Sabrina Ardizzoni: Le scuole dei bambini migranti a Pechino
L’articolo di Sabrina Ardizzoni , professore a contratto all’Università di Bologna, è stato pubblicato in “Inchiesta” n.165 luglio settembre 2009, pp. 52-60 con il titolo “Istruzione ineguale: le scuole dei bambini migranti a Pechino”
Si chiamano «figli dei migranti» (dǎ gōng zǐ nǚ) e le loro scuole si chiamano scuole dei figli dei migranti. Non solo scuole come le altre. Sono scuole separate, ai margini delle aree metropolitane, in isole di campagna, improbabili, di fianco a strade sopraelevate, grattacieli ultramoderni. Sono scuole che non chiedono certificati anagrafici, non esigono tasse scolastiche aggiuntive, non si aspettano che i genitori partecipino alle attività della scuola, ma vanno incontro alle necessità delle famiglie dei lavoratori migranti, offrendo orari di apertura lunghi e flessibili per permettere ai genitori di compiere ciò per cui hanno lasciato le loro case nei villaggi: lavorare. I contadini che hanno costruito il miracolo urbanistico cinese nella Cina degli ultimi dieci-quindici anni sono lavoratori impegnati nell’edilizia,1 nelle cucine degli alberghi e dei ristoranti; altri fanno i camerieri, molti sono raccoglitori di rifiuti differenziati (non quelli ufficialmente assunti dal Comune, ma raccoglitori nelle discariche),2 venditori di merci nei mercati, o nei banchi ambulanti lungo le strade; fanno i «Pony Express», aiutano nei numerosissimi negozi di parrucchiere, manicure, pedicure; le donne offrono i loro servizi alle famiglie, fanno le pulizie, badano agli anziani e ai bambini degli altri. Si chiamano lavoratori migranti, liú dòng rén kǒu, spesso definiti mín gōng , un neologismo coniato negli anni Ottanta – momento cruciale della politica delle Riforme di Deng Xiaoping – che sta a significare la doppia natura di questi nuovi soggetti sociali: mín come nóng mín contadini, e gōng come in gōng rén , operai. Una categoria sociale che non era prevista nella società di lavoratori dell’epoca di Mao Zedong (contadini, operai, intellettuali).3
1 Nel 1997 il 27,6 % del totale dei mingong di Pechino era impiegato nell’edilizia, il 16,28% nel commercio, il 12,9 % nelle consegne, il 14,14 % in altri servizi. Il restante 4,6 % era impiegato in lavori di piccola agricoltura, mantenimento del verde, industria ittica e allevamento. Cfr. il censimento del 1997, cit. in HAN 2004, p. 54. Nel 2006, i mingong rappresentavano il 79,8% dei lavoratori occupati nell’edilizia urbana, il 68,2% diquelli impiegati nella produzione elettronica, e il 58% di quelli addetti alla ristorazione. BULARD 2006.
2 Un’interessante testimonianza di questa realtà pechinese si trova in DUTTON, LO & WU 2008. pp. 148-168.
3 Per un’esauriente presentazione del fenomeno sociale dei mingong cfr. CAPOZZI & GALLI 2008, pp. 45-53.
«La popolazione migrante rurale è un gruppo sociale che esiste tra la residenza rurale e urbana. Sono registrati come contadini, ma sono abitanti urbani “non ufficiali”. I loro bambini sono diversi sia dai bambini della città sia dai bambini della campagna. Anche se dal punto di vista della registrazione anagrafica appartengono alla campagna, essi hanno più esperienza di vita urbana dei bambini delle campagne, mentre la loro esperienza urbana è assolutamente diversa da quella dei bambini di città».4 I mingong sono un prodotto della Politica delle Riforme di Deng Xiaoping. Sono nati nei primi anni del nuovo corso denghista, quando le diseguaglianze tra città e campagna hanno cominciato a farsi sentire pesantemente: «[…] le differenze città/campagna hanno cominciato a crescere a partire dal 1985; nel periodo 1985-91 i redditi dei contadini si sono fermati, mentre la differenza di reddito fra città e campagna ha raggiunto i livelli pre-1978. Nella seconda metà degli anni Ottanta, cresce la percentuale di contadini che lascia le campagne; molti hanno spiegato questo fenomeno con l’acuirsi delle contraddizioni tra terra e popolazione rurale».5 Per pochi soldi, lavorano senza orario (una badante, in coabitazione, 24 ore su 24 di presenza, un giorno libero, ma solo se il datore di lavoro lo permette, guadagna 1450 RMB al mese, 150 €, vitto e alloggio inclusi). Perso un lavoro, se ne trova un altro, senza sussidi, senza ferie.6 A volte i figli restano a casa, nel qual caso si definiscono “bambini a carico di altri” (liú shǒu ér tóng ); ma quando al villaggio nessuno ha la possibilità di mantenerli, seguono la sorte dei genitori. I bambini diventano dunque liú dòng ér tóng (bambini migranti), al seguito dei genitori. Le scuole speciali, le prime delle quali fondate proprio da lavoratori migranti, accolgono un numero imprecisato di bambini, al seguito dei 230 milioni di mingong in cerca di fortuna.
4 LU & ZHANG 2001 (2004), pp . 95–108.
5 Wang in MARCHISIO 2006, p. 59 sg.
6 In Cina, la tutela dei diritti dei lavoratori migranti è un tema recente ma caldo. Nelle città, come già da tempo nelle campagne, si verificano oggi frequenti episodi di protesta organizzata da parte dei contadini/mingong che chiedono tutele. Nella Pechino del dopo-Olimpiadi, inoltre, i mingong hanno organizzato manifestazioni contro i numerosi licenziamenti e la disoccupazione in questa fascia di lavoratori. La stampa internazionale ne ha dato scarso rilievo. RAMZY 2009, CHA 2009, LU 2009, ZHEN 2008; inoltre BUVARD 2006, cit. In Italia segnaliamo le inchieste di Angela Pascucci (PASCUCCI 2008) e i suoi numerosi articoli pubblicati ne Il Manifesto. Sulle rivolte contadine degli anni Novanta, cfr. il reportage di CHEN & WU 2007.
I bambini che rimangono nei villaggi, solitamente lasciati alle cure di nonni o di altri parenti, si trovano ad affrontare due problemi: la carenza strutturale del sistema educativo delle campagne, e il trauma psicologico dell’assenza dei genitori.7 La disparità tra le scuole rurali e quelle di città è tale per cui spesso la scolarizzazione nelle campagne non è garantita, mentre le scuole in città sono molto moderne, dotate di apparecchiature tecnologiche avanzate, adottano tecniche didattiche all’avanguardia, si avvalgono di docenti molto aggiornati, e gli studenti possono scegliere tra un’ampia offerta di attività didattiche extracurriculari.8 Viceversa, bambini che emigrano al seguito dei genitori si trasferiscono nelle aree urbane con la speranza di accedere ad un’istruzione migliore. Ciò che invece trovano è la segregazione sociale e scolastica e l’impossibilità di interazione con un mondo urbano refrattario alla vicinanza con questa categoria sociale, i contadini, che nel mondo del dopo-Mao ha perso la centralità che aveva conquistato con la fondazione della Repubblica Popolare. Il problema dell’educazione di questi bambini è cruciale, e la Pechino del dopo-Olimpiadi, è tra le prime città cinesi a interrogarsi su questo problema.9 Tra la fine degli anni Ottanta e il 1998, la capitale, come altre città cinesi interessate dal fenomeno migratorio, sembrava ignorare il problema. Benché il fenomeno dei lavoratori migranti fosse già consistente, nessuno aveva affrontato sistematicamente la questione dell’inserimento scolastico dei bambini migranti. «[…] già nel 1989, il numero dei mingong raggiunse quota 30 milioni. Nel 1992 il rilancio delle riforme da parte di Deng Xiaoping scatenò una nuova ondata migratoria e nel 1993 i contadini che avevano lasciato le campagne erano 62 milioni. Undici anni dopo, nel 2004, 118 milioni di lavoratori rurali, vale a dire un quarto della forza lavoro disponibile nelle campagne cinesi, si erano trasferiti nelle città. Nel 2006, erano diventati più di 200 milioni».10
7 JUNGBLUTH 2007, pp. 8-17.
8 Tra le testimonianze di questa situazione di forte disparità, rimandiamo al film di Zhang Yimou, Non uno di meno (1999), e al Best Seller: Il diario di Ma Yan (MA & HASKI 2003). Entrambi questi casi, fortemente mediatizzati, hanno dato vita a programmi di cooperazione internazionale con alcune scuole di villaggi rurali. Meno conosciute invece sono le scuole dell’ambiente urbano contemporaneo.
9 Tra gli «addetti ai lavori» cinesi è diffusa l’opinione che la politica più efficace e all’avanguardia per l’accoglienza dei bambini migranti sia quella adottata a Shanghai, considerata come una sorta di«modello educativo». Un po’ come il «modello di Reggio Emilia» per le scuole d’infanzia in Italia.
10 LUPANO 2008
Nel documento pubblicato dall’Ufficio Nazionale di Statistica il 25 marzo del 2009, alla fine del 2008 i lavoratori migranti di origine contadina impiegati in lavori non agricoli nelle città cinesi erano 225.420.000.11 Dapprima contenuto, almeno in termini percentuali, il fenomeno, soprattutto a partire dalla prima metà degli anni Novanta, incomincia ad emergere con forza; Pechino è tra le prime città a decidere di riconoscere ufficialmente una delle tante scuole private che dall’inizio in quel periodo erano sorte proprio per accogliere i bambini migranti. Si tratta della scuola Xin Zhi,12 sorta a Fengtai, un Quartiere a Sud-Ovest della città che ancora oggi offre una sistemazione abitativa a molti lavoratori che vengono da fuori. Era il 1994, e il riconoscimento della prima scuola per bambini migranti apre la strada a una politica scolastica … con caratteristiche cinesi. Il 2 marzo 1998 la Commissione Nazionale per l’Istruzione, di concerto con l’Ufficio di Pubblica Sicurezza, pubblica le «Disposizioni temporanee per la scolarizzazione dei bambini migranti» che definiscono le condizioni per l’apertura legale di istituzioni scolastiche.13 In questo stesso periodo, inoltre, si cerca di regolamentare l’apertura di scuole private. Le prime scuole per bambini migranti, attive dall’inizio degli anni Novanta, vengono così chiuse o regolamentate. Da questo primo provvedimento normativo emergono alcuni punti che si mantengono cruciali ancora oggi all’interno del dibattito in corso:
1. La definizione di «bambino migrante». Si tratta di bambini nati nei villaggi di campagna, che seguono i genitori per causa di forza maggiore, ossia perché nel villaggio di origine non hanno nessuno che li possa tutelare in assenza dei genitori. La prima scelta, dunque, sarebbe quella di lasciare i figli nel villaggio di origine, mentre portarli con sé è indice di uno stato di necessità 14
11 Il documento integrale è reperibile sul sito http://www.stats.gov.cn/was40/gjtjj_outline.jsp (2008 nián mò quán guó nóng mín gōng zǒngliàng wéi 22542 wàn rén 2008).
12 Della scuola Xin Zhi si parla anche in HAN 2004, p. 34, e in LU & ZHANG 2001 (2004), p. 56. La scuola, ora denominata «Beijing Xin Zhi New Citizen School», è oggi considerata un modello tra le scuole di bambini migranti. Il sito della scuola, in cinese e inglese, con foto, e le indicazioni dei progetti internazionali, è: http://www.21xz.org.cn/English/index.html.
13 Disposizioni temporanee per la scolarizzazione dei giovani migranti (liú dòng ér tóng shào nián jiù xué zàn xíng bàn fǎ 1998, 3, 2), Dichiarazione congiunta tra la Commissione Nazionale per l’Istruzione e l’Ufficio di Pubblica Sicurezza del 2 marzo 1998, disponibile su http://www.edu.cn/20040217/3099163.shtml. La traduzione proposta in questo lavoro è di chi scrive.
14 Ibid , Art. 3
2. Viene segnalata la necessità di monitoraggio dello spostamento del bambino da un luogo all’altro, e la creazione di un collegamento tra il villaggio di origine e la città di immigrazione.
3. Emerge fin da subito la constatata difficoltà di un inserimento regolare nelle scuole pubbliche, insieme agli altri bambini, sia per la gestione di numeri, sia per le relazioni, non sempre positive, tra la popolazione delle città e quella delle campagne.
4. Il legislatore esprime preoccupazione per la qualità dell’istruzione offerta ai bambini, e per le problematiche inerenti al pagamento delle tasse scolastiche. Un altro provvedimento, di poco precedente, ha vietato l’istituzione di scuole a scopo di lucro. (definite sī lì xué xiào e non mín bàn xué xiào ).15
5. Già in questa prima fase, in cui il numero dei bambini migranti è inferiore a quello attuale, lo Stato esprime l’impossibilità di fornire personale da impiegare nell’azione educativa dei bambini e chiama all’appello i docenti in formazione e il personale scolastico in pensione. Non si parla di lavoro volontario, né delle condizioni salariali del corpo insegnante, ma emerge una sorta di delega alle forze sociali chiamate a garantire il task educativo dei bambini migranti.16
6. Benché la questione della socializzazione tra bambini migranti e bambini locali venga affrontata solo marginalmente, il provvedimento esprime preoccupazione per il pericolo di segregazione e di discriminazione dei bambini migranti da parte dei bambini locali. Gli educatori vengono infatti invitati ad assicurare che ci siano occasioni di incontro tra bambini migranti e locali, e che questi ultimi possano partecipare ad attività collettiva istituzionalizzate, come il Corpo dei Giovani Pionieri e la Lega della Gioventù Comunista.17
15 Regolamento per l’istituzione di scuole da parte delle forze sociali, emanato il 1-10-1997 dal Consiglio di Stato, citato qui nell’Art. 12: «Le istituzioni scolastiche costituite dalle forze sociali non devono avere scopo di lucro». Vd. per il testo completo: http://218.22.0.27/fg/shll.htm.
16 Art. 9.
17 Art. 14.
7. Viene data facoltà ai soggetti della società civile, sia singoli sia in associazione, di fondare scuole in locali presi in affitto sul territorio. Si intende mantenere un controllo sul mantenimento di alcuni parametri, come la qualità del programma di insegnamento e le condizioni dei locali, ma è chiaro fin da subito come soprattutto quest’ultimo aspetto possa subire delle variazioni anche importanti, a seconda delle necessità oggettive.18 Per venire incontro alle esigenze specifiche di ogni situazione territoriale, il provvedimento lascia ogni responsabilità attuativa alle autorità locali (Art. 18). Per questo motivo, le singole Province, Regioni e Comuni hanno impiegato anche qualche anno per l’applicazione dei termini del provvedimento. A Pechino la Municipalità decide di mettere in atto un intervento massiccio, ma solo nel 2002,19 dopo la pubblicazione, nel 2001, di uno studio che rileva uno stato di fatto particolarmente preoccupante. La ricerca, a firma di Lu & Zhang, mette in luce un problema che aveva assunto proporzioni gigantesche:«Il tasso di iscrizione scolastica tra la popolazione di bambini migranti è bassissimo; e molti di loro non frequentano alcuna scuola. Secondo le stime, il 3,6% degli oltre 3 milioni della popolazione migrante di Pechino, ossia circa 100.000 persone, è composto da bambini in età scolare (tra i 6 e 14 anni); ma le iscrizioni scolastiche di questi bambini corrispondono solo al 12,5%. Il che significa che 87,5% dei bambini migranti non ha accesso alla scolarizzazione.20 Molto elevato, poi, appare il tasso di ritardo scolastico. Numerosi i casi segnalati di sedicenni in quarta elementare, di diciottenni in seconda. La ricerca segnala una differenza di età, nella stessa classe, di anche 6 o 7 anni.21 Il fenomeno delle scuole speciali per bambini migranti compare in maniera significativa a partire dal 1993.22 Da allora ad oggi, il numero di bambini migranti a Pechino ha visto un aumento quasi esponenziale.23 Il primo censimento della popolazione migrante risale però solo al 1997, quando si contavano 2.229.000 mingong nella sola Pechino, corrispondenti al 21,18% della popolazione residente.
18 Art. 9; v. supra. Questo punto diventa centrale nella notevolissima ricerca di Zhang Xuemei (2009), il cui testo integrale si trova in http://www.chinachild.org/zhi/rdgz/3txt.asp?id=204, a cui rimandano le numerose citazioni infra.
19 Si tratta del documento «Direttive per l’istruzione pubblica della Municipalità di Pechino», della Commissione istruzione della Municipalità di Pechino, Tribunale Civile, Ufficio di Pubblica Sicurezza e Municipalità di Pechino, aprile 2002.
20 LU & ZHANG 2001 (2004), p. 63; traduzione dall’inglese della scrivente.
21 Ibid.
22 HAN 2004.
23 Stima in ZHANG 2009. Per l’anno 2000 si è calcolata una presenza di 150.000 bambini migranti a Pechino, di cui almeno 100.000 in età scolare, vd. LU & ZHANG 2001 (2004) p. 64 sg.
I bambini al seguito dei genitori di età inferiore ai 15 anni, erano 162.030, ossia il 7,5% della popolazione mingong. Di questi, solo 66.392 erano in età scolare (tra i 6 e i 15 anni).24 Secondo ZHANG 2009 i bambini mingong in età di obbligo scolastico a Pechino nel 2000 erano 980.000, nel 2003 erano diventati 240.000 e nel 2006 avevano raggiunto le 370.000 unità. 25 Tuttavia, se il dato sulle presenze di lavoratori migranti adulti è di facile reperimento, in quanto le registrazioni temporanee degli adulti vengono segnate nel sistema anagrafico della municipalità, il numero preciso dei bambini non è rilevabile con certezza, perché i minori non vengono sempre registrati con certificato individuale. Ci sono inoltre molti minori sul suolo cittadino senza registrazione anagrafica, iscritti alle scuole non riconosciute, o non iscritti in alcuna scuola, e la cui presenza, dunque, non è rilevabile in alcun modo.A Pechino, oggi, si stima che i circa tre milioni di migranti, provenienti soprattutto dalle regioni confinanti con la municipalità di Pechino – ma qualcuno anche dalle regioni più interne, poco raggiunte dalle ricchezze dell’area costiera – abbiano portato con sé 100.000 bambini e bambine attualmente inseriti nelle scuole «normali» o nelle scuole speciali per bambini migranti. La succitata ricerca pubblicata a luglio 2009 dal Centro di Ricerca e Tutela dei Minori della Municipalità di Pechino,26 a firma di Zhang Xuemei, mette in luce la complessità del fenomeno, a partire dall’assunto, più volte replicato da tutti i legislatori, dell’importanza dell’assolvimento dell’obbligo scolastico, e della garanzia del diritto a un’istruzione uguale per tutti: «Il governo ha da sempre ritenuto importate garantire la parità del diritto di istruzione dei bambini migranti, ha incoraggiato la costruzione di scuole minban per la loro accoglienza, sostenuto e contribuito al miglioramento delle scuole autonome».
24 HAN 2004.
25 Si tratta di una stima limitata a Pechino. Il Quinto Censimento Nazionale del novembre 2000 riporta un dato molto significativo: il totale di bambini migranti era di 14.096.842 unità. Tenendo presente che, in quell’anno, il numero complessivo di migranti era nell’ordine di 121.070.000 persone, ne risulta che una famiglia su quattro avrebbe portato al seguito almeno un figlio. In ZOU, QU & ZHANG 2005, pp. 1-7.
26 Qingshaonian Falü Yuanzhu Yu Yanjiuzhongxin. Fondato nel 1999, è la prima organizzazione che offre servizi di tutela legale gratuita ai minori e conduce ricerche e monitoraggio sull’infanzia. Zhang Xuemei, avvocato e segretaria generale dell’Associazione degli Avvocati Cinesi per la Tutela dei Minori, è vicepresidente dell’istituzione e si occupa in particolare dei diritti dei bambini mingong.
La ricerca, tuttavia, mette in luce alcuni problemi che il governo cittadino è tenuto ad affrontare con una certa urgenza: «Dal punto vista delle condizioni delle strutture scolastiche, dei trattamenti salariali degli insegnanti, della qualità dell’insegnamento, le scuole per bambini migranti non sono paragonabili alle scuole pubbliche, al punto che non vengono garantiti i risultati degli insegnamenti, i diritti dei docenti; e dei problemi che sorgono all’interno di queste scuola la popolazione non viene informata». A fronte di più di 200 scuole illegali e non riconosciute in tutta Pechino, le scuole riconosciute sono solo 63:27 «A Pechino il 63% dei bambini immigrati a Pechino è inserito nelle scuole pubbliche, il che equivale a dire che oltre il 30% di questi bambini è inserito in scuole speciali a loro dedicate. A tutto il 2006, erano 56 le scuole minban riconosciute dalle autorità scolastiche, nel 2008 sono aumentate a 63, ma a tutt’oggi molto numerose sono le scuole che non hanno ottenuto il riconoscimento».28 Una delle differenza tra le scuole legalizzate e le scuole «in nero», è il rilascio di documentazione scolastica ufficiale, utilizzabile dagli alunni. Le scuole legalizzate possono rilasciare, al pari delle scuole «regolari», una «carta dello studente», una sorta di documento di identità dell’allievo, con il quale il bambino può accedere a una serie di agevolazioni, come forti riduzioni sugli acquisti di biglietti e abbonamenti per i trasporti pubblici, accesso a programmi speciali per la salute e a iniziative sportive riservate agli studenti di scuola dell’obbligo.29 A fine ciclo di studio, lo studente riceve il certificato di diploma (elementare o medio) valido in tutto il territorio dello Stato. Le scuole non riconosciute, tuttavia, non solo non rilasciano la carta dello studente, ma non rilasciano alcun certificato che registri la frequenza scolastica o l’assolvimento di obbligo scolastico dell’allievo.
27 Il Fazhi Ribao riporta un totale stimato di oltre 200 scuole «in nero» e 65 legalizzate,. Vd. dǎ gōng zǐ nǚ xué xiào in Fǎ zhì rì bào 17-06-2009. Sono però sicuramente di più, visto che nel 2008 già si parlava di più di 300 scuole, di cui più di 200 non regolarizzate. (Gongren Ribao 11-09-2008). La difficoltà di ottenere un dato preciso relativo all’ampiezza del fenomeno viene sottolineata da tutti gli studi in questo campo.
28 Il 4 settembre 2009, la Commissione scolastica di alcuni Quartieri di Pechino ha deciso di accelerare le pratiche di riconoscimento per undici scuole minban che avevano fato richiesta all’inizio del 2009. Queste undici scuole, quindi, si vanno ad aggiungere a quelle rilevate da Zhang nella sua inchiesta. (Beijing Wanbao, 4 Settembre 2009).
29 Il documento rilasciato ai bambini con hukou rurale, però, è diverso da quello dei bambini di città. I bambini migranti infatti ricevono un «certificato di prestito allo studio» invece della «Carta dello studente» rilasciata ai bambini di città.
Si tratta di bambini quindi, che risultano fuori dall’obbligo scolastico, e che non potranno mai accedere a corsi di studio superiori. «Gli studenti di queste scuole non possono usufruire delle agevolazioni che la municipalità di Pechino riserva agli studenti delle scuole dell’obbligo del territorio; in tal modo, a questi, che pure vivono a Pechino, non è riservato lo stesso trattamento degli altri bambini. Gli studenti del 71% di queste scuole non ricevono alcun sussidio dal Comune: nelle scuole rimanenti solo il 20% godono di tariffa di ingresso agevolato ai parchi, il 15% ha l’agevolazione sulla carta IC, il 12% ha la riduzione del 50% sui biglietti del treno; ma questi vantaggi sono riservati solo ai bambini in possesso della carta dello studente, quelli che non ne sono in possesso, rimangono esclusi». […] «Le direttive statali stabiliscono che la carta dello studente è uno strumento di riconoscimento dell’identità di uno studente attraverso il quale è possibile accedere a delle forme di sostegno sociale. Dal nostro studio è emerso che gli studenti di tutte le scuole non riconosciute e circa metà dei frequentanti le scuole riconosciute, perdono, causa la mancata assegnazione del certificato di studio ufficiale, i requisiti di accesso ai contributi sociali che la municipalità di Pechino mette a disposizione degli studenti della scuola dell’obbligo».30 Non è solo un problema amministrativo: «Il motivo per cui gli studenti delle scuole non riconosciute non hanno il certificato, sta nel fatto che queste, non essendo riconosciute, non lo possono rilasciare. Nelle scuole riconosciute, i motivi addotti come causa della mancata distribuzione del documento sono il fatto che l’autorità locale preposta al rilascio ha interrotto la distribuzione, oppure che non la cosa non viene ritenuta importante; oppure si afferma che si stanno producendo i documenti, ma che le pratiche sono ancora in corso».31 La differenza tra le scuole riconosciute e quelle non riconosciute è palese. I fondatori delle scuole solitamente hanno l’obiettivo del riconoscimento: «Il 90% delle scuole legalizzate ha avuto il riconoscimento dopo un periodo di attività senza riconoscimento. Il 50% di esse ha operato per almeno 4 anni prima di svolgere le formalità necessarie alla regolarizzazione. Anche le altre scuole irregolari hanno tutte fatto richiesta, ma finora senza successo».32 La Commissione Scolastica valuta la possibilità di legalizzare delle scuole quando queste non siano troppo fuori dagli standard richiesti. Una volta stabilita la possibilità di raggiungere in tempi brevi le condizioni minime richieste, la municipalità sostiene economicamente la struttura per aiutarla nel processo di adeguamento.
30 ZHANG
31 Ibid.
32 Ibid.
Una scuola intervistata ha dichiarato che da quando ha ottenuto il riconoscimento, si è riusciti, con il contributo della municipalità, ad installare l’impianto di riscaldamento, a sostituire gli infissi per mettere i vetri alle finestre, e si stanno ora installando i bagni a norma. La legalizzazione ha permesso anche di accedere a canali di finanziamento privati, che hanno fornito un’aula multimediale, una sala informatica, banchi e sedie.33 Spesso, tuttavia, la condizione strutturale delle scuole, anche di quelle riconosciute, è molto al di sotto degli standard richiesti dagli Uffici Scolastici dei diversi Quartieri (qu): «La “regolamentazione per la formazione delle classi della città di Pechino” prevede che le classi delle scuole elementari e medie non superino i 40 studenti. Ma dalla nostra inchiesta emerge che21 scuole non riconosciute accolgono 14.854 studenti; di queste scuole, il 19% ha più di 1000 studenti, il 52% tra i 500 e i 1000, il 29 % meno di 500. La maggior parte delle classi contiene tra 30 e 50 studenti. Il 45% delle 20 scuole riconosciute hanno più di 800 studenti, e le classi con oltre 40 bambini non sono poche». […] «Secondo il Regolamento per l’istituzione di scuole minban nella municipalità di Pechino relativa al campo sportivo, “Il campo sportivo deve, come per le scuole pubbliche, poter offrire la pista da corsa di fondo per i 200 metri (o 300, o 400), e il tappeto per i 100 metri, oltre al campo da pallacanestro, pallavolo, e deve anche avere diverse attrezzature ginniche”. Nel corso della nostra ricerca abbiamo constatato che nemmeno le scuole che hanno già ottenuto il riconoscimento dispongono di queste strutture».34 Nel corso della ricerca condotta da Zhang per il Centro Tutela dei Minori, sono stati somministrati 1055 questionari a insegnanti, genitori e studenti di 41 scuole di cinque Quartieri di Pechino, di cui 20 legalizzate, e 21 irregolari. Nei questionari si è chiesto anche di esprimere giudizi soggettivi sulle scuole frequentate, o sedi di lavoro. «Gli studenti e le famiglie hanno rivelato che le superfici delle aree scolastiche sono insufficienti, le condizioni pessime, le aule troppo affollate, i banchi sono miseri, mancano dispositivi adeguati per il riscaldamento e il raffreddamento delle aule, non ci sono cortili, o sono insufficienti, la situazione dei dormitori è pessima, non igienica, oltre a vari altri problemi». In generale i bambini intervistati hanno dichiarato che: «Il cortile della scuola è piccolo, le aule sono piccole»; «in classe d’inverno fa freddo, d’estate fa caldo»; «il cibo non è buono»; «la mensa è sporca»; «ci sono poche attrezzature sportive»; «non ci sono luoghi per fare ginnastica”;
33 Intervista della scrivente al Prof. Liu, Preside di una scuola minban autorizzata di Pechino, luglio 2009.
34 ZHANG 2009.
;«non ci sono aule di lettura»; «non ci sono computer»; «gli insegnanti cambiano spesso»; «intorno alla scuola è pieno di spazzatura»; «è in un ambiente molto rumoroso»; «spesso la sabbia del cortile viene in classe portata dal vento»; «l’ambiente non mi piace, c’è sempre sabbia nell’aria»; «gli studenti delle classi superiori spesso prendono in giro i piccoli, spesso si prendono a botte».35 I bambini, insomma, vorrebbero andare a scuola con i propri coetanei cittadini: «per avere la stessa istruzione dei bambini di Pechino»;36 «perché credo che gli insegnanti della scuola pubblica insegnino bene»; «c’è più controllo»; «sono più attrezzate, «fanno tante attività»; «hanno tutto»; «non mancano mai gli insegnanti». Però è anche vero che molti di loro, il 45% «ha timore di andare nella scuola pubblica; teme «la distanza da casa», «di non avere amici», «di essere preso in giro», «di essere discriminato»; «che le condizioni economiche famigliari non lo permettano»; «che la retta scolastica sia troppo alta».37 La sofferenza della segregazione dei bambini e della loro percezione dell’impossibilità di integrazione con il mondo della città è qui evidente, riflette la condizione sociale dei genitori, per i quali: «[…] non sussiste la possibilità di mischiarsi, di mescolarsi veramente con il tessuto sociale. La loro esistenza scorre su un binario parallelo, che s’incrocia di rado con le occasioni sociali della comunità urbana; mancando persino un’occasione di incontro, o di scontro, nemmeno è lecito parlare di ʽrazzismo’: si tratta di pura e semplice emarginazione».38 Oltre alle carenze strutturali dell’edilizia scolastica, anche i programmi scolastici, e il reclutamento degli insegnanti costituiscono un nodo di rilevante criticità. «Dei 1276 insegnanti di 41 scuole, il 75% è in possesso della qualifica di insegnante. Dall’inchiesta emerge che nel 68% delle scuole gli insegnanti con qualifica sono tra il 60 e il 90%, le scuole che superano il 90% sono meno di un terzo, e che in una scuola solo il 30% degli insegnanti ha la qualifica. Nelle scuole riconosciute, il 30-60% degli insegnanti è in possesso della qualifica, le scuole con oltre il 90% di insegnanti qualificati sono pochissime, mentre, tra le scuole non riconosciute, la media si assesta intorno al 60% e solo un terzo ha più del 90%».
35 Ibid.
36 È interessante notare questa espressione. Benché si tratti di bambini da anni a Pechino, o addirittura nati colà, la loro percezione di sé li identifica tra gli esclusi dalla condizione di pechinese.
37 ZHANG 2009.
38 PERINI 2005, p. 85.
Gli insegnanti sono spesso lavoratori migranti essi stessi. Sono neolaureati o insegnanti in pensione, e vengono spesso dalle zone di provenienza dei bambini. Ma la nota più dolente è la constatazione che: «il 30% degli stipendi è di 800 RMB al mese, per il 65% dei docenti è tra gli 800 RMB e i 1200 RMB».39 Le infime condizioni salariali e l’assenza di garanzie per il corpo docente non garantiscono la continuità dell’insegnamento. I docenti si spostano di frequente, alla ricerca di condizioni di lavoro migliori, tra le numerose scuole del territorio. Chi resta, non potendo permettersi una soluzione abitativa, dorme spesso nelle stesse aule in cui insegna di giorno.40 Nelle scuole intervistate, il carico lavorativo settimanale di un insegnante si aggira intorno alle 40 ore di lezione settimanali. Se sono senza qualifica, gli insegnanti non hanno accesso alla formazione riservata al corpo docente. Solo negli ultimi anni il Provveditorato ha offerto ai docenti delle scuole legalizzate – ma con possibilità di accesso anche agli insegnanti delle scuole irregolari – la possibilità di frequentare dei corsi di aggiornamento nei week-end. Continua Zhang: «Nelle interviste ai docenti emerge che il 74,4% di loro, quando scelgono la scuola, hanno come prima preoccupazione il fatto che si tratti di una scuola riconosciuta o meno; il 23% degli insegnanti non sono soddisfatti della scuola in cui lavorano, perché ritengono che le condizioni della scuola siano inadeguate; inoltre il 38,5% non ha mai seguito un percorso di formazione o aggiornamento». Il sistema scolastico cinese prevede che le sedi locali dei Provveditorati stabiliscano di anno in anno i libri di testo da utilizzare. Si tratta di libri che vengono poi adottati in tutte le scuole di quel territorio. La decisione dei libri di testo avviene quindi a livello di shi, di Comune. Essendo Pechino Comune Autonomo, la giurisdizione del jiaowei (Provveditorato) cittadino corrisponde al shen, alla Provincia, mentre l’autonomia dei diversi qu – Quartieri – corrisponde a quella degli shi. Questo è il motivo per cui a Pechino sono i diversi qu a stabilire i libri di testo. Le scuole minban per bambini migranti, invece di utilizzare i libri previsti dal Quartiere in cui si trovano, utilizzano più volentieri i manuali della casa editrice Renmin Jiaoyu, utilizzati in quelle Province confinanti con Pechino da cui proviene la maggior parte dei bambini nelle scuole.
39 ZHANG 2009.
40 Interviste condotte dalla scrivente al Preside Liu (v. supra) e alla Prof. Zheng, Preside di una scuola minban non autorizzata di Pechino, luglio 2009.
E’ molto raro però che questi bambini tornino nei villaggi di provenienza. I presidi, intervistati sul motivo per cui venga effettuata questa scelta, affermano che i testi adottati nella maggior parte dei qu pechinesi, quelli della casa editrice Beijing Shifan, sono troppo difficili per i bambini migranti, che a casa non possono avere il sostegno dei genitori nei compiti e non frequentano scuole serali o di assistenza allo studio, come molti dei bambini nelle scuole pubbliche; quindi la scelta cade sui materiali di più facile fruibilità.41 Se l’allievo volesse essere ammesso alla scuola regolare dopo uno o due anni di frequenza in queste scuole, non avrebbe la preparazione necessaria per seguirne il programma. Ma quali sono le ragioni che spingono i lavoratori migranti a iscrivere i propri figli nelle scuole minban? Secondo Zhang: «Alla domanda perché mandino i bambini alle scuole minban, il 25% delle famiglie ha risposto che è perché le scuole pubbliche non li accolgono, oppure perché la loro richiesta di esenzione dalle tasse scolastiche non è completa, oppure perché sono stati indirizzati lì. Il 40% dei genitori afferma che si tratta della vicinanza con l’abitazione, e della retta scolastica bassa. Il 43% delle famiglie ha provato ad inserire i figli nella scuola pubblica, ma la loro domanda è stata respinta, o perché non avevano più posti disponibili o perché non avevano le condizioni per chiedere l’esenzione dalla retta scolastica o perché si erano presentati fuori dal periodo di iscrizione. Il 52% dei genitori non vuole iscrivere i figli alla scuola pubblica per timore che possano essere discriminati, che le rette siano troppo alte, e per la distanza da casa». Gli abitanti nelle zone di campagna hanno un certificato di residenza rurale, che si distingue da quello urbano delle città. Gli spostamenti dalla campagna alla città sono stati consentiti dall’inizio degli anni Ottanta, ma la politica dello hukou, ossia della residenza nel luogo di nascita, permane, pur con delle maglie che vanno via via allentandosi nel corso degli anni. Per frequentare la scuola regolarmente a Pechino, ogni bambino deve presentare i cosiddetti «quattro certificati»: il certificato di conformità alla politica del figlio unico, il certificato di residenza temporanea a Pechino, il certificato di lavoro dei genitori, il certificato di residenza originale. Si tratta di una certificazione che esclude dalla scolarizzazione regolare molta parte dei bambini migranti. Il certificato di lavoro dei genitori non è sempre disponibile, visto che i genitori spesso non lo possiedono. Per certi lavori, molto frequenti, non è previsto nessun contratto di lavoro. Ad esempio, per le colf, badanti, baby sitter, insomma, quelle che vengono definite āyí . Oppure per i gètǐhù, commercianti individuali, spesso ambulanti, non in possesso di alcun tipo di documentazione di lavoro.
41 Intervista della scrivente al Prof. Liu, Pechino, luglio 2009.
Il certificato di conformità alla politica del figlio unico, poi, esclude dalla regolarizzazione molti «bambini illegittimi», e quindi di fatto inesistenti sul piano anagrafico.42 Si tratta di molti casi di bambini nati da contadini, in città o nei villaggi. Molto frequenti sono poi i casi di bambini clandestini, ossia che vivono a Pechino, anche da lungo periodo, ma che non hanno nemmeno il certificato di residenza temporanea. Il percorso di iscrizione regolare è dunque impossibile per molti bambini. L’aspetto economico è senz’altro determinante nella scelta dei genitori per l’iscrizione nelle scuole minban. La normativa comunale in vigore dal 1998 prevede, in virtù dell’obbligo scolastico, che le scuole debbano accogliere tutti i bambini, anche quelli senza documenti, senza applicare una retta scolastica superiore a quella dei bambini residenti. Un provvedimento del 2007, inoltre, assicura l’esenzione scolastica per l’iscrizione alla scuola dell’obbligo dei bambini con hukou rurale. Tuttavia, generalmente le scuole non solo chiedono delle tasse aggiuntive agli studenti, ma le differenziano a seconda della resa scolastica, per cui spesso ai bambini migranti, che per storia personale e per scarse – se non nulle – possibilità di essere sostenuti nello studio hanno sovente un profitto inferiore a quello dei bambini più fortunati, vengono richiesti pagamenti che le famiglie non si possono certo permettere, talora anche dieci volte superiori alle rette scolastiche di base. Se la scuola elementare pubblica prevede una retta di 500 RMB a semestre (1000 RMB per un a.s.) — e questa è una richiesta base, sia della scuola statale, sia della scuola minban — alcune scuole possono arrivare a chiedere per un a.s., a un bambino non residente e con una media di voti bassa, anche 15.000 RMB. Se consideriamo che: «Il reddito annuale, per il 34% delle famiglie, è inferiore a 12.000 RMB (1300 €), per il 43% è tra i 12.000 RMB e i 30.000 RMB, solo i 10 % delle famiglie guadagna più di 30.000 RMB»,43 è evidente che le scuole statali non sono avvicinabili dai bambini migranti. Tutte le scuole speciali per bambini migranti, legalizzate e no, hanno invece una retta, fissa e suddivisa in due semestri, abbastanza bassa, ossia, pari all’importo fissato dalla municipalità, alla quale si aggiunge di solito una quota giornaliera per la mensa (nell’ordine di 2 RMB al giorno), indipendente dal rendimento scolastico.
43 ZHANG 2009.
Le scuole minban sono collocate proprio nelle aree periferiche che sono sede abitativa dei lavoratori migranti. Si tratta spesso di case basse, di mattoni o container, ai margini di cantieri, o nelle zone in cui la città si fonde nemmeno troppo lentamente con la campagna. Strade non asfaltate, campi coltivati, oppure enormi cortili nella città, senza soluzione di continuità con i grattacieli e i ponti autostradali circostanti. Le scuole aprono i cancelli alle 5,30 – 6 del mattino, per permettere ai genitori di lasciare lì i loro figli prima di cominciare la loro giornata di lavoro. La sera, chi vuole, può restare anche fino alle 8 e trovare un viso amico. Le iscrizioni sono aperte in qualsiasi momento dell’anno, mentre le scuole pubbliche a settembre chiudono le iscrizioni. I genitori hanno la possibilità di pagare le tasse scolastiche in più rate, e con tempi molto meno rigidi di quelli richiesti dalle scuole pubbliche. Si tratta quindi di servizi preziosi che queste scuole rendono alla comunità. La scuola pubblica non è in grado, per ora, di assorbire fisicamente i bambini migranti. Non ci sono spazi, non ci sono insegnanti. Per questo l’autorità centrale è disposta a sostenere scuole che non raggiungono neanche minimamente gli standard educativi delle scuole pubbliche. «Se gli imprenditori cinesi non si fossero rimboccati le maniche nel prendersi a carico questi bambini», si sente dire a volte negli ambienti benestanti, «sarebbero tutti nelle strade». Ma le strade di Pechino sono popolate di bambini mingong. È impossibile immaginare che, aldilà dei numeri che emergono nelle ricerche, non vi sia, a Pechino, come in Italia, in Europa, e nel continente americano, un numero tristemente imprecisato di bambini invisibili. Gli interventi non strutturati delle forze sociali (progetti internazionali cooperazione, Progetto Speranza…) non fanno che arginare marginalmente un problema che rimane strutturale, all’interno del sistema sociale, e immediatamente contiguo ai cambiamenti economici di un paese che si muove più velocemente di quanto l’osservatore europeo non riesca a percepire. Gli studi di Zhang Xuemei, delle Università e dei centri di ricerca sono ancora pochi e tentative. È necessario che il mondo della ricerca sociale e della pedagogia affronti sistematicamente il problema. In seguito alla recente ricerca di Zhang, e ai tantissimi articoli usciti dopo la sua pubblicazione (nella settimana immediatamente successiva alla pubblicazione dello studio di Zhang, tutti i principali giornali di Pechino hanno dedicato almeno un articolo al tema delle scuole dei bambini migranti): nel mese di settembre 2009 le scuole dei figli dei mingong, i problemi degli insegnanti e delle famiglie migranti sono stati al centro dell’attenzione delle autorità locali. Con l’avvio dell’anno scolastico 2009-10, undici scuole hanno avuto il riconoscimento. Se è vero che non è ancora una soluzione, è certamente un passo verso il cambiamento. Ogni giorno la motorizzazione di Pechino immatricola 1500 automobili. Non sappiamo quanti nuovi bambini entrino a Pechino giornalmente. Negli ultimi anni Pechino ha costruito chilometri e chilometri di strade e sopraelevate per strade e sopraelevate per far circolare le nuove auto. Forse è tempo di pensare alle scuole.
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