Mirco Pieralisi: Il 18 brumaio di Napolitano II e la sovranità popolare

| 29 Aprile 2013 | Comments (0)

 

 

 


Come i contadini francesi, che alla fine del 1848 si recavano coi tamburi  alle urne  gridando “abbasso la ricchezza, abbasso la repubblica, viva l’impero!”,  portando Napoleone III alla guida del paese pochi mesi dopo il sanguinoso abbattimento delle ultime  barricate operaie, così la stragrande maggioranza dei politici e dei media italiani salutano con entusiasmo apologetico la restaurazione compiuta, con l’insediamento del nuovo governo e il consolidamento del partito unico trasversale di interessi senza conflitti  che era stato sfiorato dal pericoloso terremoto elettorale.

Nel giro di poche giornate la finestra spazio-temporale che si era aperta improvvisamente tra domanda sociale, politica e morale  di cambiamento e i palazzi del potere, che aveva provocato stordimento, speranze , panico, reazioni scomposte, tradimenti e congiure di palazzo, perfino abortite proposte coraggiose, si è chiusa d’incanto con la rielezione forzosa del Presidente della Repubblica e il consolidamento di un’alleanza di governo contro cui il popolo italiano aveva votato.

Certo, come scrive Paolo Soglia, a guardarla adesso più che una rivoluzione quella italiana è sembrata una ricreazione che però qualcuno, generosamente, ha tentato di trasformare in lezione di cambiamento, mentre altri, appartenenti al Partito Unico della Restaurazione, hanno chiamato il preside per rimettere tutto a posto con premi, punizioni e paternalistiche concessioni (sì, cara Cecyle, contiamo su di te per la legge sullo ius solis, ma forse  hanno preso anche te per rendere presentabile una casa invendibile).

Le trame  cui abbiamo assistito in questi giorni,  tra le quali non è mancata la rivisitazione de “La carica dei 101” dove però i cani, infedeli, stavolta  hanno abbandonato Pongo e  abbracciato Crudelia De Mon, ci consegnano un paese tornato sotto il controllo dei poteri di sempre e custodito dal governo PD+L, mentre alcuni portavoce di cambiamenti radicali, sperabilmente, stanno meditando sulle responsabilità che si hanno quando non riuscire, in fondo, è anche un po’ tradire. A sottolineare la divaricazione tra aspettative e paure dell’immediato  dopo voto e rassicurazioni o rassegnazioni di oggi, Francesca Coin ci consegna dalle colonne del Fatto Quotidiano una sintesi lapidaria quanto realistica: “ Lo scorso 25 Febbraio il Corriere della Sera per mano del direttore Ferruccio de Bortoli riassumeva il risultato delle elezioni così: in queste elezioni si è verificato «un voto anti europeo che va preso drammaticamente sul serio e in cui ci sono due grandi sconfitti: Monti e Napolitano». E così, in lode agli elettori, ecco finalmente il governo che tutti desideravano non avere, il Letta-Alfano benedetto da Napolitano, una strana alleanza ove il peggio degli ultimi vent’anni trova rinnovata compattezza nel perseguimento di ciò che nessuno voleva, l’austerità.”

Ma se la cosiddetta  austerità, così come il salvataggio delle banche strozzine ed impunite, è questione europea, è causa essa stessa del male che intenderebbe combattere, la medesima politica economica, in salsa italiana, si combina con le voraci mascelle del parassitismo, dell’evasione ed elusione fiscale, della pratica diffusa del clientelismo e dell’economia criminale, dell’appropriazione indebita di denaro pubblico che passa sotto il nome di costi della politica. I campioni di questo diabolico combinato (succubi o complici che siano)  rimangono saldamente in sella, in qualche caso persino nobilitati dal ruolo di salvatori della patria che si sono attribuiti e che lo stesso custode, in teoria, della nostra costituzione ha lasciato che potessero attribuirsi.

In questo strano mondo alla rovescia, dove chi ha perso ha vinto e il pastore chiama i lupi a guardia delle pecore, è necessario ripartire non solo dalle macerie ma anche dal lavoro per ricostruire pensando non solo alle occasioni perse ma a quello che ancora abbiamo, al di là di qualche persona per bene che occuperà ministeri sotto tutela.

Abbiamo, e finalmente sarà dissequestrato, il parlamento migliore degli ultimi vent’anni, dove tante e tanti giovani rappresentanti del popolo (certamente non solo tra le fila degli oppositori  vendoliani e stellati) speriamo sfideranno il governo,  gli impresentabili parenti acquisiti di Mubarak e i 101 “cavalier serventi” giorno per giorno, senza farsi usurpare il mandato dalla scandalosa e ricattatoria decretazione d’urgenza che si è affermata nelle ultime legislature. Il nuovo parlamento dovrà sfidare il governo prendendo direttamente l’iniziativa legislativa sul reddito minimo garantito, sulla restituzione di qualità e  tempo alla scuola pubblica, sulla chiusura del ciclo delle grandi opere onnivore, sull’impiego dei beni sottratti a mafiosi ed evasori,  sull’allentamento del patto di stabilità per i comuni, sui diritti civili a partire da quello dello ius solis e del riconoscimento legale e formale di ogni unione fondata sull’amore. Non dovrà accontentarsi, non dovremo accontentarci dei necessari e moralmente ineludibili tagli di stipendi e privilegi della cosiddetta casta, su cui probabilmente, per cercare di accattivarsi consensi e impunità, la santa alleanza di governo batterà qualche colpo ed è bene che lo faccia presto, così ci libereremo anche di quel fastidioso e furbo unanimismo che unisce servi e sovrani, evasi ed evasori, onesti e disonesti nel grido antipolitico.

É  di buona politica che c’è bisogno, c’è bisogno di sovranità popolare. E soprattutto oggi c’è bisogno di prendere parte, di trasformarci da tifosi in cittadini, di squarciare il velo delle larghe intese che presenta l’interesse di pochi (teneramente legati all’andamento dei mercati finanziari)  come unica condizione di un futuro per tutti. É ora di cominciare a dare un senso alle parole della costituzione, che all’articolo 3 afferma: “ È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.” Rimuovere gli ostacoli, rimuovere le macerie, ricostruire cantieri con materiali adatti e resistenti:  libertà, uguaglianza, diritto al lavoro e nel lavoro, sostenibilità  ambientale e inanielabilità delle risorse naturali, democrazia reale, sono temi (come ci ricorda spesso Stefano Rodotà) che la sinistra ha perso per strada e su cui può riaccendersi, accogliendo però altre culture e lasciandosi contaminare anche da chi della sinistra ha conosciuto solo un modo di arrendersi al mercato e di spartirsi poteri.  Chi invece pensa che la sinistra debba solo fare più onestamente politiche liberali, o chi pensa che bisogna semplicemente rifare la stessa casa di un tempo, forse è giusto che continui a verificare in altri cantieri le proprie convinzioni.  Siamo sicuri che la tempesta del dubbio stia arrivando anche da loro.

 

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Category: Elezioni politiche 2013

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