Pier Cesare Bori: Tipi di silenzio (2002)

| 27 Gennaio 2014 | Comments (0)

 

 

 

Il Capodanno cinese 2014 quest’anno verrà celebrato venerdì 31 gennaio segnando l’inizio dell’anno del cavallo (nati nel 1918, 1930, 1942, 1954, 1966, 1978, 1990, 2002, 2014). Per augurare buon capodanno cinese la rivista “Inchiesta” pubblica questo testo scritto da Pier Cesare Bori nel 2002 come ’intervento  al seminario “Condividere il silenzio a partire da diverse tradizioni spirituali: una indagine storica e una proposta” tenutosi venerdì 29 novembre 2002 a Bologna, presso la Facoltà di Scienze politiche, corso in Culture e diritti umani. L’obiettivo di Pier Cesare Bori era il silenzio condiviso, cioè praticato in comune – novità dei nostri tempi – da persone di cultura spirituale diversa. L’incontro voleva essere anche una indagine storica, su queste diverse tradizioni, prestando attenzione al mondo cristiano, a quello islamico, a quello buddhista. Il testo è stato arricchito in successivi incontri e la versione che viene diffusa è tratta da http://quaker.org/italia/lq/39.htlm


Dicono i monaci che è questa una tradizione che risale ad Adamo e che Adamo adorava l’albero perché la futura salvezza doveva venire attraverso il legno. Concordano dunque col versetto di Davide: ‘Dicite in gentibus quia Dominus regnabit a ligno’, benché per rendere più precisamente il concetto, bisognerebbe dire: ‘curabit a ligno’.

1. Sulla pratica del silenzio si possono proporre varie distinzioni.1 Si potrebbero opporre, con Gustav Mensching, silenzio interiore e esteriore , oppure silenzio sapienziale (o morale) e silenzio mistico (il primo è disciplina ed ascesi, il secondo è assimilazione con la divinità). 2 Ma vorrei cominciare distinguendo tra il silenzio come assenza o privazione della parola e il silenzio come comunicazione con un mondo altro, rispetto a quello della parola. Mi rifaccio a un saggio di L. Heilmann, dedicato appunto alla distinzione tra “tacere” e silère” in latino, in cui si sostiene che la differenza che caratterizza sileo e taceo l’uno di fronte all’altro sia da vedere nell’opposizione (valore positivo-valore negativo) tra la coscienza del silenzio come realtà in atto o che si crea (sileo=positivo) e la constatazione del silenzio cioè assenza di qualcosa che da esso è negata (taceo=negativo).3

Potremmo dire così, avvicinandoci al tema nostro: “tacere”, è zittire o zittirsi, arrestarsi muti dinanzi alla realtà divina, mentre “silere” è entrare nella divinità divenendo partecipi della sua ineffabile realtà (aspetto positivo).

 

2. A questa distinzione un’altra può essere accostata, che oppone due tipi di silenzio, quello che prepara l’avvenimento della rivelazione o della profezia, e quello mistico-filosofico (come in Plotino4 ), in cui il silenzio avvicina e assimila a Dio. Incrociando questa distinzione con quella precedente, ne deriva uno schema, cui avremo sia “tacere” e sia “silére”, l’uno e l’altro sia di carattere profetico sia di carattere filosofico-religioso. E cioè il silenzio di fronte alla Realtà ultima, sia esso all’interno o sia all’infuori della rivelazione, contiene sia un aspetto negativo, il tacere, sia uno positivo, l’aver parte a questa indicibile Realtà.

 

3. La Bibbia ebraica e cristiana conosce l’aspetto sapienziale (Qo. 3, 7, “un tempo per tacere e un tempo per parlare”, uso la versione CEI), ascetico, disciplinare (il saggio tace! Prov. 17, 28: “Anche lo stolto, se tace, passa per saggio”).

Ma evidentemente l’elemento più specifico nella rivelazione biblica è il silenzio come tacere di fronte a Dio di ogni potenza umana.

Sof. 1, 7. “Silenzio alla presenza del Signore Dio, perché il giorno del Signore è vicino”. Ab. 2, 20: “Il Signore risiede nel suo santo tempio. Taccia davanti a lui tutta la terra”, Zac. 2,27: “Taccia ogni carne dinanzi a Dio.

Il “tacere” come avvicinarsi alla realtà divina è soprattutto il silenzio dell’ascolto, è una invocazione affinché Dio parli. Perché Dio parla, parla alla comunità nella rivelazione profetica, e parla al credente nella sua solitudine. “Parla Signore, il tuo servo ti ascolta” (1 Sam. 3, 10). “Non rimanere in silenzio” è l’invocazione del salmo:

A te grido Signore, non restare in silenzio, mio Dio, perché se tu non mi parli, sarei come scende nella fossa” (S. 28, 1, cfr, anche 35, 22; 83, 1).

Nella Bibbia dunque il silenzio è anzitutto un tacere. E tuttavia nella pietà dei Salmi, nelle esperienze dei profeti, ancor più nella comunione con il Messia,5 nel dimorare in lui si intravvede una unione che va oltre ogni dire.

Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, queste ha preparato Dio per coloro che lo amano (1 Cor. 2, 9).6

 

4. Il tema del silenzio mistico, preparato dal tacere come esercizio ascetico assumerà grande importanza nella tradizione spirituale cristiana.

Una sorta di sintesi tra silère e tacere si trova per esempio nella Confessioni , con l’estasi a due di Agostino e Monica, Conf. IX, 10. Qui “silere” e “tacere” sono in stretta continuità: “si… ipsa sibi anima sileat… si iam taceant…et loquatur ipse”, dove sembra suggerirsi un vero itinerario mistico.

Molto più tardi, questo vien ben delineato da Miguel de Molinos (1628-1696):

Tre modi vi sono di silenzio.
Il primo è di parole, il secondo di desideri, e il terzo di pensieri.
Il primo è perfetto, più perfetto è il secondo, e perfettissimo il terzo.
Nel primo, di parole, si raggiunge la virtù.
Nel secondo, di desideri, si ottiene la quiete.
Nel terzo, di pensieri, il raccoglimento interiore.
Non parlando, non desiderando e non pensando,
si arriva al vero silenzio interiore.
In esso Dio parla con l’anima, si comunica.
Le insegna nel suo più intimo la più perfetta e alta sapienza.7

 

5. Non si può pensare che la pratica silenziosa quacchera sia priva di precedenti storici. Essa tuttavia merita speciale attenzione sia perché con il silenzio collettivo rinnova in maniera originale8 un modello di comunità profetica quale si può intravvedere dalla descrizione di Paolo, 1 Cor 14; sia perché raccoglie con pari originalità impulsi appartenenti a quello che Rufus M. Jones, storico del quaccherismo, chiamava “riformatori spirituali”9.

Sullo sfondo c’è il silenzio dell’attesa profetica. “Ogni carne deve tacere dinanzi a Dio ” (Zac. 2, 13). Allora, come avvenne a Elia, egli si manifesterà come qol demamah, “voce del silenzio” (1 Re 19, 12).10 Nella comunità raccolta in silenzio, il Maestro viene, il risorto appare, la Luce si manifesta, i profeti prendono la parola (1 Cor 14).

Ma accanto a questo c’è il silenzio contemplativo, mistico: la “stillness” (S. 46, 10 di cui sopra), la “coolness”, la quiete, il silenzio sono partecipazione e imitazione degli attributi divini, l’eternità, l’immutabilità, l’infinità.

Cari amici, dimorate nella quiete e nel silenzio della potenza dell’Onnipotente, che mai varia, si altera, cambia, ma preserva su, fuori e al di sopra di tutti i mutevoli culti, religioni, ministeri, chiese, insegnamenti, principati,e potestà (1661).11

Sullo sfondo, un brano di sapore ellenistico-giudaico della Lettera di Giacomo 1, 17: “Ogni dono perfetto … discende dal Padre della luce, nel quale non c’è variazione né ombra di cambiamento”. Questo silenzio ha anche risvolti morali e ascetici, il rifiuto del mondo, la stabilità, la “purezza”.

Ciò vale anche per il singolo:

Sii calma e fredda nella mente e nello spirito, distaccata dai tuoi stessi pensieri, e sentirai il principio divino che volge la tua mente al Signore Dio, da cui riceverai quella forza e quel potere da cui la vita proviene, per calmare ogni tempesta e ogni vento […] Perciò arresta un momento i tuoi pensieri il tuo cercare, desiderare, immaginare e dimora nel principio divino che è in te, così che la mente sia fissa in Dio, così da giungere a lui; e trovererai forza da lui e troverai che è un aiuto in tempi di travaglio, di bisogno e che è un Dio a tua portata (1658).12

Un famoso brano di William Penn riassume bene l’esigenza del silenzio sotto un profilo che è tanto biblico, quanto filosofico e contemplativo:

Ma quanto meno forme ci sono nella religione, tanto meglio è, perchè Dio è Spirito; quanto più il nostro culto è nella mente, tanto più adeguato è alla natura di Dio; quanto più è silenzioso, tanto più è adeguato alla lingua dello Spirito (1693).13

 

6. Può essere interessante confrontare il silenzio meditativo dei quaccheri con un altro silenzio, quella della meditazione buddhista. Non intendo inoltrarmi nel confronto tra buddhismo e cristianesimo. Non intendo sviluppare il confronto tra i due Maestri, quale per esempio si affaccia nello suggestivo brano citato in epigrafe: il confronto tra i due “Signori”, dei quali il primo “regna dal Legno” (nuovo Adamo sulla Croce, antitipo dell’albero del Paradiso terrestre), il secondo “cura dal Legno” (l’albero sotto il quale il Buddha ricevette l’illuminazione).14 Non intendo seguire lo stesso Henri De Lubac, quando vede nella dottrina buddhista qualcosa di simile al Qohelet, “una immensa, drastica e sottile pars purificans, una preparazione negativa attraverso il vuoto…fino al Messaggio pasquale”.15

Invece di una sorta di integrazione del buddhismo nel cristianesimo, come praeparatio evangelica, o come “teologia negativa”, vorrei suggerire un parallelo tra processi meditativi, basandomi sul confronto puntuale di due testi:16 un passo cruciale di George Fox,17 e un testo fondamentale per la pratica meditativa buddhista, che chi scrive conosce un poco soprattutto nella modalità vipassana (meditazione della consapevolezza). Anzitutto Fox.

Scrive nel 1653 (la traduzione è letterale):

Dimorando nella luce, non vi sarà occasione di inciampo, perché tutte le cose con la luce sono svelate.

Tu che la ami, ecco chi ti insegna quando cammini fuori: è presente con te nel tuo petto, non hai bisogno di dire: eccola qui, eccola là. E mentre stai nel letto è presente per insegnarti, e per giudicare la tua mente che vaga, che vorrebbe vagare fuori, e i tuoi alti pensieri e immaginazioni, e li assoggetta, giacché seguendo i tuoi pensieri ti perdi ben presto.

Ma dimorando in questa luce, ti svelerà il corpo del peccato, e le tue corruzioni e lo stato di decadenza in cui sei, e la moltitudine del pensieri.

Sta’ in quella luce che ti mostra tutto questo, non andare né a destra né a sinistra.

Qui la pazienza si esercita, qui la volontà è sottomessa, qui vedrai la misericordia di Dio manifestarsi nella morte.

Qui vedrai (che cosa significa) bere alle acque di Siloe, che scorrono dolcemente, vedrai compiersi le promesse di Dio, fatte al Seme, che è Cristo. Qui troverai un salvatore, e verrai a conoscere l’elezione, e la riprovazione di quanto è rigettato, e quanto è ammesso.

Colui che può capirmi, e ricevere la mia testimonanza nel suo cuore, il seme immortale nasce (in lui) e la sua volontà rigettata, perché non è lui che vuole né lui che si sforza, ma è Dio che mostra misericordia.

Perché il primo passo verso la pace è di rimanere fermi nella luce che svela le cose che le sono contrarie, per ricevere potere e forza per resistere a quanto di voi la luce svela. Qui la grazia cresce, qui Dio solo è glorificato ed esaltato e la verità sconosciuta al mondo è manifestata, essa che vi trae fuori della prigione e vi vivifica nel tempo, verso quel Dio che è fuori del tempo. 18

 

7. Va notato anzitutto come Fox non si appelli a una divina autorità, ma alla sua esperienza, a qualcosa che ha scoperto da solo: il nuovo sé potrà crescere non appena il vecchio sé è espulso. Questa è la sua testimonianza (Ambler)

Poi va notato che qui “chiaramente viene descritto un processo meditativo” (ancora Ambler).19 Non viene prescritto di pentirsi, ma semplicemente di fermarsi a guardare se stessi. In questo processo la Luce amata, la luce divina non è tanto l’oggetto, quanto il soggetto stesso dell’ atto contemplativo. Infatti la luce c’è già. Quando si cammina è “presente nel petto”, non c’è bisogno ci cercarla: “eccola qui, eccola là”. Quando si giace, essa invita a non “vagare fuori”. Il fatto della presenza precede quindi e fonda l’invito a “dimorare” (dwell) nella luce, a “stare nella luce” (stand in the light), a “stare fermi nella luce” (stand still in the light). Questo è “il primo passo verso la pace”.

In secondo luogo: la meditazione si propone di contemplare nella luce il corpo del peccato (“the body of sin”,), le immaginazioni (“imaginations”), la “moltitudine di pensieri” (“multitude of thoughts”). Si ricordi la lettera citata sopra: “Arresta un momento i tuoi pensieri, il tuo cercare, desiderare, immaginare”. Si tratta di guardare a se stessi, nella “pazienza” stando fermi nella luce, scoprendo nella luce la propria “natura”

In terzo luogo, questo gesto come tale ha in se anche “la forza e il potere” di “fronteggiare (stand against), la natura che la luce scopre” e come tale porta a svelarne ” il contrario”: una “verità sconosciuta al mondo”, ” che libera dalla prigione e vivifica. Qui (here, tre volte) e ora, nella prigione, in punto di morte, si manifestano la misericordia, la salvezza, l’elezione.

 

8. Tutto il testo è un forte e originale tessuto di riferimenti biblici.20 Sono bibliche perfino le espressioni “il corpo del peccato, e le tue corruzioni… e la moltitudine del pensieri” che dipende, oltre che da Paolo, da una interessante remiscenza del testo più ellenistico della Bibbia (cattolica), la Sapienza di Salomone 9, 15 “Un corpo corruttibile appesantisce l’anima e la tenda d’argilla grava la mente dai molto pensieri”(cfr. Fedone 81 c).

“Dimorare”(in Dio, in Cristo, nella Parola…) è costante nel Vangelo di Giovanni. Esporsi alla luce dipende di qui: la Luce è venuta al mondo (1, 9) a illuminare ognuno, e “chi fa il male, odia la luce e non viene alla luce perché non siano svelate le sue opere. Ma chi opera la verità viene alla luce, perché appaia chiaramente che le opere sono state fatte da Dio” (3. 20s.). Anche il riferimento alle”acque di Siloe” allude a Giovanni, e alla guarigione-illuminazione del cieco nato, che avviene “piscina di Siloe”. “Testimonanza” è evidentemente un tema giovannico (e dell’Apocalisse) .

“Camminare, giacere…” allude a Deut. 6, 6 “Questi precetti che oggi ti do, ti stiano fissi nel cuore… ne parlerai quando starai seduto in casa tuo, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai”(cfr. 11, 18-21).

“Eccolo qui, eccolo là” si riferisce a Lc 17, 21: “Il regno di Dio non viene in modo da attirare l’attenzione, e nessuno dirà: ‘Eccolo qui, eccolo là’. Perché il regno di Dio è in mezzo a voi”.

Il Seme è Cristo (Gal. 3, 16). Ma in Fox, che ricorda spesso la parabola del seminatore (Mc 4, Mt 13), è un termine caratteristico, quasi quanto la Luce, per indicare la presenza divina nel credente, sottolineandone anzi ulteriormente il carattere di immanenza.

Al tempo stesso, un forte richiamo alla Lettera ai Romani, e al tema delle’elezione (9, 16: “Non dipende dalla volontà né dagli sforzi dell’uomo, ma da Dio che usa misericordia”) restituisce tutto il processo ad un contesto propriamente soprannaturale e monotestico, biblico insomma. E tuttavia c’è un forte connotato di escatologia realizzata, il messianismo attuale e universale ed oggettivo degli Amici. La presenza salvifica divina è già in atto in ogni operare umano, compreso il silenzio dell’attesa e della meditazione.

L’altro termine del confronto è costituito da una sezione di un sutra molto rilevante nella meditazione di consapevolezza, o vipassana. Si tratta dell’Anâpânâsati sutta, che in forma più breve e più pratica espone la dottrina del Mâhasatipatthânasuttanta (“Il grande discorso sui fondamenti della presenza mentale” ), molto importante nella pratica meditativa theravada.

E in che modo, monaci, si pratica la consapevolezza dell’inspirare ed espirare affinchè sia di gran frutto e di gran beneficio?

In questo caso, o monaci, un monaco, recatesi nella foresta, ai piedi di un albero o in un alloggio vuoto, si siede a gambe incrociate e con il corpo eretto, suscitando l’attenzione di fronte a sé. Consapevole inspira e consapevole espira.

1. Inspirando a lungo egli sa: sto inspirando lungo;
espirando a lungo egli sa: sto espirando lungo
Inspirando brevemente, egli sa: sto inspirando breve;
espirando brevemente egli sa: sto espirando breve
Si esercita così: pienamente sensibile a tutto il corpo inspiro;
si esercita così: pienamente sensibile a tutto il corpo espiro.
Si esercita così: calamdo il condizionante del corpo inspiro;
si esercita così: calmando il condizionante del corpo espiro

2. Si esercita così: pienamente sensibile al godimento inspiro;
si esercita così: pienamente sensibile al godimento espiro.
Si esercita così: pienamente sensibile all’agio inspiro;
si esercita così: pienamente sensibile all’agio espiro.
Si esercita così: pienamente sensibile ai condizionanti della mente inspiro;
si esercita così: pienamente sensibile ai condizionanti della mente espiro
Si esercita così: calmando i condizionanti della mente inspiro;
si esercita così: calmando i condizionanti della mente espiro

3. Si esercita così: pienamente sensibile alla mente inspiro;
si esercita così: pienamente sensibile alla mente espiro.
Si esercita così: allietando la mente inspiro;
si esercita così: allietando la mente espiro.
Si esercita così: unificando la mente inspiro;
si esercita così: unificando la mente espiro.
Si esercita così: liberando la mente inspiro;
si esercita così: liberando la mente espiro

4. Si esercita così: contemplando l’incertezza inspiro;
si esercita cosi: contemplando l’incertezza espiro.
Si esercita così: contemplando il non-attaccamento inspiro;
si esercita così: contemplando il non-attaccamento espiro.
Si esercita così: contemplando la cessazione inspiro;
si esercita così: contemplando la cessazione espiro.
Si esercita così: contemplando il lasciar andare inspiro;
si esercita così: contemplando il lasciar andare espiro.

Ecco, o monaci, in che modo la consapevolezza dell’inspirare ed espirare, coltivata e perfezionata, è di gran frutto e di gran beneficio.21

C’è bisogno di sottolineare quanto distanza separa i due testi, dal punto di vista linguistico, letterario, storico-religioso?

È invece importante segnalare l’analogia del processo, che il sutra, attraverso le quattro strofe (tetradi) in cui è strutturato, presenta.22

Premessa a tutto il discorso, è il carattere sperimentale, pragmatico dell’approccio meditativo.23 Rispetto alla tradizione cristiana (tanto più non monastica, come quella di Fox) c’è qui evidentemente un supporto tecnico e psicologico più consistente: il respiro, la posizione del corpo, la concentrazione e la consapevolezza, l’”esercizio” (sikkhâ) insomma, che abbraccia doversi momenti.

In primo luogo, cominciando con l’assunzione di un atteggiamento stabilità e di silenzio, tutta l’attenzione è volta alla presenza mentale (sati), scegliendo il respiro come oggetto primario.

Si passa quindi a un’osservazione consapevole del corpo (dalle sue diverse movenze – camminare, stare, sedere giacere – alle sue parti, alla sua corruttibilità),24 delle sensazioni (piacevoli, spiacevoli neutre), della mente, con i suoi contenuti di attaccamento, avversione, illususione.

Si affaccia allora la consapevolezza della “incertezza” o impermanenza (anicca ) e dell’inconsistenza dell’ l’io-mio” (anatta): la saggezza, la compassione e il risveglio sono il traguardo.

Il traguardo può essere raggiunto, in sette anni, ma forse anche in un anno, ma forse anche in mezzo mese, ma forse anche in sette giorni: con questa incoraggiamento (allora chissà forse anche meno di una settimana?) si chiude il “Grande discorso sui fondamenti della presenza mentale” (§ 22).

 

9. Concentrarsi sull’isomorfismo dei due processi, dei due “metodi” non significa affatto cercare di integrarli in un meta-linguaggio comune. Non è questo il risultato perseguito,

Possiamo invece sperare di aver gettato un poco di luce su un percorso meditativo cristiano (quacchero) mediante il confronto con percorsi di tutt’altra ascendenza storica. Possiamo anche domandarci se quel percorso sia un unicum storico, o se invece le considerazioni comparative che abbiamo abbozzato possano estendersi ad altri contesti meditativi informati dal linguaggio biblico (penso sorattutto alla tradizione illuminativa agostiniana). Possiamo anche vedere come possa essere semplicante la distinzione che da cui siamo partiti, tra un “tacere” (negativo) un “silére” (positivo), mentre diviene più evidente che le tradizioni considerate abbracciano ambedue i due poli.

Potremmo soprattutto domandarci – ed è la domanda più importante e urgente – se non si tratti di due linguaggi diversi – da una parte, una Luce, dall’altra, una consapevolezza, da una parte, un’attesa, dall’altra, un “esercizio”, da una parte, lo Spirito, dall’altra il respiro – due linguaggi che si protendono verso qualcosa che è al di là di ogni parola. E se allora possano coesistere nella stessa persona.

 

 

1. Questo testo ha come nucleo l’intervento iniziale al seminario “Condividere il silenzio a partire da diverse tradizioni spirituali: una indagine storica e una proposta” tenutosi venerdì 29 novembre 2002 a Bologna, presso la Facoltà di Scienze politiche, corso in Culture e diritti umani. Intervenivano poi Mohammed Haddad (Università di Tunisi) Valentina Colombo e Saverio Marchignoli (Università di Bologna). Oggetto del’incontro era soprattutto il silenzio come elemento centrale di una pratica spirituale: non interessava tanto il silenzio come preludio o intervallo o conclusione o atteggiamento concomitante e strumentale rispetto a qualcos’altro che è più importante. Interessava specialmente il silenzio condiviso, cioè praticato in comune – novità dei nostri tempi – da persone di cultura spirituale diversa. L’incontro voleva essere anche una indagine storica, su queste diverse tradizioni, prestando attenzione al mondo cristiano, a quello islamico, a quello buddhista. Alla base era un interesse storico, ma anche la proposta del silenzio in comune nel dialogo (oltre al dialogo!) islamocristiano e più concretamente, la proposta di praticare questo silenzio in carcere con detenuti di diversa provenienza culturale e religiosa, mostrando la coerenza di una pratica di silenzio con una parte almeno della propria tradizione, e indicando anche nella pratica vipasssana (di stampo buddhista) una interessante risorsa, laica e compatibile con convinzioni filosofiche o religiose diverse. Il testo è stato ripreso e sviluppato in vari incontri e circostanze.

2. G. Mensching, Das heilige Schweigen, Töpelmann, Giessen 1926.

3. Cfr. . L. Heilmann Silere-tacere. Nota lessicale, in “Quaderni dell’Istituto di Glottologia” Bologna I (1955), pp. 3-14, citazione a p. 14.

4. “… basterà un semplice contatto interiore. Ma durante il contatto – almeno finché avviene – non si avrà affatto né la possibilità, né il bisogno di parlare: solo più tardi si potrà ragionarci sopra. Ma in quell’istante bisogna credere di aver visto, quando l’anima coglie, improvvisamente, la luce. Poiché questa luce proviene da Lui, meglio è Lui stesso” (Enneadi V 3, 17, trad. it. G.Faggin).

Già nell’esperienza di Socrate i neoplatonici potevano intravvedere le tracce di una mistica filosofica. Secondo quanto raccontato da Alcibiade nel Simposio, Socrate, “In tale occasione, essendosi concentrato a meditare su qualcosa, a partire dall’alba era rimasto in piedi nello stesso posto a riflettere, e siccome la cosa non gli riusciva, non si dava per vinto, ma restava fermo a indagare. Si giunse a mezzogiorno, egli uomini lo notavano, e meravigliati dicevano, l’uno all’altro, che sin dall’alba Socrate stava là in piedi a ponderare qualcosa. Alla fine alcuni Joni, quando fu sera ed ebbero cenato, portarono fuori i loro lettucci – poiché allora era estate – per dormire al fresco, e al tempo stesso per sapere, tenendolo d’ occhio, se avrebbe passato là in piedi anche la notte. Ed egli rimase fermo, in piedi, sinché giunse l’aurora e si levò il sole: allora si mosse e se ne andò, dopo di aver rivolto una preghiera al sole” (220 c-d, trad. it. G. Colli).

Per il silenzio tra i pitagorici, si può leggere la Vita pitagorica di Giamblico: “… E dunque, nel corso della ‘prova’ cui erano sottoposti glii aspranti, egli anzitutto osservava se essi fossero in grado di tacere (echemythein, vale a dire trattenere le parole, era il vocabolo che usava) e di tenere per sé gli insegnamenti ricevuti” (XX, tr. M. Giangiulio).

5.. M. Borg definisce Gesù un mistico ebreo. Borg si stacca, sulla scia di W. James, dalla tradizionale diffidenza protestante per la mistica; M. Borg-N.T. Wright, The Meaning of Jesus. Two Visions, Harper San Francisco, 1998, 59

6. Segnalo la presenza nell’Islâm di un hadîth (detto) corrispondente a 1 Cor. 2, 9 (cfr. Is. 64, 3). Lo hadîth si trova in Bukhâri (una delle raccolte canoniche di detti del profeta), ed è un hadîth qudsî cioè uno di quelli in cui Dio parla in prima persona al profeta. Lo si trova, per esempio, in ibn Tufayl (m. 1185), Hayy ibn Yaqdhân, nel momento in cui il “vigilante” arriva da solo alla contemplazione delle cose supreme. Passi straordinari sul silenzio mistico si trovano nel Dîvân di Rûmî, ma questo esigerebbe una trattazione a parte. Mi limito a ricordare quanto A. Bausani cita nella prefazione a Poesie mistiche, BUR, Milano 1998, 33: “La prima origine del grido è dal cuore e l’eco ne rimbomba nelle motagne del corpo. O tu stordito dagli echi, dirigiti in silenzio verso l’origine della Voce che crea”. Ringrazio Maura Avagliano per le segnalazioni.

7. “Triplex silentii genus est. Primum verborum, secundum desideriorum, tertium cogitationum. Primum est perfectum, perfectius secundum, perfectissimum tertium. Primo quod est verborum acquiritur virtus, secundo quod est desideriorum obtinetur quies, tertio quod est cogitationum interior recollectio. Non loquendo non desiderando non cogitando pervenitur ad verum et perfectum silentium mysticum, in quo deus loquitur cum anima, ipsi se communicat eamque docet in maxime intimo fundo suo perfectissimam maximeque sublimem sapientiam. Ad internam hanc solitudinem et silentium mysticum vocat eam ac perducit, quando dicit ad ipsam se velle loqui sola in secretissimo atque intimo cordis. Hoc silentium mysticum ingrediendum tibi est, si audire cupis suavem, interiorem ac divinam vocem. Non sufficit fugere mundum ut hoc thesaurum acquiras nec renunciare desideriis nec omni desiderio et cogitatione. Conquiesce in mystico hoc silentio et aperi portam, et Deus se tibi conmmunicet, tecum se uniat, teque in se transformet”: Manducatio spiritualis 1687, 1, 17, Mensching, op. cit., 16.

8. Si veda lo spazio che Mensching appunto vi dedica, 89 ss.

9. R.M. Jones, Spiritual Reformers of the 16th and 17th Centuries. Beacon Press, (1914), Boston 1959.

10. Cfr. D. Gwyn, Apocalypse of the Word, Friends U.P., Richmond 1984, 163.

11. G. Fox, Ep. 201, Works 7, 198 s.

12. “Be still and cool in thy own mind and spirit from thy own thoughts, and then yhou will feel the principle of God to turn they mind to the Lord God, whereby thou will receive his strenght and power from whence life comes, to allay all tempests, against blusterings and storms […] Therefore be still a while from their own thoughts, searching, seeking, desires and imaginations, and be stayed in the principle of God in thee, to stay thy mind upon God, up to God; and thou wilt find strength from him and find him to be a present help in time of trouble, in need, and to be a God at hand”, G. Fox, Lettera a Lady Claypole, in Journal, ed. Nickalls, Cambridge U.P., 1952, 346 s.

13. “This world is a form; our bodies are forms; and no visible acts of devotion can be without forms. But yet the less form in religion the better, since God is a Spirit; for the more mental our worship, the more adequate to the nature of God; the more silent, the more suitable to the language of a spirit”Some Fruits of Solitude ,nn. 507 e 519, Richmond, Ind., 1978

14. Il racconto viene da De Lubac, op. cit, 48. Il testo completo è il seguente. Secondo la relazione del francescano fiorentino Giovanni Marignolli, legato di Benedetto XII presso l’imperatore di Cina, questi, “partito nel 1338, era arrivato a Cambaluc il 15 agosto 1342… Compiuta la sua missione, era tornato passando per Ceylon. Come Marco Polo e come Odorico, aveva ammirato il picco di Adamo, senza tentarne peraltro la difficile ascensione. Ceylon l’aveva trovato più curioso di ricordi del paradiso terrestre che della sua religione o piuttosto le due cose si mescolavano ai suoi occhi, se giudichiamo dalle strane cose che egli mette sulla bocca dei monaci singalesi: “Nei loro chiostri si notano certi alberi dal fogliame diverso dalle altre piante Questi alberi sono cinti da corone d’oro e di gioielli. Davanti ad essi vi sono delle lampade e vengono adorati. Dicono i monaci che è questa una tradizione che risale ad Adamo e che Adamo adorava l’albero perché la futura salvezza doveva venire attraverso il legno. Concordano dunque col versetto di Davide: ‘Dicite in gentibus quia Dominus regnabit a ligno’, benché per rendere più precisamente il concetto, bisognerebbe dire: ‘curabit a ligno’ “. Si riconosceranno in questi alberi i polloni .all’albero di Bddh-Gaya sotto cui Sakyamuni aveva ricevuto l’illuminazione. Tutti tempi e tutti conventi dell’isola ne venerano uno”.

15. E’ la pagina finale del suo bel libro del 1952, Buddismo e occidente, trad. it, Jaka Book, Milano 1987. 255.

16. Ho qui in mente il metodo seguito da T. Izutsu in un testo straordinario, Sufism and taoism. A Comparative Study of Key Philophical Concepts, University of California Press, 1984.

17. Analizzato da Rex Ambler A Light to live by An exploration in Quaker spirituality, Quaker Books, London 2002. 8 s.

18. “Dwelling in the light, there’s no occasion at all of stumbling, for all things are discovered with the light. Thou that lovest it, here’s thy teacher when thou art walking abroad, ‘tis present with thee in thy bosom, thou need’st not to say, lo here, or lo there. And as thou liest in thy bed ‘tis present to teach thee, and judge thy wandering mind, which would wander abroad, and thy high thoughts and imaginations, and makes them subject; for following thy thoughts thou art quickly lost. But dwelling in this light, it will discover to thee the body of sin, and thy corruptions, and fallen estate where thou art, and multitude of thoughts. In that light which shows thee all this, stand; neither go to the right hand, nor to the left. Here’s patience exercised, here’s thy will subjected, here thou wilt sec the mercies ot God made manifest in death. Here thou wilt see the drinking of the waters of Shiloah, which run softly, and the promises of God fulfilled, which are to the Seed, which Seed is Christ. Here thou wilt find a saviour, and the election thou wilt come to know, and the reprobation, which is cast from God, and what enters. He that can own me here, and receive my testimony into his heart, the immortal Seed is born up, and his own will thrust forth; for it is not him that willeth, nor him that runneth, but the election obtaineth it, and God that shows mercy; for the first step to peace is to stand still in the light (which discovers things contrary to it) for power and strength to stand against that nature which the light discovers. Here grace grows, here’s God alone glorified and exalted, and the unknown truth, unknown to the world, made manifest, which draws up that which lies in prison, and refresheth it in time, up to God, out of time, through time” G. Fox, To all that would know the way to the kingdom, 1653, Works 4, 17.

19. Ambler, che non stabilisce alcun nesso con la meditazione buddhista, si avvale molto, nella sua analisi del processo meditativo quacchero, del contributo di E.T. Gendlin, cfr. anche in italiano Focusing: interrogare il corpo per cambiare la psiche, Astrolabio, Roma 2001.

20. Per l’analisi dei testi di Fox un importante strumento è A Reader’s Companion to George Fox’s Journal, di J. Pickvance. Quaker Home Service, London 1989.

21. E’ una sezione del Sutta 115 del Majjhima Nikâya, la traduzione (con il testo pâli) è tratta dall’appendice dei due fascicoli: Ajahn Sucitto, Insegnamenti sulla pratica di ânâpanasati, A.Me.Co., s.d. “Il grande discorso sui fondamenti della presenza mentale” (Mâhasatipatthânasuttanta, Dhîga Nikâya, 22) si trova nella traduzione di C. Cicuzza in La rivelazione del Buddha. I. I testi antichi, Mondadori, Milano, 2001, 335 ss.

22. L. Rosenberg, Respiro per respiro. La pratica liberatoria della consapevolezza, Ubaldini, Roma 1999 presenta un commento pratico, passo per passo, di questo testo.

23. “Monaci, non parlate forse di quello che voi stessi avete conosciuto, voi stessi avete visto, voi stessi avete trovato?” (Majjhima Nikaya I 265)

24. “Inoltre, o monaci, quando cammina egli sa: ‘Sto camminando’, quando è immobile in piedi sa ‘Sto immobile in piedi’, quando sta seduto sa ‘Sto seduto’, quando giace sa ‘Sto giacendo’” (Mâhasatipatthânasuttanta, ed. cit. 3).

 


Category: Culture e Religioni, Pier Cesare Bori e la rivista "Inchiesta"

About Pier Cesare Bori: Pier Cesare Bori (Casale Monferrato 1937- Bologna 2012) . Dopo aver svolto studi nell'ambito delle discipline inerenti alla giurisprudenza, alla teologia e alle scienze bibliche. Conosceva perfettamente più di dieci lingue (greco, latino, ebraico, arabo, cinese, francese, inglese, tedesco, russo ...) Pier Cesare Bori è stato docente, fin dal 1970, dell'Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, ricoprendo l'incarico di professore di "Storia del cristianesimo e delle Chiese" alla Facoltà di Scienze Politiche, insegnando anche "Filosofia morale" e "I diritti umani nella globalizzazione".Direttore del "Master in diritti umani e intervento umanitario". Ha ricoperto l'incarico di professore invitato negli Stati Uniti d'America, in Tunisia, in Giappone. E' stato presidente di Amnesty International Emilia Romagna. Ha aderito alla religione dei quaccheri e organizzato a Bologna con un gruppo di amici incontri settimanali di meditazione. Ha tenuti per moltissimi anni conversazioni nel Carcere Dozza. Muore a 75 anni per mesotelioma da amianto respirato durante la sua infanzia e adolescenza a Casale Monferrato. La famiglia nell'annuncio funebre scrive infatti "Ucciso dall'amianto". Tra le sue opere: Chiesa primitiva (Paideia, 1974), Il vitello d'oro (Boringhieri, 1983), L'interpretazione infinita (Il Mulino, 1987). Ha studiato a lungo Tolstoj scrivendo L'altro Tolstoj (Il Mulino), e nella traduzione dal russo di Pensieri per ogni giorno (Edizioni cultura della pace) di cui ha curato la traduzione in arabo e l'edizione cinese, del discorso sulla dignità dell'uomo di Pico della Mirandola. Sul tema dell'etica interculturale ha pubblicato "Per un consenso etico tra culture" (Marietti 1995) e "Per un percorso etico tra culture" (Nuova Italia 1996). Dall’esperienza con i suoi studenti nelle carceri è nato il libro "Lampada a se stessi". Nel 2013 è uscito dal Mulino il suo ultimo libro CV (1937-2012) Il CV, curriculum vitae, è una sintesi della propria formazione e delle proprie esperienze. Un testo breve e ricco di informazioni, destinato a offrire un’immagine complessiva della propria persona e delle proprie opere. Ed è in forma di CV che Pier Cesare Bori, giunto a un momento critico della sua vita, ha voluto narrare la propria storia, inanellando date, luoghi, eventi, regalandoci un autoritratto sobrio e scarno, ma capace di insegnare molto a chi avrà voglia di leggerlo. L’autore si rivolge innanzitutto a una cerchia di giovani ricercatori e amici, cui raccomanda di non perdere di vista gli insegnamenti ricevuti in seno alle comunità che hanno contribuito alla loro formazione, nonostante i limiti che possono aver rivelato nel corso del tempo. Sono pagine piene di serenità e gratitudine, colorate dall’autoironia di chi vivendo ha compreso che la vita è un percorso pieno di passi falsi. Sono pagine dettate dalla certezza che la vita delle persone che lo hanno accompagnato in questo tragitto è più importante e interessante di una fredda elencazione di fatti, anche se istituzionalmente rilevanti.

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