Luciano Gallino: La crisi greca e le colpe della UE

| 24 Giugno 2011 | Comments (0)

 

 

Diffondiamo da La Repubblica del 24 giugno 2011

La crisi greca rappresenta in modo impietoso come il sistema finanziario di fatto governi ormai la Ue mediante i suoi bracci operativi: la Commissione europea, il Fmi e la Bce.

I governi eletti dal popolo hanno scelto da tempo di fungere da rimorchio al sistema finanziario. A vrebbero dovuto riformarlo dopo l’esplosione della crisi nell’autunno del 2008, quando, con le parole del ministro tedesco dell’economia di allora, Peer Steinbruck, «abbiamo visto il fondo dell’abisso». È vero che a Bruxelles si discute da due anni di riforme finanziarie, ma dinanzi alla natura ed alle dimensioni del problema si tratta del solito secchiello per vuotare il mare.

Non avendo riformato il sistema finanziario, ed avendolo anzi aiutato a diventare più potente di prima, i governi Ue si trovano ora esposti alle sue pretese. Giusto come è avvenuto negli Stati Uniti. Al momento esso pretende siano salvate le banche dalla crisi del debito greco, in vista di altre richieste analoghe che nei prossimi mesi potrebbero riguardare il Portogallo, la Spagna, l’Italia.

Fedeli al loro ruolo di organi democra- ticamente eletti che non vedono alternative se non quella di soggiacere al dettato di organi mai eletti da nessuno, quali sono la Ce, la Bce e l’Fmi, i governi Ue sono unanimi nell’esigere dalla Grecia di ridurre drasticamente il suo debito pubblico. Ha vissuto al disopra dei suoi mezzi, affermano, e ora deve imboccare un severo percorso di austerità. Come sia formato tale percorso lo sanno tutti, anche perché è lo stesso che quasi tutti i governi Ue, compreso quello italiano, stanno proponendo ai loro cittadini: tagliare i salari, le pensioni, la sanità, la scuola; privatizzare tutto, i trasporti, le spiagge, i servizi collettivi, le isole, i porti, e perché no, il Partenone.

Ciò che si tace in merito alla crisi greca è che le sue cause non sono quelle di solito addotte; che i rimedi finora proposti in sede Ue sono peggiori del male; e che la paralisi politica cui è stato ridotto il governo greco, privato della possibilità di decidere alcunché in tema di politica economica, costituisce uno svilimento della democrazia di importanza mondiale.

Innanzitutto la causa prima dell’elevato debito pubblico non risiede affatto in un eccesso di spesa sociale, bensì in un flusso troppo ridotto di entrate fiscali, imputabile a un alto tasso di evasione durato parecchi anni. Adesso il governo greco, pressato dalla Ue, chiede ai pensionati, ai lavoratori, agli insegnanti, agli impiegati pubblici, di restituire al bilancio dello stato i miliardi di euro, in moneta attuale, sottratti col tempo ad esso da una minoranza che percepisce un reddito centinaia di volte superiore al loro. Dopo averli pure incolpati – il governo tedesco per primo – di lavorare poco, andare in pensione prima degli altri cittadini Ue, percepire pensioni d’oro, fare troppe ferie: laddove tutti i dati disponibili, per chi voglia appena informarsi, attestano che si tratta di affermazioni false.

Ma a quanto ammonta realmente il debito pubblico della Grecia, di cui si dice che potrebbe far saltare l’intera zona euro? Si tratta di 350 miliardi di euro. È certo una bella somma. La quale però rappresenta soltanto il 3,7% del Pil dell’intera zona euro, esclusa quindi una grande economia come il Regno Unito. Non soltanto: il 43% di tale debito è in mano a creditori greci, che per metà sono banche. Dal totale vanno ancora tolti 7 miliardi di debiti verso gli Usa, 3 verso la Svizzera, circa 2 nei confronti del Giappone. Il debito greco verso la Ue (banche e stati compresi) consistente soprattutto in obbligazioni e altri titoli, ammonta dunque a meno di 190 miliardi di euro, di cui circa 35 sono dovuti alla Bce.

Ora, dal 2008 ad oggi i Paesi Ue, a parte la Svizzera, hanno speso o accantonato oltre 3.000 miliardi di euro (tre trilioni) per salvare le proprie istituzioni finanziarie. Ed ora davvero tremano perché un’economia tutto sommato periferica è in difficoltà per ripagare, a rate, poco più del 6% di tale somma? Il y a quelque chose qui cloche, dicono i francesi, qualcosa che non va nell’intera faccenda.

Le cose che non vanno sono principalmente due. La crisi greca è in primo luogo un’anteprima di quel che potrebbe succedere ad altri Paesi, Italia compresa, se i governi Ue non la smettono di subire le manovre del sistema finanziario, ivi comprese le agenzie di valutazione, e non provano sul serio a regolarlo, anche per evitare che ci piombi addosso tra breve una crisi peggiore di quella del 2008. Lo scenario comprende com’è ovvio il rinnovo potenziato di manovre speculative che i maggiori gruppi finanziari costruiscono scientemente per estrarne il maggior profitto possibile in forma di interessi e plusvalenze; il che implica, come insegnano i modelli di gestione del rischio, il far correre un rischio elevato non già ai gruppi stessi, bensì ai cittadini oggi greci, domani spagnoli o italiani. Ma comprende anche una spinta selvaggia alle privatizzazioni, che essendo condotte sotto la sferza della troika Ce, Fmi e Bce, consisteranno al caso in vere e proprie svendite di immensi patrimoni nazionali. L’Italia, dopotutto, ha ottomila chilometri di coste e centinaia di isole da mettere all’asta, più il Colosseo e magari l’intera Venezia; altro che la Grecia.

Una seconda cosa che non va è la Bce. Il suo limite fondamentale, imposto dal trattato istitutivo della Ue, sta nell’avere come massimo scopo statutario la stabilità dei prezzi, ossia la difesa dall’inflazione. Ciò spiega in parte la lentezza e la goffaggine con cui si è mossa a fronte della crisi greca. Ma un simile limite equivale a decidere per legge, poniamo, che il pronto soccorso del maggior ospedale cittadino si occupa soltanto di lesioni alla gamba sinistra. Le altre due banche centrali dell’Occidente, la Banca d’Inghilterra e la Fed, hanno tra i loro scopi statutari anche lo sviluppo e la crescita dell’occupazione. Scopi che perseguono pure creando esplicitamente nuovo denaro: una funzione fondamentale che gli stati Ue hanno ceduto alla Bce, ma che questa non sembra voler esercitare come, dove e quando più ne avrebbero bisogno. Per questo motivo nella Ue cominciano a moltiplicarsi le voci favorevoli a un ampliamento degli scopi statutari della Bce. La crisi greca potrebbe essere una buona occasione per passare dalle voci all’azione. Sempre che i governi non temano di disturbare la macchina di cui sono per ora a rimorchio.

 

Category: Economia, Luciano Gallino e la rivista "Inchiesta", Osservatorio Europa

About Luciano Gallino: Luciano Gallino (1927) nel 1956 viene chiamato dall'ingegnere Adriano Olivetti a collaborare all’Ufficio Studi Relazioni Sociali costituito presso la Olivetti - struttura di ricerca aziendale inedita in quel periodo in Italia - e successivamente, dal 1960 al 1971, ricopre la carica di direttore del Servizio di Ricerche Sociologiche e di Studi sull’organizzazione (SRSSO). Dopo aver ottenuto una Libera Docenza in Sociologia nel 1964, è diventato Fellow Research Scientist del Center for Advanced Study in the Behavioral Sciences di Stanford in California. Dal novembre 1965 al 1971 è stato professore incaricato presso la Facoltà di Magistero e la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Torino. Successivamente, dal 1971 al 2002, è stato professore ordinario di Sociologia nella Facoltà di Scienze della Formazione della stessa Università, nella quale attualmente è professore emerito. Tra il 1968 e il 1978 è stato direttore dell'Istituto di Sociologia di Torino, una delle prime strutture di ricerca in questo ambito disciplinare costituite nell'università italiana. Dal 1999 a fine 2002 è stato Direttore del Dipartimento di Scienze dell'Educazione e della Formazione. In tale ruolo ha promosso lo sviluppo di un Centro specializzato nello studio e nella realizzazione di corsi orientati alla "Formazione aperta/assistita in rete". Parallelamente alla sua attività di ricerca e d'insegnamento, ha ricoperto diverse e prestigiose cariche istituzionali. Dal 1979 al 1988 è stato presidente del Consiglio Italiano delle Scienze Sociali. Dal 1987 al 1992 ha rivestito la stessa carica nell'Associazione Italiana di Sociologia. È socio dell'Accademia delle Scienze di Torino, dell'Accademia Europea e dell'Accademia Nazionale dei Lincei. Dirige dal 1968 la rivista scientifica Quaderni di Sociologia. Ha collaborato inoltre con autorevoli quotidiani nazionali, in particolare tra il 1970 e il 1975 ha scritto su «Il Giorno», dal 1983 al 2001 ha collaborato con «La Stampa» e dal 2001 collabora con «La Repubblica». Fa parte del comitato scientifico della manifestazione "Biennale Democrazia". Dal 2007, è il responsabile scientifico del Centro on line «Storia e Cultura dell'Industria», progetto che promuove la conoscenza della storia industriale e del lavoro del Nord Ovest italiano dal 1850 a oggi, con finalità didattiche. Dal 2011 è Presidente Onorario e Presidente del Consiglio dei Saggi dell'AIS - Associazione Italiana di Sociologia. Tra i suoi ultimi libri: Globalizzazione e disuguaglianze (Laterza, 2000); Il costo umano della flessibilità (Laterza, 2001); L’impresa responsabile. Un'intervista su Adriano Olivetti (Comunità, 2001); La scomparsa dell'Italia industriale (Einaudi, 2003); Dizionario di Sociologia (UTET, 2005); L’impresa irresponsabile (Einaudi, 2005); Italia in frantumi, (Laterza, 2006); Tecnologia e democrazia. Conoscenze tecniche e scientifiche come beni pubblici (Einaudi, 2007); Il lavoro non è una merce. Contro la flessibilità, (Laterza, 2007); Con i soldi degli altri. Il capitalismo per procura contro l'economia (Einaudi, 2009); Finanzcapitalismo. La civiltà del denaro in crisi, (Einaudi, 2011).

Leave a Reply




If you want a picture to show with your comment, go get a Gravatar.