Fabian Nji Lang e Alessandra Monaco: Il gruppo Una Via presso il Carcere Dozza di Bologna
Per ricordare il carissimo amico Pier Cesare Bori a tre anni dalla sua morte sono pubblicate due testimonianze sul suo progetto Una Via presso il Carcere Dozza di Bologna. Su questa esperienza è stato pubblicato il libro di Pier Cesare Bori: Lampada a se stessi. Letture tra università e carcere, Marietti editore, 2008. Su questa esperienza si rinvia anche agli scritti di Bori nella rubrica “Pier Cesare Bori e la rivista Inchiesta” di www.inchiestaonline.it
1. Fabian Nji Lang: Il Gruppo Una Via presso il Carcere Dozza di Bologna
Nel 1998 dietro l’impulso di Piercesare Bori, professore di Filosofia Morale all’Università di Bologna e appassionato studioso delle religioni, nacque il gruppo “Una via”, associazione non religiosa che voleva rispondere al bisogno di una “via” spirituale (“una” via fra tante) in cui ciascuno ritrovasse il proprio percorso individuale. La vita del gruppo si articolava in tre momenti: il silenzio, la lettura, l’azione, esemplarmente rappresentati in un incontro settimanale presso un’aula o il giardino della Facoltà di Scienze Politiche di Bologna animato dal prof. Bori fino alle ultime sue settimane di vita.
Il momento di silenzio aveva a riferimento sia la pratica della Società degli Amici (Quaccheri) sia la meditazione Vipassana. La lettura riguardava i classici di ogni tradizione, con un particolare riguardo alla cultura islamica e con attenzione alla rilevanza sapienziale e vitale dei testi. Seguiva conversazione libera. L’azione in cui il gruppo Una via si è espresso è legata all’attività in carcere, con particolare attenzione agli stranieri, e con insistenza sull’aspetto culturale e spirituale.
Così scriveva Piercesare Bori: “Lo scopo di “Una via” è di aiutarsi a percorrere (in piena libertà, e senza alcuna prospettiva di vantaggio) una via comune che, perseguendo la bellezza – la “virtù e conoscenza” – conduca alla Realtà Unica, comunque la si chiami, nell’attenzione costante a coloro cui, per vari motivi, la dignità è negata”.
L’attività presso la casa circondariale di Bologna “Dozza” prese avvio nell’autunno del 1998, configurandosi come corso di Etica laica, con l’intento di verificare ipotesi culturali e pedagogiche che riguardavano la percorribilità di una formazione etica che potesse reggere la prova delle differenze culturali, sia nella nostra società in generale sia all’interno del carcere. Il prof. Bori incominciò la ricerca concentrando il suo lavoro in un primo momento sui detenuti stranieri, in particolare sui detenuti maghrebini.
L’anno successivo il prof. Bori pensò di allargare l’invito agli incontri che teneva in carcere anche agli studenti che seguivano in Università il suo corso di filosofia morale. Da allora, fino alla sua scomparsa avvenuta il 4 novembre 2012 , ogni venerdì pomeriggio Bori entrava in carcere con un gruppo di studenti e si recava nei 3 reparti del carcere di Bologna: giudiziario, penale, femminile, proponendo l’attività del gruppo Una Via.
Anche dopo la scomparsa del professor Bori, la proposta di Una Via prosegue presso il reparto penale.
Il progetto di insegnamento di etica laica in carcere si sviluppa attorno alle seguenti attività:
1) corso di Filosofia morale d’oriente e occidente basato su una sequenza di testi raccolti nel testo: “Per un percorso etico tra culture”;
2) insegnamento e pratica della meditazione Vipassana (un tipo di meditazione Buddista, che si pratica con successo in situazioni detentive in India e altrove) con letture successive;
3)Lavoro redazionale alla rivista del carcere “ EX-TRA”;
4)Assistenza a detenuti e agenti iscritti all’Università nell’ambito della convenzione tra Ateneo di Bologna – Casa Circondariale Dozza;
5)Accompagnamento nei permessi d’uscita dei detenuti; si da inoltre la possibilità a ex detenuti o a detenuti in uscita di partecipare alla riunione-incontro di meditazione che si tiene ogni mercoledì nello studio del prof. Bori;
6)Collaborazione con la biblioteca del carcere, in coordinamento con la biblioteca comunale Sala Borsa;
7)Visita alle famiglie di alcuni detenuti maghrebini, soprattutto tunisini, durante alcuni viaggi del prof. Bori.
Perché lo facciamo?
Ho cominciato ad andare in carcere sotto la guida del professore Bori, con la curiosità di avvicinarmi a chi era privato della libertà, senza nessuna pretesa di fare cose particolari se non di avvicinarmi alle persone in difficoltà e vedere in che modo potevo risultare utile. Effettivamente una delle cose più importanti che penso che facciamo in carcere è il semplice fatto di parlare con i detenuti, ascoltare le loro storie e sostenerli in questo momento per loro difficile con l’aiuto di testi e il confronto reciproco. Finchè il prof. Bori guidava e sosteneva il gruppo, la sua enorme saggezza era fonte diretta di molte riflessioni e sollecitazioni; da quando si è ammalato, con il suo incoraggiamento ho continuato con le attività del gruppo in carcere, facendo di tanto in tanto rifermento a lui per scogliere i nodi complessi che incontravo. Dalla sua scomparsa, ho continuato a guidare il gruppo con il sostegno di Alessandra Monaco, volontaria di lunga data, e con l’appoggio dei membri della “Società degli amici” di Bologna.
Cerchiamo di ricostruire e valorizzare le storie personali dalle origini, per rifuggire la tendenza a considerare le persone detenute come diverse, senza valore, che vengono dal nulla, senza storia o senza radici.
Il carcere è una istituzione fondamentale nella società: la ratio che l’ha ispirato lo pone come istituzione destinata a svolgere il complesso compito di inserire nella società persone che hanno incontrato qualche ostacolo nel loro percorso sociale e di vita. Insegnando Etica Laica esprimiamo il desiderio di dare voce a chi non riesce ad averla e di facilitare la chiarezza in chi attraversa un periodo buio: proponiamo testi e letture che possano aiutare i detenuti nella rielaborazione filosofica della loro esperienza, passaggio fondamentale del riesame della propria vita e nella riappropriazione della propria libertà.
2. Alessandra Monaco: Una via..in carcere
Monaco Alessandra, laureata in Culture e Diritti Umani ed in Sviluppo e Cooperazione Internazionale, presso la facoltà di Scienze Politiche, è educatrice nella città di Bologna nel settore del disagio adulto e minorile. Dal 2007, con il professor P.C. Bori ha collaborato, presso la casa circondariale Dozza di Bologna, alla conduzione del gruppo di meditazione silenziosa “Una Via”, ed stata responsabile dei rapporti università e carcere per il triennio 2010 -2013, al fine di garantire la prosecuzione del diritto allo studio universitario per i detenuti, come previsto dalla prima convenzione Università di Bologna-C.C. Dozza, redatta nel 2003, dallo stesso professor P.C. Bori.
‘Una via’ nasceva, presso la facoltà di Scienze Politiche, come una comunità di formazione e ricerca attraverso cui ciascuno dei partecipanti avrebbe potuto trovare una ‘sua’ Via. Voleva essere una cosa ‘leggera’, libera, senza identità deliberante, in cui ciascuno potesse trovare amicizia ed alimento, ma anche passare ed andare, avendo preso quello che gli servisse.
‘Una via’ tra le tante.
La struttura degli incontri, dopo diverse prove e cambiamenti, si è definita così: una riunione, in genere il venerdì, con un breve silenzio iniziale, poi una lettura, una conversazione, e brevi scambi di pensieri , idee, voglia di dire.
Dal 1998 questa modalità di incontro, grazie al professor P.C. Bori, è stata portata in carcere, presso la C.C. Dozza di Bologna, e da allora, soprattutto grazie all’impegno di Fabian Nji Lang, docente e tutor nelle scuole di formazione professionale per l,obbligo formativo (medie/superiori) e collaboratore del professore, con la medesima modalità si continua a condurre gli incontri di “Una Via” al venerdì in carcere.
Le riunioni vedono la partecipazione di detenuti di varia ascendenza culturale e confessionale: in genere sono non praticanti, che vedono in questo l’occasione di un momento spirituale libero e intenso. Il silenzio come momento che unisce aldilà delle diverse appartenenze religiose.
Alla “meditazione silenziosa” segue la lettura di testi di varia natura, ed uno scambio di riflessioni nate dal silenzio o da ciò che è appena stato letto.
Un gruppo, in cui tutti , a prescindere da credo, cultura, origine o lingua, partecipano alla pari.
Un confronto semplice, sincero, senza giudizio, in cui sentirsi liberi di essere sè stessi, un momento per trovare “una via” per conoscersi e per conoscere gli altri, per acquisire fiducia.
Fiducia di capire i testi, a partire dalla loro lingua, di potersi avantaggiare della sapienza che vogliono trasmettere.
Ma prima ancora, fiducia nelle proprie risorse interiori, qualunque nome si voglia dare loro: mente, spirito, ragione da cui nasce la possibilità di leggere, e anche di non leggere, di tacere, di dire parole proprie, di fare cose nuove.
Il silenzio, le letture, le conversazioni, l’incontro con i detenuti offre a noi e a loro, la possibilità di imparare qualcosa, di trovare ‘una nuova via’, ‘una propria via’, o semplicemente ‘Una via’. Suggerisce di fermarsi a riflettere sul nostro agire, sui problemi e sulle passioni che accomunano tutti. Di allenarsi a riflettere su cosa significhi davvero essere consapevoli di ciò che siamo, diciamo, facciamo o che semplicemente pensiamo. Imparare la consapevolezza di sé, conoscere i propri sentimenti e le proprie preferenze e usare questa conoscenza per guidare i processi decisionali; avere una valutazione realistica delle proprie abilità e ben fondata fiducia in se stessi.
Un momento per arricchirci e uscire dall’incontro felici e con una riflessione in più nel cuore.
A riguardo, ritengo che la frase detta all’inizio del nostro ultimo incontro, da Massimo, uno dei partecipanti al gruppo, racchiuda in un segmento di quotidianità, il senso del gruppo:
“ Mi piacciono sempre i testi che leggiamo, perché mi lasciano allegro e quando torno in cella ogni venerdì sono più felice ed ho voglia di chiacchierare, ma soprattutto di confrontarmi sui temi appena letti, anche con il mio compagno di cella che in genere gli darei solo degli schiaffoni.”
“Una via” verso la consapevolezza di noi stessi, come diceva Gandhi:
“Sii tu il cambiamento che vuoi vedere nel mondo”(Mahatma Gandhi).
Difficile valutare i risultati, ma l’unica critica che il mio professore, Pier Cesare Bori, faticava ad accettare, e che spesso ancora oggi ci muovono come critica, è che il nostro lavoro non sia “concreto”. D’altronde, citando il Professore:’Che cosa è concreto?
La mente che pensa, che desidera, che soffre, non è concreta?
Category: Carceri, Culture e Religioni, Pier Cesare Bori e la rivista "Inchiesta"