua personalità e le regole che governano la coesistenza». È necessario, in questa prospettiva, che l’economia recuperi le sue radici. «Nel corso del tempo – scrive Becattini – si è sviluppata l’idea che il discorso economico ha una natura intima diversa da quella che lo vuole strumento della felicità umana». L’economia deve tornare a essere «quello che era in origine, vale a dire lo studio dell’organizzazione sociale più favorevole alla felicità dei popoli».
2. Giacomo Becattini : Distretti emiliani un valore etico
Il sole 24 ore 18 luglio 2012
Le distruzioni del terremoto emiliano colpiscono al cuore la formula produttiva italiana; quella formula distrettuale che in pochi decenni ci ha portati da Paese industrialmente arretrato a punta aguzza dell’industrializzazione mondiale. Vi è un sostanziale accordo, fra gli storici economici italiani, che ciò è accaduto, in modo spontaneo e imprevisto, per accumulazione interna e reinvestimento sistematico delle risorse aziendali e – a parte le svalutazioni degli anni pre-euro e l’azione dell’Ice sui mercati esteri – senza alcun sostanziale sostegno pubblico degli investimenti privati.
Anzi, nella generale incomprensione e – paradossalmente – condanna dell’arretratezza di una industria che appariva attestata sulla dimensione aziendale, piccola e media. Ebbene, la permanenza dell’Italia al top dell’industria mondiale è oggi in serio pericolo. Anche nei settori più tipicamente nostri.
I distretti industriali emiliani, oggi colpiti dal terremoto, sono, infatti, una delle punte di diamante del nostro export.
Il terremoto emiliano mette il dito sulla piaga. Se sbagliamo la diagnosi della peculiarità del nostro processo di sviluppo, corriamo il rischio di vanificare gli sforzi dei 50 anni passati. Prendiamo due casi emblematici: il biomedicale di Mirandola e la meccanica/meccatronica, diffuse in quelle aree. Si tratta di produzioni che si sono costruite, lentamente, tenacemente, un posto di monopolio condizionato, ampiamente riconosciuto, nel mercato mondiale. Voler vedere, come certuni fanno, la fonte della loro eccellenza, negli impianti modernissimi, quasi avveniristici, dell’una e/o dell’altra zona, significa deviare l’attenzione dai veri fattori differenziali del loro primato, come la competenza tecnica e la diffusa convinzione (e l’orgoglio) di essere nel flusso del progresso, non solo tecnologico o organizzativo, ma, in senso generale, umano e civile.
Ebbene, è in questa consapevolezza la preziosa risorsa che deve guidarci, oggi, nell’opera ricostruttiva. I piccoli e medi imprenditori emiliani e i loro dipendenti, consapevoli che le loro fortune sono legate a una collaudata formula organizzativa-economica e, al tempo stesso, civile – il distretto industriale -, si trovano a porsi l’interrogativo se delocalizzare l’attività in zone sismicamente più sicure, oppure pazientemente ricostruire in loco, le infrastrutture umane materiali, intaccate o distrutte dal terremoto. Sappiamo tutti che alcune delle imprese di questi distretti cadranno a metà strada della ripresa, e altre finiranno col delocalizzare, ma è il clima civile, di ricostruzione e di sviluppo, che anch’esse avranno contribuito a produrre, quel che conta. Clima culturale e civile di una popolazione storicamente fattiva, che si riconosce e si misura nelle sfide più impegnative.
Popolazioni di tal genere – oggi, nelle difficoltà angosciose del dopo terremoto, lo possiamo dire meglio di sempre – sono un patrimonio prezioso per un Paese come il nostro. Esse debbono, conseguentemente, nel l’interesse di tutti, essere aiutate a risorgere dai calcinacci del terremoto. Ogni misura promozionale della loro ricostruzione e del loro sviluppo, ci ritornerà moltiplicata, siamone certi, a tempo debito.
3. Giacomo Becattini e altri : Contro la dittatura della teoria dominante e per una nuova etica
Repubblica 30 settembre 1988
Il manifesto è firmata da Giacomo Becattini, Onorato Castellino, Orlando D’Alauro, Giorgio Fuà, Siro Lombardini, Sergio Ricossa e Paolo Sylos Labini.
1. La teoria dominante è in crisi
Oggi dopo anni di atrofizzazione si affaccia un nuovo sentire al quale la scienza economica deve saper dare una risposta. La crisi globale in atto segna un punto di svolta epocale. Come in tanti hanno rilevato, oggi entrano in crisi le teorie economiche dominanti e il fondamentalismo liberista che da esse traeva legittimazione e vigore. Queste teorie non avevano colto la fragilità del regime di accumulazione neoliberista. Esse hanno anzi partecipato alla edificazione di quel regime, favorendo la finanziarizzazione dell’economia, la liberalizzazione dei mercati finanziari, il deterioramento delle tutele e delle condizioni di lavoro, un drastico peggioramento nella distribuzione dei redditi e l’aggravarsi dei problemi di domanda. In tal modo esse hanno contribuito a determinare le condizioni della crisi. E’ necessario ricondurre l’economia ai fondamenti etici che avevano ispirato il pensiero dei classici.
2. E’ urgente riaprire il dibattito economico
E’ urgente riaprire il dibattito sulle fondamenta delle diverse impostazioni teoriche presenti nel campo economico. Occorre respingere l’idea – una giustificazione di comodo per tanti economisti e commentatori economici mainstream – che esista una sola verità nella scienza economica. Occorre dare spazio alle teorie alternative – keynesiana, classica, istituzionalista, evolutiva, storico-critica nella ricchezza delle loro varianti – nell’insegnamento e nella ricerca. Occorre adeguare ai tempi i nostri strumenti, assumendo l’analisi di genere nei nostri studi. E’ necessario dare “diritto di tribuna” ad ogni nuova idea economica nel segno della libertà e del libero confronto. Le concentrazioni di potere (nelle università, nei centri di ricerca nazionali e internazionali, nelle istituzioni economiche nazionali e internazionali, nei media), come quelle che hanno favorito nella fase più recente l’accettazione acritica del fondamentalismo liberista, debbono essere combattute.
3. Un’economia al servizio delle persone
La scienza economica dev’essere intesa in modo ampio, senza definizioni unilaterali e con piena apertura all’interscambio con le altre scienze sociali. L’obiettivo della ricerca dovrebbe consistere nella comprensione della realtà sociale che ci circonda, come premessa per scelte politiche dirette a migliorare la condizione di vita delle persone e il bene comune.
4. Un metodo non più fine a se stesso
A questo fine va indirizzato l’utilizzo delle tecniche disponibili, dall’analisi storiografica a quella econometrica, dall’analisi delle istituzioni alla costruzione di modelli matematici, senza preclusione verso alcuna tecnica ma allo stesso tempo senza che la raffinatezza tecnica dell’analisi divenga un obiettivo autoreferenziale, fonte di conformismo e di appiattimento nella formazione delle giovani leve di economisti. Per questo, va favorito un confronto critico tra impostazioni e analisi diverse.
5. Una nuova agenda
Suggeriamo cinque temi – su cui promuovere studi e iniziative – che ci sembrano di particolare rilievo nella fase attuale:
- Mercato, stato e società. Dopo decenni in cui il mercato e la sua presunta “mano invisibile” hanno invaso gli spazi dell’azione pubblica e delle relazioni sociali, è necessario pensare nuove forme di integrazione tra mercato, stato e società, con attenzione per i temi della democrazia, della giustizia, dell’etica, in un quadro di sostenibilità ambientale dello sviluppo;
- Una globalizzazione dal volto umano. Dopo una mondializzazione dei mercati trainata dalla finanza e priva di regole, è necessario pensare a un’integrazione internazionale tra i popoli che sia democraticamente governata, che alimenti i flussi di conoscenze e di persone accanto a quelli di merci, e che promuova la cooperazione sociale anziché la feroce competizione globale.
- Un nuovo umanesimo del lavoro. E’ necessario ripensare il ruolo del lavoro nelle società moderne, come fonte di reddito dignitoso per tutti, di conoscenze, di relazioni sociali e come strumento di formazione ed emancipazione civile dei cittadini.
- La riduzione delle disuguaglianze. Le differenze di reddito e di potere, tra paesi e – al loro interno – tra gruppi sociali e persone sono cresciute in modo inaccettabile ed è necessario quindi pensare ad un modello di organizzazione delle relazioni che punti realmente a ridurre le disuguaglianze sociali, territoriali, tra uomini e donne e tra le singole persone. Questo è necessario anche per individuare una credibile via d’uscita dalla crisi, che richiede un rilancio dei consumi individuali e collettivi e degli investimenti pubblici, e l’emergere di una nuova domanda da parte di paesi e gruppi che in passato erano rimasti al margine dello sviluppo e del benessere sociale. Senza tali cambiamenti il rischio concreto è che si punti a ripristinare il regime di accumulazione neoliberista fondato sulla speculazione finanziaria, e che si alimentino per questa via crisi ulteriori ed ancora più gravi dell’attuale.
- Uno sviluppo più equilibrato. Va favorita la transizione da una crescita quantitativa senza limiti verso uno sviluppo più equilibrato basato sulla qualità. Occorre impegnarsi per costruire degli indici alternativi al prodotto interno lordo che è inservibile e fuorviante dal momento che non riesce a rappresentare diverse attività economiche, i costi ambientali e il reale benessere della popolazione.
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