Umberto Romagnoli: Il Jobs Act è anticostituzionale e discriminatorio
Diffondiamo da Il fatto quotidiano del 29 dicembre 2014 l’intervista fatta da Stefano De Agostini al giuslavorista bolognese Umberto Romagnoli
L’analisi del decreto attuativo sull’articolo 18 del professor Umberto Romagnoli: “Se Renzi potesse riscrivere l’articolo 1 della Costituzione, direbbe che la Repubblica Italiana è fondata sulla libertà d’impresa”. E fa un esempio: con un solo giorno di assenza ingiustificata l’imprenditore potrà licenziare, senza che il giudice possa valutare
Diretta conseguenza di questo ragionamento sono i profili di incostituzionalità del Jobs Act. “Credo che questo provvedimento non sia legittimo – aggiunge – E’ una legge che costituzionalmente non sta in piedi: viola il principio di uguaglianza riconosciuto dalla Carta”. La previsione, quindi, è che presto partiranno ricorsi per rilevare l’incostituzionalità della norma. “Ma mentre la Consulta deciderà, passerà molto tempo – riflette il professore – Basti pensare all’estromissione della Fiom da parte della Fiat a Pomigliano d’Arco. La Corte impiegò due anni prima di decretare la sua riammissione in fabbrica. Nel frattempo, il danno si produce e si generano lesioni non riparabili“. Un’altra conseguenza dell’estensione delle nuove regole ai licenziamenti collettivi risiede, secondo Romagnoli, nell’ulterioreindebolimento del ruolo del sindacato. “Con il Jobs Act, l’imprenditore potrà evitare la fase della trattativa sindacale che precede l’avvio dei licenziamenti collettivi, pagando il piccolo prezzo della corresponsione delle indennità – ragiona il giurista – Qui si monetizza non solo il diritto alla continuità del rapporto di lavoro, ma anche il potere contrattuale del sindacato”.
A essere ridimensionato dalla riforma, sempre nella visione di Romagnoli, non sarà solo il potere delle sigle sindacali, ma anche quello dei giudici. Il riferimento è a quel passaggio del decreto attuativo dove si contempla il reintegro per i licenziamenti disciplinari, ma esclusivamente nei casi in cui sia “direttamente dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento“. Secondo il professore “è incostituzionale limitare l’esercizio del potere giurisdizionale. Il giudice deve avere la possibilità di accertarese c’è stata proporzione tra gravità del fatto commesso e la sanzione che è stata inflitta. Con un tratto di penna, il governo ha cancellato un principio di equità”. A sostegno della sua tesi, il giuslavorista porta un esempio pratico: nel caso di un solo giorno di assenza ingiustificata dal lavoro, l’imprenditore potrà procedere al licenziamento, senza che il giudice possa decidere se si tratta di un provvedimento sproporzionato rispetto al fatto commesso.
Eppure, il potere dei magistrati era già limitato, nella pratica, dalla scarsa applicazione dei loro verdetti. “Su dieci sentenze di reintegro, otto non avevano luogo – spiega Romagnoli – Se l’imprenditore non voleva, il lavoratore non riprendeva il servizio”. In sostanza, precisa il docente, era garantita l’erogazione dello stipendio e del versamento dei contributi, ma di fatto il dipendente non era più ammesso sul posto di lavoro, a causa della mancanza di strumenti coercitivi che obbligassero l’imprenditore a dare piena attuazione alla sentenza. E molti lavoratori, pur avendo diritto al reintegro, finivano per accettare il risarcimento. “Anche per questo motivo, i discorsi del governo sull’articolo 18 e sui maggiori investimenti che la riforma dovrebbe attrarre, sono pura propaganda – conclude – Si dice che stiamo andando verso il futuro, ma in realtà stiamo recuperando il passato, con un ritorno al potere unilaterale e tendenzialmente insindacabile dell’imprenditore. Se Matteo Renzi potesse riscrivere l’articolo 1 della Costituzione, direbbe che la Repubblica Italiana è fondata non sul lavoro, ma sulla libertà d’impresa“.
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