Luciano Boi: Auto-governo politico per la decrescita, complessità sociale e sostenibilità ambientale

| 12 Settembre 2014 | Comments (0)

 

 

La conversione ecologica dell’economia e della società è un tema sempre più impellente. La sua urgenza è nello stesso tempo globale e locale: globale perché ne va della vita del “nostro” pianeta, l’unico ad essere una grande casa per miliardi di uomini e donne; locale perché ne va necessariamente della vita di ognuno di noi. E dovrebbe essere evidente per la maggior parte, e in ogni caso per chi ha ancora il lume della ragione, che un pianeta che finisce di essere la dimora di tutti gli esseri viventi diventerà prima o poi inabitabile. Il problema essenziale è perciò capire i processi che possono rendere (e che in parte hanno già reso) inabitabile il nostro pianeta, la nostra dimora vitale. Ma capire non basta: è infatti necessario acquisire una nuova consapevolezza per agire in modo giusto e adeguato. In questo intervento ci proponiamo di affrontare principalmente il tema dell’auto-governo politico di una eco-economia, della democraticità e incisività che devono caratterizzarlo, e delle modalità partecipative, consultative e decisionali che bisognerebbe mettere in opera in un’epoca segnata da una sempre maggiore complessità dei processi sociali e culturali.

È necessario innanzitutto precisare che un progetto politico per la Sardegna e l’Italia, interamente ricentrato sugli obiettivi ormai inscindibili di un’autentica democrazia politica giusta e di un’effettiva ecologia ambientale e culturale, per essere all’altezza dell’urgenza dell’esistente e delle sfide inedite che pone la situazione attuale, dovrebbe fondarsi su tre presupposti teorici e metodologici imprescindibili. Primo, i contesti e i problemi economici, sociali, culturali e ambientali sono diventati dei processi complessi e profondamente intricati, di cui sia le cause che gli effetti risultano dalla presenza e dall’azione di più variabili fondamentali correlate tra di loro, per cui nessuna deve essere tralasciata nell’elaborazione e nell’attuazione di una “vera” e profonda politica ed etica di auto-governo. In secondo luogo, i progetti politici e di governo, per essere innovatori e incisivi su un lungo periodo (che cioè comprende il futuro di più generazioni, la sola scala sulla quale ha oggi un senso fondare la politica e l’azione di governo per realizzare, ad esempio, le riforne necessarie di riqualificazione culturale e formativa nelle scuole e i progetti di sostenibilità ambientale, senza peraltro dimenticare la memoria e le “lezioni” del passato che ci aiutano a capire il presente e a disegnare una nuova cultura dei possibili e dei limiti), devono basarsi su analisi e modelli multi-scala (scale spaziali, temporali, eco-dinamiche e antropiche legate tra di loro). Infine, il principale obiettivo di ogni progetto sociale e politico di auto-governo deve essere quello di rendere possibile una sintesi originale tra natura e cultura valorizzando entrambi nel rispetto inalienabile della giustizia sociale e della dignità umana.

La prima questione che vorremmo esaminare riguarda il problema delle forme, degli stili e delle finalità di una nuova forma politica di auto-governo di una società complessa come quella sarda e italiana in cui l’entità locale o territoriale (dal borgo al paese e alla zona) si trova pienamente immersa e ne costituisce per molti versi e in diversi campi un modello originale da conservare e valorizzare. Da questo punto di vista, le regioni e altre comunità territoriali rappresentano certamente un laboratorio sociale e culturale privilegiatio dove possono germogliare idee, proposte ed esperienze capaci di dare risposte innovative e continuative ai problemi di società più impellenti e profondi, e di indicare nuovi modelli di progettualità culturale, etica e politica atti a risolvere grandi problemi del presente e a creare una nuova speranza nel futuro.

Ci pare indispensabile evidenziare che qualsiasi progetto politico di auto-governo, se non vuole restare un guscio vuoto o un’entità puramente formale (in parte o del tutto inapplicata), deve coniugarsi profondamente ad una prospettiva di allargamento e rigoglio qualitativo della democrazia (carta dei diritti e doveri politici, etici, culturali e ambientali), ma anche di attuazione di una giustizia partecipativa e distributiva. Ciò significa che un “vero” progetto politico di auto-governo non può in nessun caso essere scisso da un progetto attivo e aperto di democrazia e da una visione equa e migliorativa delle opportunità e capacità di approfondimento critico delle conoscenze, di qualificazione culturale (in tutti i campi del sapere) e di giustizia nell’accesso alle risorse naturali e ambientali, non per trasformarle in merci di consumo e di profitto ma per farne dei beni che favoriscano una migliore qualità della vita.

Vorremmo ora porre l’accento su quegli aspetti della questione che possono consentire di capire come rendere l’auto-governo allo stesso tempo più partecipativo e più operante. In altri termini, come fare in modo che una volta scelte le orientazioni generali e prese le decisioni su quelle che devono essere le priorità del progetto politico che si vuole realizzare nei diversi ambiti strategici – economico-sociale, culturale, ambientale, della ricerca pura e applicata, scolastico, sanitario, ecc. – queste orientazioni e decisioni si traducano in seguito, rispettando tempi ragionevoli e procedure di assoluta trasparenza democratica, in atti efficaci e fatti concreti, evitando che esse siano bloccate dall’inerzia della machina burocratica o che vengano snaturate nelle loro prerogative essenziali da una lungua ed estenuante catena di mediazioni e sottomediazioni partitiche intermedie (spesso del tutto inutili e delle volte persino illecite). Si tratta di una questione vitale cui sono confrontate le nostre società attuali: come ottenere l’optimum di concrettezza delle scelte e d’incisività sulla realtà senza dover rinunciare alla richezza culturale e forza ideale e persino utopica del progetto politico di auto-governo che si vuole attuare. La capacità e volontà di unire e conciliare i due aspetti di quello che ci appare come un unico e medesimo processo costituisce inoltre il requisito migliore per garantire la validità teorica e la trasparenza etica, ed anche una condizione necessaria e auspicabile per ridare credibilità alla politica come arte e cultura dell’auto-governo del bene comune, e non come mero esercizio del potere e della mediazione fine a se stessa. Ciò deve avvenire nell’interesse generale della preservazione e promozione del giusto per la comunità globale delle persone che formano una società, nonché per favorire tutte quelle forme ed espressioni che possono contribuire a rinnovare dal basso contenuti e valori della democrazia e intensificare la libera partecipazione e responsabilizzazione dei cittadini in tutti i processi e luoghi dove si è chiamati a fare scelte e prendere decisioni che riguardano i beni comuni e gli interessi generali inalienabili della nostra società e delle sue comunità locali. Le conoscenze e le passioni umanistiche e scientifiche, la cultura, l’arte, l’ambiente naturale e antropico fanno sicuramente parte dei beni comuni e degli interessi generali inalienabili della storia e della cultura italiana, e in quanto tali, vanno difese, preservate, creativamente valorizzate e continuamente rinnovate e riqualificate.

La possibilità dell’auto-governo è oggi sfidata anche da altri fattori importanti unitamente a quelli della “globalizzazione” economica e finanziaria e di un certo declino culturale e artistico. Viene sfidata – specie nel settore crescente della vita politica e pubblica – dal fatto che l’espansione delle attività pubbliche si è accompagnata ad una gigantesca proliferazione in tutte le direzioni e in tutti i campi di enti pubblici non solo distinti per livello geografico e territoriale di competenza, ma anche per complicazione settoriale di funzioni e di missioni. Si tratta di una miriade di agenti, di organizzazioni, in ogni ente di governo, a scala comunale, provinciale e regionale, la cui caratteristica principale non è quella del proprio status giuridico-istituzionale, ma quella di perseguire delle finalità, di avere delle missioni e dei mandati, di svolgere dei compiti, spesso neppure ben chiari e determinati, e quasi sempre contradditori, conflittuali e competitivi, tra l’uno e l’altro; ma tuttavia dei compiti di interesse sociale, e grosso modo pubblico; largamente confrontati con la loro efficienza, cioè qualcosa di attinente al loro fare, al loro produrre risultati. Così, come crisi di governabilità viene sempre più intesa l’incapacità di coordinare a fini comuni ottimali le contraddizioni, i conflitti, la competizione, di questa miriade di enti pubblici, che hanno creato una sorta di “mercato” politico e istituzionale, (ben distinto dal “mercato” dei beni e servizi che ha contraddistinto l’epoca dell’industrialismo e del capitalismo crescente, e di cui l’economia tradizionale ha creduto – ma con scarsi risultati – ugualmente di rappresentare e configurare il funzionamento).

Il problema largamente diffuso nell’ambito delle scienze sociali è diventato proprio quello di capire se (e in che misura) la politica “conti”, e se è un fattore trainante (piuttosto che frenante) del processo democratico, vale a dire del costante rinnovamento e sviluppo dei suoi contenuti e valori in sintonia con i cambiamenti epocali che stanno vivendo le nostre società e scuotendo le fondamenta stesse su cui esse sono state erette. Tra questi cambiamenti urge menzionare i nuovi diritti e doveri dei cittadini, le grandi concentrazioni dei poteri nell’economia, nell’informazione e comunicazione e i rischi che ne derivano per la democrazia e la diversità culturale che ne è il presupposto fondamentale, il degrado su scala globale e locale dell’ambiente, della biodiversità e del territorio con conseguente perdita e frantumazione degli ecosistemi ma anche delle tradizioni, dei valori e delle diverse espressioni linguistiche e artistiche di numerose comunità e realtà territoriali. La questione è dunque di capire quanto il dibattito politico, le procedure spesso molto macchinose e opache di decisione politica, assicurate da faticosissimi meccanismi procedurali, servano poi effettivamente a far si che le decisioni così lunghe, complesse e difficili, si traducano dopo in fatti, in realtà. Ciò alimenta in altri termini il dubbio che il sistema democratico su cui si erige la nostra società serva effettivamente a produrre risultati validi per questi cittadini. Ciò significa il dubbio, detto diversamente, se esista una reale “democrazia” decisionale e fattuale (e non solo formale e giuridica, peraltro necessaria ma certo non sufficiente), nei paesi detti “occidentali”. Di fronte a questi limiti, ci sembra auspicabile che un nuovo auto-governo su scala locale e globale si trasformi in una democrazia organicamente partecipativa di cui uno dei cardini sia lo sviluppo di una nuova giustizia distributrice e trasformatrice, che ogni cittadino e ogni essere umano (persona giuridica con diritti e doveri più individuo etico che gode di libertà fondamentali ma che ha anche delle responsabilità nei confronti degli altri e della comunità) pervenga a riconoscere come la sua giustizia; una giustizia protettrice della libertà e del diritto, ma anche del territorio, dell’ambiente, della natura e della cultura, e quindi della salute e della vita.

Una cosa sembra in ogni caso del tutto ammissibile e difficile da confutare, ed è che i risultati del “buon” governo non possono più essere ridotti a quello di produrre maggiori profitti a beneficio di azionisti e proprietari, ma di produrre risultati socialmente e culturalmente utili e interessanti. In questo senso, si può anche dire che un nuovo modello di auto-governo deve ispirarsi a una forma di conduzione sociale che non si rifà alla gerarchia e al comando, così come è contenuto nel concetto di governo (di mera gestione del presente), ma a processi di auto-organizzazione e di cooperazione (concertazione) orizzontale fra una pluralità di realtà e soggetti differenti. È un po’ la stessa cosa che avviene nei sistemi complessi e soprattutto nei sistemi viventi dove le proprietà dette “auto-organizzate” e “collettive” emergenti determinano i funzionamenti e i comportamenti fondamentali e specifici indipendentemente dalla presunta composizione gerarchica dei loro singoli componenti. In modo per certi aspetti analogo, il fenomeno della proliferazione di enti pubblici e della pesantezza burocratica dell’amministrazione, ha completamente mostrato i limiti del modello giuridico-statuale della “gerarchia” di funzioni e di mandati appannando la funzionalità ed efficienza dell’azione di governo, e spegnendo la capacità di rigenerazione della democrazia. Il “governo” da un livello gerarchico all’altro si trasmette assi poco e male, e può succedere che il rapporto meramente funzionale fra decisioni diventi ingovernabile.

Per queste ragioni non basta più alla politica “mediare”. Non basta avere numerosi “tavoli” di concertazione e contrattazione per risolvere le conflittualità istituzionali e sociali dei numerosi centri decisionali. Occorre che tutto questo avvenga attraverso un miglioramento della qualità delle decisioni su cui si discute; queste decisioni, inoltre, devono essere motivate e portate da finalità chiare e rivolte all’ottenimento di risultati concreti, su forma non solo di beni materiali ma anche di valori immateriali (scientifici, letterari, artistici e spirituali). Altrimenti, la conflittualità concertata è sterile, e si riduce a un semplice compromesso di forze, che spesso produce più “stallo” che soluzioni, più “blocco” decisionale che realizzazioni, più statica che dinamica. In altri termini, non basta mediare ma occorre elaborare le soluzioni appropriate e migliori. L’adeguatezza delle soluzioni sulla base di un insieme sufficientemente completo di variabili locali e globali ritenute fondamentali deve diventare un parametro differenziante interno alle decisioni politiche di governo e alle elaborazioni che le precedono. Occorre che ci sia sempre una visione d’insieme o sistemica della complessità che si affronta, ugualmente necessaria e indispensabile che la mediazione e la contrattazione. Queste ultime, insomma, diventano una condizione necessaria ma non sufficiente delle decisioni, se vogliono essere efficaci. E lo stesso vale per l’elaborazione, che è una condizione necessaria ma non sufficiente, se non accompagnata da concertazione e contrattazione “di piano” fra le parti e i poteri interessati, che è da distinguere dalla contrattazione “di mercato” che già da tempo esiste a livello di operatori ed enti pubblici, e che spesso si svolge in assenza di piano. Questi piani devono essere conformi a una visione sistemica, ed esplicitare dei quadri di riferimento chiari e determinati su diverse scale spaziali e temporali. Le scale spaziali includono quelle locale, territoriale, regionale, nazionale, europeo e internazionale. La scala temporale può variare notevolmente in funzione del parametro adottato, così, per esempio, il passato geofisico di un territorio non ha la stessa misura né lo stesso valore del suo passato culturale; il futuro biochimico del nostro pianeta non si può misurare quantitativamente e valutare qualitativemente nello stesso modo in cui si misura e si valuta il futuro sociale di un individuo o di un gruppo di individui che abitano tale o tale altra regione del pianeta.

Per risolvere la crisi di governabilità della complessità di cui abbiamo parlato, si ha quindi bisogno di reinventare il modo di governare. Più auto-governo locale dei beni e delle risorse, più partecipazione al processo democratico, più giustizia sociale, più cooperazione nell’elaborazione dei programmi strategici e più decisioni messe in opera. Oggi si può constatare per esempio che l’attività legislativa soffre d’inefficienza e d’irrilevanza. Le leggi sbagliate e inique, di cui quelle ad personam costituiscono un caso estremo di uso privato e degenere della democrazia, non si contano più e rappresentano più la regola che non l’eccezione. Ovunque vi sono leggi che non sono attuate come ci si auspicherebbe. Il caso di alcune regioni a statuto speciale è esemplare a questo proposito: delle ottime leggi (si pensi ad esempio a quelle varate dalla giunta Soru in Sardegna) riguardanti lo sviluppo integrato e armonizzato della costa e della montagna, la sostenibilità ambientale, l’incentivazione della ricerca scientifica ed artistica e delle attività culturali, ecc., sono state varate in questi anni dai loro governi rispettivi sulla base di progetti e di scelte che non bisognebbe esitare a chiamare “rivoluzionarie” nel contesto italiano ed europeo, e tuttavia una buona parte di quelle stesse leggi sono rimaste inapplicate oppure lo sono state ma in modo parziale e a volte sbagliato, il che ha vanificato in parte la loro forza innovativa e il loro impatto di cambiamento.

Ovunque, grandi sforzi di architettura legislativa e normativa scadono nella mera routine politica lasciando scarsa traccia e nessun impatto sulla realtà, e vengono archiviati ben presto. Si tratta di operare un vero “salto di qualità” nelle decisioni politiche del decisore pubblico dai massimi livelli (il Parlamento) a quelli intermedi che svolgono un ruolo chiave di raccordo e di coerenza (le Regioni) a quelli più locali (i Comuni). Anziché perdersi in una interminabile definizione normativa, inapplicabile alla prova dei fatti, si dovrebbero elaborare in sede parlamentare essenzialmente dei quadri di riferimento adatti a un sistema di decisioni multi-criteri, che vincolino seriamente le decisioni all’analisi di fattibilità e di compatibilità degli obiettivi e delle conseguenti decisioni stesse. Le decisioni, insomma, non dovrebbero essere che prese entro un quadro di riferimento (rispondente a criteri anzitutto qualitativi, in particolare quelli della decrescita e dell’equilibrio ambientale, valori naturali e culturali oramai inalienabili) del sistema decisionale, alla scala in cui si applica, anche se tenendo conto di tutte le altre scale in una visione appunto d’insieme.

Per finire queste riflessioni, vorremmo sottolineare che la pianificazione strategica moderna nei settori che abbiamo indicato (territorio, ambiente, cultura) deve essere autenticamente complessa e sistemica, nel senso che cerca di includere nel suo quadro di analisi e di valutazione tutte le variabili ritenute rilevanti, articolandosi in un insieme di valutazioni e di modelli parziali, che esigono però una forte connettività e una coerenza reciproca. E ciò appunto per l’impossibilità di contenere in un unico quadro e in un unico modello tutte le variabili ritenute importanti.

Alla luce delle analisi e proposte fatte fin qui, apparirà chiaro ai lettori che a fronte delle scelte liberiste ed economicistiche, fondamentalmente ingiuste e sbagliate, urge che si elabori insieme un progetto sociale e culturale che presenti non solo una maggiore coerenza e profondità etica ed estetica, ma anche una capacità e volontà di favorire una eco-economia che sceglie di non sacrificare e depredare l’ambiente e la biodiversità, essendo quest’ultima una tra le principali fonti della diversità culturale, oltre che evolutiva. Un tale progetto deve essere oggi capace di mettere in opera una comunità civile di cittadini che sia fondata, in tutte le sue forme, su un accesso ai diversi saperi (da quelli legati alla terra, al paesaggio e alla natura, a quelli altrettanto ammirevoli legati alle arti e tecniche di tipo manuale), e alle conoscenze scientifiche, letterarie e artistiche. La scelta che abbiamo oggi di fronte non è da poco: essa è tra chi vuole cambiare e al contempo preservare e valorizzare le tantissime risorse dell’Italia e in particolare lo specifico patrimonio storico, culturale e ambientale della Sardegna, e chi, invece, vuole distruggere riducendo al massimo e svilendo questo stesso patrimonio. Ora, si sa che chi deprezza il passato è incapace di capire il presente ed è persino “cieco” rispetto a quello che accade, e chi è aceccato (poco importa se dalla stupidità o dal potere) non può che riservarci un futuro misero e senza prospettive.

 

Luciano Boi

Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales

Centre de Mathématiques e Equipe de Mésologie

Parigi, Francia

 

 

 

Category: Ambiente, Economia, Politica

About Luciano Boi: Luciano Boi (ottobre 1957, di nazionalità Italiana e residente in Francia) è dal 1997 professore associato titolare di Geometria, Teorizzazione Scientifica e Filosofia della Natura all’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales di Parigi. Ha lavorato e insegnato nei centri di matematica e di morfologia della stessa scuola e ha collaborato con il centro di fisica teorica e cosmologia dell’Observatoire de Paris-Meudon. Ha pubblicato e curato numerosi libri e volumi presso Springer-Verlag, World Scientific, Blanchard, Peter Lang, Imperial College Press, Johns Hopkins University Press, fatto parecchi contributi in opere collettive uscite da Oxford University Press, Cambridge University Press, Springer, MIT Press, World Scientific, Editions La Découverte, American Institute of Physics Publishers, Polimetrica, Akademie Verlag e pubblicato diverse decine di lavori di ricerca in riviste specializzate di matematica, fisica teorica, biologia dei sistemi, filosofia della scienza, della natura e fenomenologia, scienza e arte. I suoi interessi di ricerca spaziano dalla geometria e topologia alla fisica teorica, dalla biologia dei sistemi a quella dello sviluppo, dalla fenomenologia della percezione alla morfologia, dalla filosofia della scienza e della natura ai rapporti tra scienza e arte. Scrive e pubblica in quattro lingue: italiano, francese, inglese e tedesco.

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