Il programma della lista “L’altra Emilia Romagna”

| 4 Ottobre 2014 | Comments (2)

 

 

“L’altra Emilia-Romagna” ha presentato il 3 ottobre a Parma il programma e l’elenco dei suoi candidati per le elezioni regionali del prossimo 23 novembre. “La lista si muove in continuità con quella creata da Tsipras alle europee di maggio scorso. Una sinistra plurale, radicata sul territorio e capace di stare dentro le grandi lotte che si affrontano nella nostra terra», ha esordito la candidata alla guida di viale Aldo Moro Cristina Quintavalla (nelle foto), docente di storia e filosofia al liceo classico Gian Domenico Romagnosi di Parma. 
La lista civica della sinistra antagonista mira a «dare un valore alla migliore storia politica del paese – ha dichiarato Quintavalla – lontana dagli autoritarismi e dai neoliberismi intrapresi dall’attuale governo, con i quali l’attuale amministrazione regionale e i candidati del Pd sono totalmente in linea. In Emilia abbiamo un triste primato – ha continuato – ovvero un aumento del 146% delle persone in cerca di lavoro, il dato peggiore in tutto il Nord-Est. E una speranza di crescita nel 2015 praticamente nulla». 
Poi i candidati, tra cui il capolista a Bologna e Reggio Emilia Piergiovanni Alleva, hanno illustrato alcuni punti del programma, incentrato soprattutto su lavoro, salute e scuola. Riguardo la recente rottura con Sel, Quintavalla ha risposto ai cronisti: «Trovo inconciliabile la scelta di Sel regionale con le battaglie che conduce a livello nazionale, soprattutto in tema di lavoro. E’ comunque un pezzo importante della politica di sinistra, perciò tenteremo una collaborazione con loro». Questi i nomi dei candidati nella circoscrizione di Bologna: Piergiovanni Alleva, Cecilia Alessandrini, Lorenzo Alberghini, Claudia Candeloro, Michele Ferrari, Margherita Romanelli, Paolo Giuffrida, Maria Rita Rustichelli, Alberto Razzi, Marco Trotta e Pierina Zanetti.

 

 

 

IL PROGRAMMA L’ALTRA EMILIA ROMAGNA  IN DIECI PUNTI:

Cittadinanza attiva per una svolta politica


L’Emilia Romagna è attraversata da una profonda crisi scatenata dalle politiche neoliberiste degli ultimi anni, assunte passivamente dalle direttive europee e dai governi nazionali e che la Regione non ha contestato, anzi ha fatto integralmente proprie.

Occorre cambiare direzione e battersi contro questa logica del profitto che tutto trasforma in merci: i beni naturali, il lavoro, i diritti, la democrazia.

Siamo la sola forza alternativa a questa deriva neoliberista per questo ci batteremo fino in fondo per difendere la dignità di tutti i lavoratori e dei troppi senza lavoro.

Ci candidiamo al governo della Regione per attuare una politica che abbia come obiettivi fondamentali il rilancio dell’occupazione, la difesa e lo sviluppo dei diritti, il contrasto alla privatizzazione dei servizi pubblici e del sistema scolastico, la difesa dell’ambiente e la conversione ecologica dell’economia, l’estensione della partecipazione diretta dei cittadini alle scelte politiche. Vogliamo che la nostra Regione torni a coltivare i valori della solidarietà e dell’inclusione sociale. La società dell’Emilia-Romagna è nata come costellazione di libere città millenarie. Nei nostri atenei si è sviluppata la conoscenza, nelle nostre piazze sono sorte le libertà civili e gli ideali di uguaglianza e giustizia sociale, nei teatri le arti, nelle botteghe artigiane e nelle campagne produzioni di eccellenza, realizzando così un’elevata qualità della vita. Abbiamo riconquistato la nostra libertà con il sangue dei partigiani, combattendo contro il nazifascismo. Questa storia non può essere cancellata. Non possiamo accettare supinamente che siano tolti alla Regione, alle Province, ai Comuni, come voluto dalle “riforme” di Matteo Renzi, i poteri e le competenze e gli strumenti di democrazia che hanno permesso all’Emilia-Romagna di raggiungere un alto livello di qualità della vita.

Occorrerà quindi invertire la rotta e porre mano allo Statuto regionale con visione costituente per organizzarne le funzioni in modo equo fra i territori, con la partecipazione diretta e deliberativa dei cittadini alla loro amministrazione.

La crisi in atto va affrontata con un Programma politico di governo aperto ai contributi dei movimenti, alle esperienze di cittadinanza attiva e alle competenze professionali, culturali, artistiche, tecnico-scientifiche che riterranno di cooperare per affermare in Emilia Romagna la priorità delle persone e l’attuazione della Costituzione.

Non è il momento di cedere sovranità popolare! Occorre un governo della Regione capace di stare nei conflitti e fronteggiare le scelte compiute dal governo nazionale e dalle oligarchie politico-finanziarie a livello europeo e mondiale.

 

 

1. IL LAVORO PRIMA DI TUTTO

Nella nostra Costituzione il lavoro è l’elemento fondante della societàà (art, 1), diritto dovere dei singoli volto alla realizzazione della loro personalità e della cittadinanza, (art.4, 35, 36, 37, 38) ed è pertanto posto come limite-finalità alla libertà d’impresa (art. 41.) Il lavoro dunque al primo posto: lo dice la Costituzione, lo chiedono i cittadini, è l’unica risposta sensata alla crisi in atto. La disoccupazione ormai colpisce anche la nostra Regione. In alcuni anni il tasso di disoccupazione è triplicato passando dal 2,9 % del 2007 al 9,3% attuale. In un solo anno sono stati persi 30.000 posti di lavoro. I disoccupati sfiorano la cifra di 200.000, altri 100.000 hanno rinunciato del tutto a cercare il lavoro. Una crisi che colpisce soprattutto i giovani e in particolare le donne e aumenta ancor più la forbice fra ricchi e poveri. Lo stesso mondo della cooperazione, un tempo simbolo della cultura solidaristica di questa regione, ha subito una torsione liberista, da “difesa” di piccole imprese, lavoratori e utenti, a “impresa” che sta sul mercato e ne adotta le spietate regole. Con la crisi la deindustrializzazione è, ormai, un fatto reale. Intere filiere produttive sono a rischio di estinzione. Alla disoccupazione si è aggiunta la piaga del precariato che il Jobs Act vuole rendere permanente ed esteso a tutti. Vogliono farci credere che un rilancio economico possa arrivare dall’abbattimento dei diritti e delle tutele dei lavoratori piuttosto che da programmi d’investimenti pubblici e privati che creino nuovi posti di lavoro. L’abolizione dell’art.18 apre la porta ad arbitri e abusi che lo Statuto dei Lavoratori aveva relegato nella spazzatura delle relazioni sindacali. In prospettiva la situazione potrebbe aggravarsi in caso di adesione da parte del Governo Italiano al trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti (TTIP) che consentirebbe al grande capitale americano di operare in Europa e in Italia con “le proprie regole” distruttive in tema di lavoro, agricoltura e di ambiente. La creazione di nuovi posti di lavoro non solo nel settore privato, ma anche nel pubblico impiego (ormai falcidiato e criminalizzato per mettere i lavoratori gli uni contro gli altri) rappresenta dunque l’obiettivo principale di questa fase politica anche in Emilia Romagna.

 

Per questo proponiamo un Piano Straordinario del Lavoro che crei 50.000 nuovi posti di lavoro attraverso:

Ø  piani d’intervento delle amministrazioni pubbliche locali destinati alla protezione e messa in sicurezza del territorio, alla tutela, valorizzazione e fruizione del patrimonio storico, culturale e artistico, alla qualificazione dei servizi alla persona (scuola pubblica, sanità, assistenza);

Ø  L’erogazione degli incentivi pubblici alle imprese che sottoscrivano con i lavoratori e gli enti locali, Piani Industriali, che indichino gli obiettivi occupazionali e le tipologie contrattuali non precarie da utilizzare;

Ø  Una particolare vigilanza e attenzione sugli appalti escludendo le gare al massimo ribasso, la proliferazione dei subappalti e le tipologie contrattuali di comodo;

Ø La revisione e rimodulazione della liberalizzazione delle aperture domenicali dei centri commer-ciali che, oltre a creare ingiustizia nei confronti delle lavoratrici e dei lavoratori coinvolti, contribuisce a impoverire i centri storici;

Ø  L’inserimento nei bandi di gara per cooperative di produzione e servizi di clausole sociali che garantiscano adeguati standard economico-normativi a tutela dei lavoratori soci o dipendenti, contrastando, laddove esiste, la piaga delle dimissioni in bianco;

Ø  La lotta alle “delocalizzazioni” e alle dismissioni industriali nel territorio regionale adottandi idonei strumenti e vincoli urbanistici;

Ø  Il ricorso ai contratti di solidarietà nelle crisi aziendali nel più ampio obiettivo della riduzione degli orari di lavoro, a parità di salario, finalizzata all’incremento occupazionale;

Ø  La costituzione, nella logica della programmazione, di un’Agenzia economico finanziaria (anche accorpando e modificando strutture esistenti) per canalizzare e orientare risorse pubbliche e private, locali, nazionali ed europee, nonché Fondi di Investimento categoriali per costruire nuova occupazione stabile e per implementare ricerca e innovazione;

Ø  Il potenziamento dei Centri per l’Impiego per favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro e l’istituzione dell’Anagrafe Pubblica del Lavoro sulla cui base assumere politiche di contrasto alle forme di sfruttamento e d’iniquo precariato, di lavoro nero, compreso quello della cooperazione “spuria”.

Ø  Infine, come contrasto alle forme di povertà e di esclusione sociale che interessano purtroppo strati crescenti di popolazione, è indispensabile confermare ed estendere gli ammortizzatori sociali rendendoli universali e istituire il reddito minimo garantito di ultima istanza per inoccupati e disoccupati e working poor, uno strumento necessario per immaginare un’uscita dalla crisi che non lasci indietro nessuno nella disperazione e nella solitudine.

 

2. UN NUOVO MODELLO DI SVILUPPO

Il modello di sviluppo che si è affermato in questi anni, incentrato su una massiccia cementificazione delle città, sul consumo di suolo e sul conseguente stress ecologico, ha mostrato tutti i suoi limiti e le irrisolte contraddizioni. Nel frattempo, la crisi economica sta minando le basi produttive nel nostro Paese e anche l’Emilia Romagna subisce le conseguenze di questa lunga fase di stagnazione. Le caratteristiche di questa crisi sono la perdita di produttività e competitività di un sistema locale, caratterizzato da una diffusa industrializzazione fondata su una miriade di piccole aziende, prevalentemente terziste, e di pochi grandi poli d’eccellenza. Questa caratteristica che ha favorito in altri tempi flessibilità e capacità d’adattamento al mercato, non è stata in grado di fronteggiare le modificazioni imposte dai processi di globalizzazione e dall’ingresso nel mercato di molti e agguerriti sistemi degli altri paesi. Il ritardo con cui si sono colti questi fenomeni che erano precedenti l’esplosione della crisi, ha determinato la perdita di migliaia di posti di lavoro anche nelle figure più qualificate. Oggi s’impone una profonda trasformazione delle politiche di medio termine sia a livello nazionale sia regionale, scelte che affrontino il tema dello sviluppo locale con una visione profondamente innovativa, valorizzando le risorse esistenti e sostenendo interventi selettivi, mirati a mettere in movimento competenze, ricerca, innovazione ma anche colpendo le rendite di posizione dei troppi intermediari inefficienti. E’ fondamentale che il raccordo tra la ricerca universitaria e l’innovazione tecnica e imprenditoriale non sia com’è stato finora episodico e casuale, ma derivi da una capacità di programmazione e del miglior uso delle risorse, oggi fondamentalmente allocate nei fondi europei.

Le politiche di austerità europee e i vincoli di finanza pubblica costituiscono una camicia di forza che impone l’attacco ai beni comuni ridotti a merce per garantire profitti. Il Patto di stabilità e crescita (recepito con la legge 448/98), coinvolge tutto il sistema degli Enti locali, che subiscono una forte restrizione dell’autonomia finanziaria e di gestione, risultante dal taglio dei trasferimenti dallo Stato (-16% per le Regioni nel 2013), dal patto di stabilità interno e dalla spending review.

La Regione Emilia-Romagna è stata in prima fila nel favorire il processo di privatizzazione di beni e servizi che dovrebbero essere “comuni” e quindi indisponibili. La creazione di vere e proprie SpA, partecipate in tutto o in parte dall’ente locale, per l’erogazione o gestione dei beni essenziali alla vita di tutti, sorte allo scopo di spostare il debito fuori dai bilanci, ubbidiscono alle logiche predatorie del profitto. Le grandi multi-utility, Iren ed Hera, hanno tra i loro soci, con pacchetti azionari determinanti, importanti banche e fondi d’investimento.

Oggi molte società partecipate, come ha dichiarato la Corte dei Conti, hanno i bilanci in rosso, con perdite in quasi tutti i settori. I debiti ingenti di queste società saranno scaricati sulla collettività attraverso tagli alla spesa sociale e aumenti della fiscalità locale, altro indebitamento, alienazioni patrimoniali, svendita di beni e servizi a banche, fondi d’investimento, finanziarie.

E’ necessario invertire la rotta, rivendicare la fine delle privatizzazioni e il ritorno a un forte intervento pubblico attraverso:

Ø  La proprietà pubblica di tutti i beni comuni, in particolare la ri-pubblicizzazione dell’acqua, voluta da ventisei milioni di cittadini, col vittorioso referendum del 2011;

Ø  Ricostituzione delle aziende speciali pubbliche che non perseguono scopi di lucro.

Ø  La creazione di un fondo regionale  finalizzato alla spesa sociale, attraverso risorse finanziarie reperite non a prezzo di mercato, ma attraverso la rii-pubblicizzazione della Cassa Depositi e Prestiti come banca di riferimento degli Enti Locali;

Ø  La promozione di forme alternative di finanza locale finalizzate al sostegno del commercio, artigianato e piccole e medie imprese;

Ø  La riappropriazione da parte degli enti locali, della competenza politica relativa al sistema tariffario dei beni e servizi essenziali (acqua, energia, trasporti, rifiuti, ecc.) prevedendo minimi garantiti e tariffe agevolate per i meno abbienti.

 

3. PENSIAMO ALLA SALUTE

Siamo gli unici oggi a difendere il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) e cioè il Diritto alla Salute, sancito dall’art. 32 della Costituzione, dall’assalto delle grandi lobby, le compagnie assicurative in testa, che tentano di trasformare anche la salute in merce. Dicono che la causa del debito pubblico è rappresentata dalla spesa sanitaria eccessiva. È falso! Essa è inferiore alla media europea. E tuttavia il Fondo sanitario nazionale, nelle intenzioni di questo governo è destinato a ridursi ulteriormente dal 7,1% del PIL del 2013 al 6,7% nel 2017. I ticket troppo alti spingono ormai i cittadini a rivolgersi ai privati o addirittura a rinunciare alle cure. Si vuole promuovere il passaggio a un sistema sanitario basato sulle assicurazioni private per chi se le può permettere e con un servizio pubblico residuale e squalificato per il resto della popolazione secondo il disastroso modello liberista americano che esclude quarantasette milioni di cittadini dall’assistenza sanitaria. Le ASP (Aziende pubbliche di servizi alla persona), che dovevano rappresentare l’ente gestore pubblico per eccellenza di tutte le problematiche socio-assistenziali per gli anziani, i minori, le famiglie in difficoltà, le persone fragili, rischiano, per volontà della Regione, di essere liquidate per far posto ai soggetti gestori privati, in particolare alcune grandi imprese cooperative, che, sotto le etichette di “terzo settore” e “no profit”, sfruttando il lavoro di soci e socie lavoratrici, attraverso il processo di accreditamento e di esternalizzazione, sono i destinatari privilegiati della privatizzazione in atto dei servizi alla persona, quelli socio-assistenziali e educativi e in prospettiva anche sanitari. Emblematico il caso dell’IRAP che la Regione ha fissato all’8,5% per le Asp (istituzioni pubbliche) e al 3,21% per le imprese cooperative. In altre regioni (Lombardia, Puglia, Piemonte) vige l’esenzione totale sia per le Asp sia per le cooperative. La crisi del modello emiliano di welfare municipale e comunitario è del tutto evidente. Vi sono settori della sanità e dell’assistenza in cui si manifestano evidenti e preoccupanti carenze. L’assistenza ai sofferenti mentali è pesantemente condizionata dalla scarsezza di risorse che frena ogni volontà di percorsi innovativi riabilitativi e da processi di esternalizzazione generatori di cronicizzazione. L’assistenza agli anziani non autosufficienti attraversa un’allarmante fase di crisi. La domanda di assistenza domiciliare non ha mai ottenuto risposte adeguate per qualità e quantità delle risorse dedicate ed è stata surrogata dal “badantato” tutto a carico delle famiglie, e in particolare delle donne.

E’ prioritario allora difendere la sanità pubblica in opposizione alla politiche governative di definanziamento ed alle spinte privatistiche che possono compromettere e cancellare il modello sanitario dell’Emilia-Romagna.

Per questo è necessario un cambiamento profondo che poggi su due pilastri:

a) il ruolo prevalente di gestione e di programmazione del soggetto pubblico;

b) la più vasta partecipazione dei cittadini uguali nei loro diritti, secondo l’art. 4 della Costituzione.

La Regione deve dotarsi di un nuovo Piano per la Salute sostenuto da un incremento degli investimenti e delle dotazioni organiche del Servizio Sanitario Regionale (nel solo 2013 il blocco degli organici ha comportato la perdita di 1744 posti di lavoro qualificati) con l’obiettivo di:

Ø  realizzare le case della salute, qualificare gli ospedali, garantire la continuità terapeutica e l’integrazione sociosanitaria, eliminare i ticket;

Ø  potenziare la prevenzione, la medicina del lavoro, l’igiene ambientale, l’educazione sanitaria e alimentare, il controllo sulla qualità delle merci e sui modi di produrle, l’analisi epidemiologica (nati, mortalità, registro tumori, patologie degenerative e genetiche ecc.) integrandola con quella degli inquinanti ambientali e dei fattori di rischio socio-economici per orientare le politiche di prevenzione e di risanamento ambientale e urbanistico;

Ø  aumentare il fondo per la non autosufficienza (FRNA) per qualificare e potenziare l’assistenza domiciliare;

Ø  garantire  nel campo della Salute riproduttiva il rispetto delle scelte delle/degli utenti e della loro autodeterminazione. Occorre un nuovo impegno a favore dei consultori familiari (accessibilità, continuità e relazione diretta fra utenti e operatrici/operatori, senza passaggio al CUP) potenziando i consultori giovanili, con interventi anche nelle scuole;

Ø  rendere effettiva l’applicazione della Legge 194, in una regione che registra un 56% di medici obiettori e inserire gli anticoncezionali nei Livelli Essenziali di Assistenza;

Ø  riorganizzare la medicina di base in una rete di poliambulatori e “case della salute”  in grado anche di abbattere le lunghe liste d’attesa attraverso una maggiore appropriatezza delle prescrizioni e con l’eliminazione di inutili passaggi burocratici.

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4. SCUOLA PUBBLICA E FORMAZIONE CONTINUA

Contro la deriva liberista che investe anche la scuola, riaffermiamo la funzione istituzionale della scuola statale laica e pluralista per tutti come strumento di eguaglianza e solidarietà. I privati, come afferma la Costituzione, sono liberi di istituire scuole ma senza oneri per lo stato.  Vogliamo una legge che preveda tempi distesi di apprendimento, i nidi considerati un servizio rivolto alla collettività, la scuola dell’infanzia nella scuola di base con l’ultimo anno obbligatorio, il tempo pieno, un obbligo scolastico dai 5 ai 18 anni, un biennio superiore unitario e un triennio di indirizzo e che sposti la formazione professionale dopo i 18 anni, secondo gli indirizzi della proposta di legge di iniziativa popolare “per una buona scuola della Repubblica”, sottoscritta ne 2006 da 100.000 cittadini e cittadine e rimasta per due legislature nei cassetti della Camera e che è stata recentemente depositata al Senato da 13 parlamentari di diversi gruppi.

Affermiamo il carattere nazionale del sistema scolastico respingendo la tentazione regionalistica e localista che si è sviluppata in questi anni.

L’Istituzione scuola deve essere erogata obbligatoriamente dalla Repubblica (art. 33). Ciò vale innanzitutto per la scuola dell’infanzia il cui diritto all’accesso (art. 34) è stato spesso negato da miopi politiche nazionali che hanno indotto i comuni a venir meno al loro obblighi dirottando risorse verso scuole private convenzionate. Le criticità che si sono maggiormente evidenziate nella nostra regione riguardano proprio la scuola dell’infanzia, il tempo pieno nella scuola dell’obbligo.

La politica regionale fondata sul “sistema integrato” ha prodotto pesanti danni all’esercizio del diritto all’istruzione nella fascia di età 3-5 penalizzando in particolare i ceti meno abbienti con rischi di emarginazione sociale dei soggetti più deboli e in particolare dei figli degli immigrati.

Le  proposte de L’Altra Emilia-Romagna sono:

Ø  affidare le competenze regionali sul segmento 3-6 anni all’assessorato scuola e non alle politiche sociali come finora è stato in contrasto con quanto accade a livello statale;

Ø  modificare la Legge 26/2001 inserendo la garanzia del diritto di tutti i bambini e le bambine ad accedere alla scuola statale o comunque a gestione pubblica, laica e gratuita, dai 3 ai 18 anni;

Ø  abrogare i finanziamenti regionali alle scuole private e la “convenzione quadro fra Enti locali e scuole dell’infanzia paritarie”;

Ø  programmare la statalizzazione delle scuole dell’infanzia paritarie comunali, con un periodo intermedio di intervento diretto della Regione, come fa da anni la Regione Toscana;

Ø  intervenire per un ampliamento dei posti di tempo pieno in modo da soddisfare tutte le richieste;

Ø  rifinanziare la Legge E.R. 12/2003 per quanto riguarda le voci: integrazione disabili, alfabetizzazione stranieri, estensione dell’offerta delle scuole dell’infanzia statali, rapporto fra scuola e mondo del lavoro;

Da anni nel nostro Paese è in diminuzione il numero degli studenti che frequenta l’Università. E’ una tendenza che mina alle radici il futuro dell’Italia. Le competenze maggiori della Regione in relazione a questo settore riguardano il “Diritto allo Studio”. L’attuale, irrazionale e inefficiente, metodo affidato all’Azienda Regionale per il Diritto allo Studio, mette  a disposizione una cifra standard ogni anno che viene distribuita fino all’esaurimento della cifra. Noi riteniamo, al contrario che tutti gli “aventi diritto” debbano ricevere l’assegnazione della borsa di studio.

Per questo proponiamo alcuni interventi prioritari:

Ø  aumento delle risorse e introduzione del “reddito di formazione” in sostituzione del sistema Borse di studio  per permettere a tutti gli studenti di sostenere il costo dei corsi universitari.

Ø  dotare ogni sede universitaria di una mensa gratuita funzionante e mettere a disposizione degli studenti alloggi, capienti, efficienti e sicuri;

Ø  forti riduzioni per gli studenti del costo degli abbonamenti per le linee dei trasporti pubblici e prevedere sull’intero territorio regionale l’entrata gratuita per tutti gli studenti e facilitazioni per l’accesso e l’uso di servizi culturali e sportivi.

Assistiamo nelle Università ad una allarmante transizione verso un modello che penalizza la ricerca, soprattutto quella di base in cui la dichiarata attenzione alla qualità, in realtà si traduce in una pletora di adempimenti burocratici. Il vocabolario della “qualità universitaria” sembra preso in prestito da un corso per amministratori delegati e manager aziendali: efficienza, produttività, competitività, innovazione sono i nuovi paradigmi della ricerca. Quando è risaputo, invece, che le basi per una ricerca di qualità sono: passione, competenza, creatività.  La parola “cultura” è scomparsa dai documenti ufficiali inerenti la ricerca, sostituita da attributi che ne sanciscono la deriva mercantile. Ciò si riflette in maniera decisiva sulle politiche di finanziamento. Anche in Regione Emilia-Romagna, come nei programmi di finanziamento comunitario, i progetti finanziabili sono solo quelli che hanno un impatto forte sul mercato, mente la ricerca di base, è lasciata languire poiché non rende nell’immediato e non prefigura scenari di profitto. Lo sforzo che la Regione Emilia Romagna ha compiuto e sta compiendo per la creazione nelle strutture Universitarie di Tecnopoli per la ricerca industriale e il trasferimento tecnologico ne è l’esempio più eclatante.  A questa politica, che asservisce l’Università alle esigenze dei privati e dei gruppi industriali, e che porta a un impoverimento del patrimonio di conoscenze e, in generale, di quello culturale delle nostre Università si propone che la Regione Emilia Romagna favorisca e finanzi anche progetti che:

 

Ø  spaziano su un ampio fronte di tematiche culturali (scienze umanistiche, sociali, naturali ecc.);

Ø  si caratterizzano per aggregazioni interuniversitarie di giovani ricercatori;

Ø  consentono la partecipazione ai bandi anche di gruppi ristretti di ricercatori;

Ø  pongono particolare attenzione all’interdisciplinarietà delle conoscenze.

 

5. VIVERE BENE IN CITTA’ ACCOGLIENTI

La casa è il primo e fondamentale diritto di cittadinanza, sancito nella dichiarazioni dell’ONU che l’Italia ha adottato dal 1948. La casa come ultima patria  di ciascuno di noi. Nessun anziano/a non autosufficiente deve essere costretto/a a rinunciare alla sua casa per andare a occupare un posto letto in qualche ricovero. Devono essere bloccati gli sfratti per morosità incolpevole. Nessuna famiglia deve più essere scacciata o privata di una casa senza la proposta di una degna alternativa. Il principale ostacolo al diritto alla casa e alla vita della città e dei suoi servizi è la prosecuzione di una politica del territorio e urbanistica che finora ha protetto e privilegiato la rendita sui suoli e le speculazioni ad essa connesse. E’ necessario contrastare la rendita sui suoli, con i piani urbanistici, con le revisioni catastali e fiscali, con interventi di trasformazione urbana, per non alimentare le “bolle del mattone” che hanno già prodotto migliaia di appartamenti vuoti invenduti, 2,7  milioni in Italia, 13.000 nella sola area bolognese, con il degrado e la svalorizzazione delle case e dell’abitato e con il collasso  dell’occupazione nel settore dell’edilizia. In contrasto a questa tendenza queste le nostre proposte

a)    sostenere il sistema di Edilizia Residenziale Pubblica (ERP) investendo sul patrimonio con l’obiettivo di incrementarlo e riqualificarlo. In tale direzione bisogna perseguire standard di qualità sociale e ambientale, realizzando il mix abitativo capace di favorire l’integrazione sociale, collegandolo a modalità gestionali innovative fondate su relazioni più partecipate con gli utenti; perseguire gli obiettivi di risparmio energetico, di sicurezza e antisismica, di abbattimento delle barriere architettoniche.

b)    puntare su un piano di recupero del patrimonio pubblico e demaniale abbandonato attraverso incentivi ai Comuni per la riqualificazione a scopo abitativo, anziché perseguire politiche di dismissioni speculative di tale patrimonio. È necessario imporre, anche con adeguate politiche fiscali, il riutilizzo del patrimonio privato sfitto, invenduto e/o abbandonato.

Legato al diritto alla casa è il diritto alla città, inteso come diritto a città sostenibili, dotate di trasporti e servizi pubblici efficienti, capaci di garantire  il benessere degli abitanti anche in un’ottica di genere, dal lavoro al tempo libero, città in cui il diritto proprietario non prevalga sull’interesse collettivo, il valore di scambio sul valore d’uso degli spazi e degli edifici urbani.

La città  è fatta di luoghi sociali dove si innescano le proteste e le rivolte sociali, dove talvolta avviene lo scontro con gli apparati repressivi dello stato, dove dunque si agisce il conflitto come testimoniamo  tanti fatti recenti e meno recenti , da Genova del G8  a Zuccotti Park e Occupay Wall Street di New York, dal piazza Tahrir del Cairo,  a piazza Taksim e Gezi Park di Istambul, agli indignados di Porta del Sol e alle piazze greche della protesta contro l’austerità. L’elenco potrebbe essere molto lungo. Potremmo continuare con le Università occupate e i campi rom sgomberati, e continuare con gli edifici a destinazione pubblica, abbandonati, occupati, restituiti a nuova vita come il Teatro Valle a Roma e poi sottratti nuovamente alla creatività collettiva.  Le politiche di pianificazione del territorio ed urbanistiche finora hanno seguito un modello espansivo della città e alimentato un mercato edilizio basato sulla valorizzazione della rendita dei suoli e sulle speculazioni ad essa connesse: si è costruito troppo, spesso male e senza corrispondere ad esigenze effettive di abitazione dei cittadini. Riappropriarsi di questo diritto alla città non significa arrestarne lo sviluppo, ma progettarlo secondo il bene comune, rilanciando la centralità del cittadino  lavoratore per assicurare a tutti dignità sociale e pieno sviluppo della personalità umana.

Consideriamo il suolo, il territorio naturale e coltivato con la loro biodiversità indispensabili alla vita, un bene comune che non deve più essere sprecato per il profitto o per irresponsabili scelte politiche. La Regione Emilia-Romagna è oggi la terza nella graduatoria nazionale della percentuale di suolo occupato da costruzioni e infrastrutture che supera ormai il 10,2% della sua superficie complessiva contro una media nazionale del 7,3%. Va quindi non più disatteso ma rigorosamente applicato il dettato della legge regionale 20/2000 che prescrive di: “… prevedere il consumo di nuovo territorio solo quando non sussistano alternative derivanti dalla sostituzione dei tessuti insediativi esistenti ovvero dalla loro riorganizzazione e riqualificazione”.

Vanno rivisti tutti i Piani urbanistici, gli accordi fra enti e privati, i progetti infrastrutturali che contravvengono a tale prescrizione ed è necessaria una rigorosa salvaguardia e vigilanza sui valori ambientali, culturali e produttivi della campagna e della montagna, soprattutto di quelle periurbane che oltre ai valori ambientali, consentono produzioni alimentari a km 0.

Negli ultimi due anni l’Emilia è stata colpita dal sisma, dall’alluvione del Secchia e da una serie di altre minori calamità che hanno profondamente colpito ampie fasce della popolazione e mutato il  volto di un’ampia porzione del territorio regionale. La ricostruzione avviene in modo contraddittorio: quella degli edifici e dei servizi pubblici procede in modo spedito, ma lo stesso non si può dire per la ricostruzione privata delle abitazioni e delle attività produttive e commerciali, che soffre i limiti di una impostazione burocratica non in sintonia con le esigenze di efficacia e tempestività di chi vive il disagio del post sisma e post alluvione. E’ necessaria una legge quadro sulle calamità e un approccio ai problemi dell’Emilia che non  ricorra a una struttura commissariale identificata solo con il Presidente della Regione ma che non sottragga all’Assemblea Legislativa il ruolo di indirizzo della nella ricostruzione. E’ indispensabile la discussione pubblica partecipata dai cittadini sulla riorganizzazione economica e sociale. Ciò consentirà il superamento delle contraddizioni, la democratizzazione a sostegno dell’attività legislativa e la revisione dell’iter per il ripristino di abitazioni e attività produttive accelerando i tempi della ricostruzione privata.

 

6. CON LA CULTURA NON SI MANGIA?

La Costituzione italiana (Art. 9) ha inserito fra i suoi principi fondamentali la promozione della cultura e della ricerca scientifica e tecnica e la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della nazione. Ciò comporta l’inalienabilità del patrimonio in quanto bene comune, di proprietà di tutti e di ciascuno, che ci rende cittadini sovrani.

Nel nostra Paese esso è capillarmente distribuito nel territorio, ogni città piccola o grande è “città d’arte”, e costituisce una fondamentale infrastruttura di cittadinanza,

Gran parte di questo patrimonio  è di proprietà dello Stato e degli Enti locali cui è affidata la tutela e la valorizzazione. La conservazione e la gestione di questi beni richiedono risorse adeguate e personale specializzato e stabile, che i continui tagli di bilancio e il blocco del turn-over hanno reso del tutto insufficienti. Negli ultimi trent’anni, viceversa, le politiche statali – nessun governo escluso – sono state finalizzate esclusivamente all’abbattimento della spesa.

La chimera dello sfruttamento commerciale dei beni culturali ha, fra l’altro, dato origine a provvedimenti che, senza generare sensibili risparmi, hanno determinato l’affidamento a privati – naturalmente for profit – di una molteplicità di servizi, anche di carattere progettuale, scientifico o didattico. Il ricorso a personale precario, spesso reperito tramite cooperative di servizi, non garantisce la continuità della ricerca e degli interventi necessari, diffondendo insicurezza fra lavoratrici e lavoratori spesso sottopagate/i e prive/i di diritti.

Occorre invece un forte investimento nel settore pubblico della cultura, a fronte del vantaggio collettivo offerto dalla sua potenzialità di  diffusione della creatività e della capacità di innovazione. Gli interventi di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale vanno orientati non nell’ottica del marketing culturale, ma come strumento e occasione generatrice di conoscenza, intelligenza critica,  partecipazione, coesione e integrazione sociale. Devono essere assicurati organici qualificati e di ruolo. Deve essere ripensato e disciplinato con urgenza il trasferimento delle competenze delle disciolte province alle unioni intercomunali e alla città metropolitana, riorganizzando le modalità di pianificazione e distribuzione delle risorse.

Va incentivata la produzione indipendente, con l’offerta di servizi e strutture. Va  promossa la partecipazione di tutte/i alla vita culturale, anche attraverso la co-progettazione di interventi e servizi e il sostegno all’autogestione di spazi in disuso, senza concessioni a logiche clientelari.

I finanziamenti europei, vincolati a specifici programmi di intervento e a particolari modalità operative, andranno pienamente utilizzati con più attente prospettive strategiche nell’attuazione di politiche regionali coordinate, finalizzate anche allo sviluppo sostenibile del turismo, settore in cui, nonostante la crisi, gli itinerari culturali mantengono inalterata la loro attrattiva.

Proponiamo quindi di

Ø  Potenziare il ruolo dell’Istituto per i Beni Culturali, con l’attribuzione di competenze  specifiche nella pianificazione della spesa e nella ripartizione delle risorse.

Ø   Includere i beni culturali in un piano coordinato di prevenzione e protezione, concorrendo al finanziamento di interventi finalizzati alla sicurezza negli edifici pubblici storici e a destinazione culturale anche attraverso sponsorizzazioni e mecenatismo.

Ø  Incentivare le assunzioni a tempo indeterminato, con procedure concorsuali, per le figure direttive e specialistiche delle istituzioni culturali pubbliche, includendo nuove professionalità e incoraggiando forme di lavoro collegiale e interdisciplinare.

Ø  Promuovere la piena attuazione della L. 22 luglio 2014, n. 110 sulle professioni dei beni culturali, imponendone la ricezione nei bandi e negli affidamenti pubblici.

Ø  Introdurre norme che ribadiscano e perfezionino l’obbligo di destinare il 2% della spesa destinata all’edilizia pubblica all’arte contemporanea, favorendo i percorsi di condivisione e, laddove possibile, di co-progettazione con gli utenti e le popolazioni interessate.

Ø  Rendere effettiva, attraverso procedure trasparenti, la destinazione di aree e edifici dismessi per lo svolgimento di attività culturali, come previsto dalla L. 8 agosto 2013, n. 91, art. 6

 

7. UN AMBIENTE PIU’ SANO

L’ambiente del pianeta, devastato dalla voracità insaziabile del sistema capitalistico e dalle sue guerre, dovrebbe invece essere il lascito che permetterà una degna vita alle generazioni future. Il tentativo di accentramento nazionale delle scelte in materia ambientale riduce il diritto di chi vive un territorio di scegliere in modo partecipato come tutelare questo bene comune.

I disastri climatici, economici, politici e sociali provocati dal consumo di combustibili fossili, ora in rapido esaurimento, possono essere mitigati e arrestati con la diffusione di politiche locali di risparmio, di utilizzo di fonti di energia rinnovabile, di stili di consumo eco-sostenibili.

Questo governo, modificando il titolo V della Costituzione, vuole revocare alla Regione il controllo sulla “produzione, trasporto e distribuzione di energia” con lintenzione di far bucherellare alle grandi compagnie petrolifere il suolo e le coste senza che la rappresentanza dei cittadini possa porre ostacoli o condizioni.

L’Emilia Romagna con i suoi depositi di gas e con le diverse concessioni minerarie attive è il serbatoio energetico dell’Italia, in un contesto che vede impegnato il Governo – con il decreto “Sblocca Italia” – ad accelerare i progetti di ricerca e estrazione idrocarburi eliminando le autorizzazioni regionali. È una politica energetica miope, pericolosa e altamente impattante.

Proponiamo che la Regione Emilia Romagna contrasti questa politica sospendendo le nuove richieste di concessioni minerarie messa in atto dopo il sisma del 2012 e revochi, in base al principio di precauzione, le concessioni minerarie attive che ricadono su zone a medio e alto rischio sismico nonché le trivellazioni costiere, nel Delta e in altre aree di interesse paesistico che degradano l’ambiente e possono compromettere anche l’offerta turistica.

Crediamo in un’economia indirizzata alla conversione ecologica, che attraverso la ricerca e l’innovazione recuperi materiali, produca energia pulita, tuteli l’ambiente e implementi  processi   produttivi creando così nuovi posti di lavoro.

Siamo contrari al Piano Regionale di Gestione Rifiuti, che ancora prevede il mantenimento degli inceneritori. Siamo per una politica che sappia coniugare la strategia “rifiuti zero” al principio del “riciclo totale”, affinché il nuovo Piano Regionale dei Rifiuti che proponiamo elimini il ricorso all’incenerimento, riservando risorse ai Comuni per incentivare e generalizzare la raccolta differenziata porta a porta, per promuovere un sistema di tariffazione puntuale, per puntare su processi di assimilazione e controllo del flusso del rifiuto speciale che nella nostra Regione è tre volte tanto il rifiuto solido urbano. Vogliamo e dobbiamo potenziare il ruolo della Regione all’interno dell’ATERSIR, per individuare assieme ai comuni azioni rivolte alla tutela della risorsa idrica, politiche sui rifiuti per il riciclo totale e forme di gestione pubblica dei servizi.

La conversione ecologica comporta anche politiche di “agricoltura per la comunità” rispetto alla soggezione della monocoltura, della chimica, della modificazione genetica, dei brevetti sulla vita e della ricerca di braccia a poco prezzo. L’eredità della civiltà contadina della nostra regione, che è già un punto di forza, non può esaurirsi in operazioni di marketing fieristico ma deve tornare ad essere elemento di coesione comunitaria e di resilienza di fronte alle sfide di un futuro minaccioso. Vanno salvati i terreni di pianura dallaggressione di asfalto e di speculazioni immobiliari, per mantenere in coltura le aree di antica centuriazione e quelle di più recente bonifica. Ma vanno anche pianificati gli interventi di manutenzione e messa a frutto delle aree marginali, dalla collina alla montagna ai residui urbani e periurbani. Sono prospettive di occupazione ma anche di ricomposizione del paesaggio, di sicurezza idraulica, di riappropriazione dell’alimentazione sana e naturale.

Vogliamo incentivare processi di progettazione partecipata (ad esempio i Contratti di fiume) tra gli enti locali, la Regione e la popolazione, al fine di valorizzarne l’ambiente e il paesaggio delle vie fluviali, promuovendo investimenti contro il dissesto idrogeologico, per la tutela della qualità ambientale delle acque dei fiumi, promuovere investimenti per la depurazione delle acque e il recupero di reflui evitandone la dispersione nelle falde e nel mare. È necessario anche rivedere i sistemi idraulici e gli attuali sistemi fognari, per incentivare la totale depurazione e la capacità della rete a fronte delle crescenti alluvioni figlie del cambiamento climatico.

Le politiche nei confronti dell’ambiente richiedono anche una specifica attenzione alla dignità animale. Noi vogliamo una Regione che ponga tra i suoi obiettivi il  raggiungimento di una nuova frontiera per i diritti degli animali e il riconoscimento del loro status giuridico promuovendo una politica ambientale ed alimentare che tuteli la natura, la salute e il benessere umano e animale.

Per questo vogliamo che la Regione s’impegni per venire incontro a chi desideri seguire un regime alimentare vegetariano e vegano in scuole e ospedali

 

8. NO ALLE GRANDI OPERE INUTILI

Nel 2012 sulle strade della regione sono morte 376 persone e 24.800 sono stati i feriti (il 10% dell’Italia). Una strage dai costi umani enormi e da altrettanto importanti costi per la sanità e l’economia tutta. Nello stesso anno sono stati infatti registrati dati decisamente allarmanti dell’inquina-mento dell’aria in gran parte dovuti alla mobilità privata con  superamenti ripetuti dei livelli di PM10 (max consentiti 35): Parma (115 giornate), Reggio Emilia (93), Rimini (88), Modena (85), Ferrara (77), Bologna (73), Piacenza (71), Ravenna (66) e infine Forlì (52).

Per noi Mobilita’ sostenibile significa muoversi in maniera intelligente, con attenzione all’ambiente, agli altri e al futuro della società. Ci sono spostamenti che è corretto fare in auto, per altri è molto meglio andare in autobus, in  bici o a piedi. Infatti in Emilia Romagna  circa il 50% degli spostamenti fatti in auto è più corto di 5 km.

E’ necessario un intervento radicale con obiettivi precisi e verificabili in termini di riduzioni degli inquinanti e riduzione della lunghezza e del numero dei viaggi di veicoli privati. Occorre promuovere Agende Locali per la mobilita’, dove siano presenti le associazioni e i singoli cittadini, per  affrontare con le Istituzioni Locali  temi come sicurezza, pedonalità e ciclabilità, zone a traffico limitato e riqualificazione urbana.Ciò deve avvenire tramite l’integrazione con il mezzo pubblico, lo sviluppo del Sistema Ferroviario Regionale e di quello Metropolitano, del TPL nei servizi filoviari e su gomma “di bacino”, con una tariffazione equa riqualificando il servizio come da anni richiesto dalle associazioni degli utenti. Inoltre si deve prevedere la riorganizzazione della viabilità urbana su gli assi stradali esistenti creando piste ciclo-pedonali, zone 30, aumento delle ZTL e delle aree pedonali, servizi alla mobilità dolce, e per progetti di mobilità solidale e condivisa in sharing.

É noto che la maggior parte dei veicoli commerciali fa viaggi a vuoto per la mancanza di un’organizzazione logistica efficiente. Per superare questo situazione il Piano deve programmare l’intermodalità e la costruzione di piattaforme logistiche di scambio. Ciò deve valere in particolare per il trasporto merci nelle città (City-logistic) attraverso la programmazione degli orari, lo sviluppo dei sistemi informatizzati, l’uso di veicoli elettrici.

A livello regionale la dotazione infrastrutturale in linea con le aree europee più urbanizzate. Eppure c’è chi continua a chiedere nuove infrastrutture, nuove strade o superstrade con un’idea di sviluppo del territorio vecchia di 40 anni, che punta a nuova cementificazione e ai  “grandi corridoi infrastrutturali”, la cui  realizzazione però comporta impatti ambientali non più tollerabili, e richiede risorse assolutamente ingenti che vengono sottratte al welfare o ai bisogni base dei cittadini.

Siamo quindi contrari alle grandi infrastrutture stradali e autostradali in progetto o in programma nella nostra Regione: il Passante Nord, l’autostrada Cispadana, la bretella autostradale Campogalliano-Sassuolo, la Orte-Mestre, il Tibre, ed alcune altre bretelle di collegamento. Molte di queste opere si basano, per altro, sulla finanza di progetto, privatizzandole e scaricandone sui cittadini e le generazioni future i costi e i debiti.

La gestione coordinata e pianificata del traffico urbano con l’utilizzazione dei mezzi informatici e un adeguato sistema di comunicazione e indirizzamento dei flussi in tempo reale sugli itinerari alternativi può supplire adeguatamente alla richiesta di nuove grandi opere stradali costose e mangiasoldi come il Passante Autostradale Nord di Bologna. E’ un’opera per cui esistono valide alternative già presentate che evitano lo spreco di risorse e non devastano il paesaggio agrario la cui capacità di generare occupazione stabile supera di gran lunga l’effetto di un cantiere che si esaurisce in pochi anni e che lascia in eredità cave esaurite e ulteriore urbanizzazione. Altra opera da non realizzare è il People-mover, la monorotaia fra la stazione ferroviaria di Bologna e l’aeroporto, che può essere validamente sostituita da un uso appropriato del Servizio Ferroviario Metropolitano.

In sostanza serve un nuovo Piano della Mobilità sullo sviluppo dei sistemi eco-sostenibili, a partire dalle grandi scelte regionali fino i Piani del Traffico dei Comuni e delle loro Unioni: che renda più sostenibile e sicura la mobilità individuale, il trasporto pubblico di persone e merci che ottimizzi la logistica intermodale anche attraverso le “autostrade del mare” e del Po il cui alveo attende da troppi anni cure e ripristini dalle regioni rivierasche.
Investire su questi aspetti significa investire nella salute, sull’ambiente, sulla sicurezza, nel risparmio dei costi sanitari e di risanamento ambientale a posteriori.

 

9. RISORSE PER IL CAMBIAMENTO

L’economia del debito aggrava la povertà e provoca una crescita delle disuguaglianze. I ricchi sono sempre più ricchi e l’area della povertà assoluta e relativa si estende. La crisi grava su questa enorme ingiustizia. Nell’arco di 20 anni 15 punti di PIL (ogni punto vale 15 miliardi di euro) sono passati dai salari e stipendi ai profitti e alle rendite.

Occorre invertire questa direzione di marcia! Certo le Regioni non hanno un ruolo e una responsabilità diretta. Ma non possono essere solo esecutrici di decisioni prese sopra la loro testa e contro gli interessi dei cittadini e delle stesse imprese. C’è spazio per dare voce alla protesta e alla lotta avanzando rivendicazioni e richieste, cominciando dalla cancellazione dell’obbligo introdotto in Costituzione del pareggio di Bilancio.

Nel reperimento di risorse per il cambiamento c’è spazio per l’intervento diretto della Regione e degli Enti Locali. C’è spazio per contrasto l’evasione e l’elusione fiscale, una emergenza che va affrontata consolidando un accordo con i Comuni del territorio perché partecipino all’attività di accertamento dei tributi gestiti dall’Agenzia delle Entrate.

C’è spazio per intervenire sulla perequazione e progressività delle imposizioni fiscali della stessa Regione,  fra cui Irap e addizionale Irpef. Sulle imposte e sul sistema tariffario vanno attivate modalità progressive che, in funzioni delle classi di reddito, configurino  un’area dell’esenzione e  un’area dell’incremento progressivo delle imposte e dei tributi.

La Regione deve sollecitare la ripubblicizzazione della Cassa Deposito e Prestiti che oggi persegue scopi indirizzati alla privatizzazione di beni comuni e dei patrimoni pubblici. Analogo discorso vale per i fondi pensione che oggi sfuggono ad ogni controllo e finiscono per alimentare le speculazioni finanziarie mentre potrebbero essere finalizzati alla soddisfazione di bisogni collettivi.

Vanno ottimizzate, nel perseguimento degli obiettivi di interesse pubblico le funzioni di programmazione e quelle amministrative assicurando competenza tecnica e legittimazione democratica. Tale riordino istituzionale dovrà adottare buone prassi amministrative per liberare e mettere a disposizione risorse attraverso:

Ø  la trasparenza e la correttezza dell’azione amministrativa;

Ø  la lotta per la Legalità contro l’infiltrazione della criminalità organizzata;

Ø  la democrazia partecipativa e di cittadinanza attiva nelle decisioni, e nel controllo dei risultati;

Ø  la riduzione dei costi dei servizi pubblici dei Comuni, città metropolitana e città capoluogo;

Ø  le iniziative e politiche contro le disuguaglianze di genere, da esprimere in apposito bilancio.

Ø  la possibilità di tasse di scopo sui temi dei servizi pubblici, di solidarietà e accoglienza;

Ø  la diffusione della cultura alla democrazia contro l’assenteismo dalle responsabilità del voto.

Attraverso l’applicazione di queste direttrici la Regione Emilia-Romagna deve ambire ad essere considerata un modello di equità e di solidarietà. Vorremmo diventare la regione più equa, solidale, accogliente d’Europa!

 

10. PIU’ LEGALITA’ E DIRITTI SIGNIFICA PIU’ DEMOCRAZIA

Siamo per l’estensione dei diritti di cittadinanza a partire dal diritto di voto  a tutti coloro che risiedono  in  Emilia Romagna. Siamo per sviluppare patti commerciali e culturali con i paesi di origine dei cittadini migranti. L’accoglienza ai richiedenti asilo, in fuga disperata da paesi anche a noi vicini è un diritto-dovere di solidarietà e di responsabilità collettiva. oltre che il riconoscimento di tutti e tutte a muoversi e alla scelta di costruire una vita migliore nel luogo scelto (Carta di Lampedusa).Siamo contro il razzismo, per il dialogo, l’accoglienza e la valorizzazione di ogni diversità, generazionale, geografica, culturale o di genere. Vogliamo la promozione dei diritti civili, attraverso l’istituzione di

>  Registro regionale dei testamenti biologici

>  Registro regionale delle coppie di fatto e dei matrimoni fra omosessuali.

Siamo per l’autodeterminazione nelle scelte di fine vita, evitando l’accanimento terapeutico.  Vogliamo agire concretamente per il contrasto alla violenza di genere ed operare al fine della piena applicazione della Convenzione di Istanbul (Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica). Vogliamo che  i  fondi  previsti, trasferiti allo scopo dal Governo alle Regioni,  siano destinati ai Centri Antiviolenza storicamente radicati nel territorio. Vogliamo sviluppare progetti finalizzati a contrastare il bullismo, l’omofobia, la transfobia, gli stereotipi in genere attuando tutte le indicazioni previste nella Convenzione di Istanbul con le attività di prevenzione dalla cultura discriminatoria. che rientrano nelle sue competenze.

Siamo contro il ritorno dei nazionalismi, contro i populismi e i capi plebiscitati che considerano i cittadini come massa amorfa.  Vogliamo rispetto e la piena applicazione dei principi e delle norme nella nostra Costituzione, spesso disattesa e messa nel dimenticatoio e, in tempi recenti, oggetto di modifiche affrettate.

Difendiamo il diritto di voto come elemento fondamentale della sovranità popolare e per questo siamo fermamente contrari alla trasformazione delle Province e del Senato in organi elettivi di secondo grado. Siamo ormai di fronte a un vero e proprio furto di sovranità popolare che creerà, nel caso oggi delle province, pesanti difficoltà disservizi in alcune funzioni vitali, come la viabilità e la scuola. Vogliamo che il principio della rappresentanza non venga sacrificato al principio di governabilità.  Noi c’impegniamo ad attivare strumenti di democrazia diretta a cominciare dai “referendum” e dalle leggi regionali di iniziativa popolare che devono entrare a tutto diritto nella prassi gestionale corrente della Regione.

In questa direzione la rivoluzione digitale, anche se, affidata a poteri transnazionali forti, può generare minacce per la libertà e la dignità umana, offre un’opportunità straordinaria di sviluppo civile e sociale.

Vogliamo attuare i principi dell’Open Government, esigiamo la trasparenza dei processi amministrativi e politici a tutti i livelli di governo, con la possibilità di accesso semplice e gratuito ai dati pubblici per ogni cittadino. Sosteniamo anche nella pubblica amministrazione l’uso del software libero e open source. Autodeterminazione dell’informazione, libero accesso alla conoscenza e alla cultura, tutela della privacy e trasparenza devono essere alla base della società dell’informazione del futuro con il sostegno dei cittadini, perché garanzia di sviluppo e maggiore democrazia per tutti.

Vogliamo una Regione libera dalle mafie! La relazione annuale della Dia conferma il consolidarsi di Camorra, ‘Ndrangheta  e Cosa nostra in Emilia Romagna.  Non si può più parlare solo di infiltrazioni, ma di radicamento della criminalità organizzata che presenta una straordinaria capacità di penetrazione nell’economia legale. Le mafie si sono spartite il territorio regionale in una sorta di pacifica convivenza mafiosa, e oggi non c’è nessuna provincia che si possa considerare esente da fenomeni mafiosi e criminali che toccano ogni settore dell’economia. Il rapporto Ecomafie 2014 ci dice che l’Emilia Romagna, con oltre 800 infrazioni all’anno alla normativa ambientale, è la seconda regione d’Italia per eco-reati. La Regione Emilia Romagna ha approvato leggi per il contrasto della criminalità organizzata e del gioco d’azzardo e ha legiferato sugli appalti pubblici e privati in edilizia e su logistica. Tutto questo però non è sufficiente: occorre da parte della Regione e di tutto il sistema degli Enti locali un maggior impegno, soprattutto nelle verifiche delle gare pubbliche e nei cantieri e l’abbandono negli appalti della pratica del massimo ribasso.

Siamo per la Legalità contro ogni forma di clientelismo e di corruzione nelle pubbliche ammi-nistrazioni. Il disagio crescente, l’incalzare della povertà portano inevitabilmente a una crescita della microcriminalità. Dobbiamo tuttavia respingere tutte le derive securitarie che spingono alla militarizzazione delle nostre città e, invece di prevenire, seminano ulteriore paura e allarme sociale.

Ciascuna delle esigenze espresse nei punti del programma de l’Altra Emilia-Romagna richiede un sistema di decisioni complesse e con molti attori ed è necessario che la democrazia partecipata venga applicata con Conferenze sui singoli temi indette dalla Assemblea Regionale invitando forze politiche e sociali ad esprimere esigenze e progetti. Dalle Conferenze potranno emergere Piani Regionali di Settore e rivendicazioni verso il Governo e l’Unione Europea per attribuzioni, deleghe e risorse.

Noi ci batteremo per queste indispensabili azioni, perché libertà di partecipazione.

 


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Category: Economia, Osservatorio Emilia Romagna, Politica

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Comments (2)

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  1. andrea righini ha detto:

    tra i candidati:
    Uliana (Pierina) Zanetti, Pierina Zanetti non la conosce nemmeno sua madre…

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