Roberto Fanfani: Sviluppo economico e zone rurali in Cina
Questo articolo scritto da Roberto Fanfani, ordinario di Politica economica ed Economia agraria dell’Università di Bologna, è stato pubblicato in “Inchiesta”, 166, ottobre-dicembre 2009, pp. 83-90
Il rapido processo di sviluppo dell’economia e le trasformazioni della società cinese sono al centro dell’attenzione di analisti, politici, e mass media per la crescente influenza che la Cina sta esercitando a livello mondiale. Nonostante questi grandi cambiamenti, rimangono ancora molti aspetti poco conosciuti delle trasformazioni in atto in Cina, non solo per le sue enormi dimensioni – con oltre1,3 miliardi di persone-, ma anche per le scarse informazioni disponibili su una realtà cosi vasta e differenziata come quella rurale, che interessa ancora oggi oltre 880 milioni di persone.
La grande riforma dell’economia cinese avviata oltre trenta anni fa, nel 1978, è alla base di questi cambiamenti che hanno riguardato sia la liberalizzazione degli scambi con l’estero, con l’avvio della politica delle porte aperte (Open door), sia la liberalizzazione dell’agricoltura, con il passaggio dalla gestione collettiva della terra da parte dei villaggi e comuni, a un sistema di gestione familiare (Households Responsabilty System). L’intreccio fra queste riforme è stato alla base del processo di rapido sviluppo economico cinese degli ultimi decenni. Il ruolo giocato dalla riforma dell’agricoltura e delle zone rurali è stato però spesso trascurato, soprattutto riguardo al contributo fornito alla sicurezza alimentare di una popolazione in continua crescita. La riduzione della fame e della malnutrizione, che aveva interessato in passato milioni di persone, ha contribuito alla consistente riduzione della povertà, e assieme hanno contribuito non poco al mantenimento della stabilità sociale dell’intero paese.
Lo scopo di questo lavoro è di mostrare brevemente le caratteristiche del rapido sviluppo economico cinese, dal 1978 fino alla sua nuova posizione nello scenario mondiale degli ultimi anni, ponendo l’attenzione sulle disparità territoriali che si sono venute a creare fra le oltre trenta province e aree metropolitane cinesi e in particolare fra le zone rurali e quelle urbane. Ci soffermeremo, poi, sul ruolo giocato dall’imponente riforma agraria, che non ha precedenti nella storia per la vastità delle superfici e persone interessate, con il definitivo passaggio dalla gestione collettiva della terra a un gran numero di piccole e piccolissime aziende familiari – circa 200 milioni, secondo il Censimento del 2006-. Fornire elementi di maggiore conoscenza sull’immensa realtà della Cina rurale può consentire di comprendere meglio il ruolo dell’agricoltura in termini di sicurezza alimentare del paese più popolato della terra, i risultati ottenuti nella riduzione della povertà presente nelle zone rurali, ma anche la grande influenza sui mercati agricoli e alimentari internazionali e sulle trattative multilaterali ancora in corso all’interno del WTO. Inoltre, si vuole evidenziare la grande rilevanza sociale che ha avuto il processo di riforma agraria e dell’agricoltura, per i suoi collegamenti in parte diretti con le enormi migrazioni interne, che caratterizzano oggi la Cina, con gli spostamenti di un numero enorme di migranti – oltre 130 milioni di persone- fra le diverse province e fra zone rurali e urbane.
Le caratteristiche più specifiche dell’agricoltura cinese saranno approfondite utilizzando i risultati del primo e del secondo censimento generale dell’agricoltura e delle zone rurali, realizzati nel1e 1996 e nel 2006, a cominciare dal ruolo e importanza delle aziende familiari e non, e i cambiamenti intercorsi in un decennio di rapido sviluppo economico e sociale.
Sviluppo economico, disuguaglianza e zone rurali n Cina
Il processo di sviluppo economico cinese degli ultimi trent’anni è stato tale da contribuire in modo significativo, assieme ad altri grandi paesi emergenti, a cambiare la geografia economica mondiale. La Cina, con un saggio di sviluppo medio annuo di circa il 10% dal 1990 al 2006, secondo le stime della Banca mondiale (World Development Indicators), ha aumentato di oltre tre volte il suo PIL in meno di due decenni e si colloca ora al quarto posto a livello mondiale dopo Stati Uniti Giappone e Germania. La crescita della Cina è stata di gran lunga superiore anche a quelle delle altre due grandi economie dei paesi emergenti come India e Brasile che, sempre nello stesso periodo, hanno aumentato il loro PIL rispettivamente del 150% e 50%. Anche nell’attuale fase di profonda crisi della finanza e dell’economia globale del 2007-2009, i livelli di crescita della Cina mantengono il loro differenziale positivo rispetto a quelli delle economie più sviluppate, e i dati recenti del 2009 confermano il ritorno a livelli di crescita sostenuti di circa l’8% all’anno.
Lo sviluppo cinese degli ultimi decenni è stato in larga parte trainato dalle esportazioni che hanno visto la Cina giocare un ruolo sempre maggiore nel contesto internazionale, con un grado di apertura dell’economia notevole. La somma delle importazioni ed esportazioni, infatti, raggiunge oggi quasi il 70% del valore del PIL cinese e la Cina è passata dal ventisettesimo al terzo posto per importanza delle importazioni più esportazioni sui mercati mondiali, dal periodo di applicazione delle riforme nel 1978 a oggi. Il processo di apertura verso l’esterno si è accentuato proprio nel corso del nuovo millennio e in particolare con l’entrata nel WTO nel 2001, determinando un forte balzo del saldo positivo della bilancia commerciale verso il resto del mondo1.
Il forte sviluppo economico della Cina ha però messo in evidenza un grande cambiamento settoriale e territoriale. In particolare, l’importanza dell’agricoltura alla formazione del PIL cinese è scesa da circa il 30% nel triennio 1978-1980 a poco più dell’11% nel 2007, mentre l’incremento maggiore si è avuto per i servizi, passati da poco più del 22% a oltre il 40% del PIL, sempre nello stesso periodo. L’importanza dell’industria è rimasta elevata e supera il 48% nel 2007.
Nello stesso periodo, e in particolare degli ultimi due decenni, le disparità territoriali fra le trenta grandi provincie e municipalità cinesi, sono andate aumentando a favore delle municipalità di Pechino e Shangai e delle province costiere dell’Est, che ospitano poco più di un terzo della popolazione cinese, ma producono oltre il 55% del PIL e in cui si concentra quasi l’80% degli scambi commerciali con il resto del mondo. Lo sviluppo e i redditi pro capite sono invece molto minori nelle vaste province Centrali e soprattutto in quelle Occidentali. Infatti, il PIL pro-capite, che nel 2007 in Cina è stato in media di quasi 19.000 yuan (circa 2.480 dollari), supera i 32 mila yuan nelle province orientali, oltre il doppio dei 15 mila yuan pro-capite nelle province centrali e dei 13 mila yuan in quelle occidentali, periferiche e montane.
Queste disparità territoriali si sono accentuate con il grande processo di urbanizzazione, che ha interessato oltre 400 milioni di persone negli ultimi trenta anni, determinando un ulteriore aumento delle diseguaglianze, all’interno delle province stesse, fra le zone rurali e quelle urbane, soprattutto a livello delle famiglie. I dati sul reddito familiare disponibile netto sono eloquenti da questo punto di vista, con le famiglie urbane che hanno a disposizione un reddito di circa 14 mila yuan, contro poco più di 4 mila per le famiglie rurali, sempre nel 2007. L’ampliamento di queste differenze è reso evidente dall’andamento dei consumi delle famiglie urbane che sono passati da 2 volte e mezzo quelli delle famiglie rurali, verso la metà degli anni ottanta, a circa 3 volte e mezzo ai giorni nostri.
La presenza di queste forti disparità strutturali, territoriali e zonali ha riportato l’attenzione anche sul problema della sicurezza alimentare e sul contributo dell’agricoltura e delle zone rurali allo sviluppo economico complessivo della Cina. I forti aumenti, soprattutto negli anni novanta, sia della produzione agricola sia dei consumi alimentari, hanno fatto diventare la Cina uno dei principali paesi produttori e consumatori di prodotti agricoli e alimentari del mondo. La Cina è difatti oggi la più grande produttrice e consumatrice di carni suine, di pollame e di uova, ma anche di grandi commodities agricole e in particolare di riso e di grano. Inoltre, si assiste a una forte espansione delle produzioni e consumo di frutta e vegetali -fra cui patate, pomodori, asparagi e agli – di cui il Paese è il leader mondiale.
Nel corso del nuovo millennio, e soprattutto dopo l’entrata nel WTO nel 2001, la Cina ha però mostrato cambiamenti significativi, passando da una sostanziale autosufficienza alimentare, e quindi da essere esportatrice a importatrice netta di prodotti agroalimentari. L’aumento delle importazioni di commodities agricole, ha riguardato in particolare la soia e il cotone, ed è stata determinata in larga parte dalla riduzione delle tariffe su questi prodotti, e solo in parte è stata compensata dalle maggiori esportazioni, soprattutto di prodotti alimentari trasformati e di vegetali freschi. Il peggioramento della bilancia commerciale agroalimentare, contrasta però come abbiamo detto, con la crescita senza precedenti del saldo attivo della bilancia commerciale per i prodotti manufatti, verificatosi, come abbiamo detto, dopo l’ingresso nel WTO.2
La Cina rurale alla luce dei Censimenti del 1996 e 2006
La conoscenza della Cina rurale, e in particolare dell’agricoltura è stata, e ancora è, incompleta e frammentata, sia per la vastità del territorio in esame e per le sue diverse realtà, che nel corso degli ultimi decenni hanno subito trasformazioni veramente epocali. Basti ricordare, infatti, che nel 1949 l’agricoltura cinese era ancora caratterizzata da una struttura prevalentemente feudale, e che dagli anni cinquanta fino ai settanta la gestione e conduzione della terra ha visto prima il diffondersi delle cooperative e successivamente lo sviluppo delle gestioni collettive basate sulle “comuni” e sui villaggi. Dal 1978, la riforma dell’agricoltura è stata profonda, con l’affidamento della gestione della terra alle famiglie rurali, mentre la proprietà della terra è rimasta ai villaggi, alle Città o allo Stato. L’attuazione di questa riforma ha interessato la quasi totalità della terra coltivabile, portando alla creazione di quasi 200 milioni di piccolissime aziende familiari, suddivisione che ancora oggi caratterizza la gestione della terra nell’agricoltura cinese3.
I Censimenti dell’agricoltura e delle zone rurali in Cina, il primo del 1996 e il secondo del 2006 -si tratta delle più grandi indagini statistiche mai effettuate al mondo- hanno fornito un contributo importante alla conoscenza della realtà economica e sociale della parte ancora predominante di un paese. Infatti, i censimenti hanno preso in considerazione non solo l’agricoltura e le sue tipologie aziendali, ma anche le imprese non agricole, pubbliche e private, e fornendo anche informazioni sulle condizioni di vita, educazione e mobilità di gran parte della popolazione cinese. La realtà della Cina rurale che emerge mette in evidenza il significativo aumento delle aziende familiari (agricole e non agricole) verificatosi nel decennio 1996-2006, , che hanno superato i 225 milioni. Di queste, oltre 200 milioni sono le aziende agricole familiari, il cui aumento è stato del 3,7% rispetto ai 193 milioni del 1996. A queste aziende si affiancano oltre 395 mila imprese agricole (non familiari) che fanno capo ai villaggi, alle città, allo stato e in misura minore anche ai privati.
Nel complesso le aziende agricole familiari gestiscono circa 122 milioni di terra arabile, e presentano quindi una dimensione media molto modesta, che supera di poco il mezzo ettaro ognuna, circa 8 mu in misura cinese, simile alla pertica della pianura padana. All’aumento del numero delle aziende si è però accompagnata una forte riduzione della popolazione censita delle zone rurali, passata da circa 874 milioni a poco più di 745 milioni residenti in modo permanente (per più di sei mesi all’anno), dal 1996 al 2006, con una riduzione di ben 128 milioni, pari a circa il 15% del totale.
L’evoluzione delle principali tipologie aziendali dell’agricoltura cinese ha evidenziato, inoltre, come fra le aziende agricole familiari sia diminuita l’importanza di quelle “pure” i cui familiari lavorano esclusivamente nell’azienda, passate dal 58% nel 1996 a poco più del 51% nel 2006 mentre, di pari passo, sono aumentate le aziende con familiari che lavorano in attività non agricole. Il ruolo rilevante di aziende part-time sottolinea e conferma ancora di più il contributo dell’agricoltura allo sviluppo delle altre attività produttive, sia delle zone rurali che soprattutto nelle zone urbane delle grandi municipalità e delle province orientali.
Un particolare, per molti aspetti nuovo, emerso dal censimento del 2006, riguarda il fatto che fra il lavoratori agricoli permanenti comincia a diventare sempre più marcato il processo di invecchiamento, con circa un terzo dei lavoratori di età superiore ai 50 anni di età, conseguenza delle migrazioni dei lavoratori più giovani verso altre attività nelle città, e per la politica demografica del figlio unico attuata in Cina negli ultimi decenni.
Le piccole e piccolissime aziende agricole familiari in Cina
Un aspetto importante per approfondire la conoscenza della realtà dell’agricoltura cinese riguarda le caratteristiche delle aziende familiari cinesi. Le loro dimensioni medie, come sottolineato in precedenza, sono risultate molto modeste, appena 8 mu secondo il censimento del 2006, ma occorre sottolineare che queste dimensioni sono ulteriormente diminuite, rispetto ai 10 mu del 1996, per effetto sia dell’aumento del loro numero, ma anche per la riduzione della superficie agricola coltivata da loro occupata, passata da circa 130 milioni a poco più di 122 milioni, sempre nello stesso periodo.
La distribuzione delle aziende agricole, per classe di ampiezza, mostra come la stragrande maggioranza delle aziende sia di dimensioni molto piccole. Con riferimento ai dati del 1996, ma la situazione non è sostanzialmente cambiata negli anni più recenti, più del 30% delle aziende agricole cinesi aveva meno di 3 mu, mentre più del 53% delle aziende era tra i 3 ed i 9 mu. Da rilevare, inoltre, che la dimensione è in media molto più piccola proprio per quelle aziende i cui familiari lavorano prevalentemente in attività non agricole e quindi fuori dall’azienda (circa il 49% ha meno di 3 mu). La piccola dimensione delle aziende prevalentemente part-time può quindi avere giocato un ruolo rilevante nella ricerca del lavoro fuori dall’attività agricola da parte dei familiari maschi. Allo stesso tempo però, questo risultato può essere stato determinato anche dall’eventuale riallocazione della terra ad aziende, con prevalente lavoro extra aziendale, compiuta dai singoli villaggi, che sono i depositari della proprietà della terra. In questo caso l’assegnazione di appezzamenti di terra più piccoli può essere visto come una forma di garanzia o di assicurazione che il villaggio fornisce ai lavoratori migranti e ai loro familiari, di cui parleremo fra poco.
La generalizzata presenza delle aziende familiari di piccole e piccolissime dimensioni rileva anche il ruolo sociale che ha assunto la riforma agraria attuata dal 1978, anche se il passaggio dalla gestione collettiva della terra a quella familiare ha determinato anche notevoli effetti economici, che hanno riguardato in particolare l’aumento della produzione agricola complessiva e il mantenimento di livelli consistenti di autoconsumo delle famiglie rurali. La presenza e vasta diffusione degli allevamenti nelle aziende familiari conferma il ruolo giocato dalla riforma agraria nella riduzione della fame e malnutrizione, e quindi anche della povertà nelle zone rurali. Basti pensare che all’allevamento degli oltre 335 milioni di capi suini e degli oltre 2,6 miliardi di pollame, censiti nel 2006, siano interessate dai 130 ai 140 milioni di aziende familiari.
Una trasformazione importante in atto nell’agricoltura cinese riguarda, però, il ruolo sempre maggiore che stanno assumendo aziende agricole non familiari, gestite dallo Stato, dalle città e villaggi, dalle cooperative e dai privati. Infatti, negli ultimi anni lo sviluppo delle produzioni zootecniche, suinicole e avicole in particolare, si sta concentrato negli allevamenti intensivi di maggiori dimensioni gestiti in forma collettiva dai villaggi, città o cooperative. Le aziende non familiari hanno una grande rilevanza anche e soprattutto negli allevamenti di pesci, che costituiscono sempre più una un alimento fondamentale della dieta alimentare cinese. Le aziende non familiari, a gestione prevalentemente collettiva, si stanno quindi sempre più dirigendo verso produzioni che riguardano i crescenti fabbisogni proteici dell’alimentazione cinese, e in particolare delle popolazioni delle zone urbane.
L’imponente fenomeno delle migrazioni interne: fra zone rurali e urbane
Per comprendere appieno la situazione oggi presente nelle zone rurali cinesi bisogna guardare al numero enorme dei migranti e i loro spostamenti. Infatti, a fronte di un numero complessivo di lavoratori presenti nelle zone rurali che supera i 531 milioni, di cui 479 milioni occupati (70% in attività agricole, 16% in industria e 14% nei servizi), i lavoratori migranti dalle zone rurali superano i 131 milioni. I migranti sono quindi quasi il 10% della popolazione totale cinese, circa il 15% dell’intera popolazione presente nelle zone rurali e raggiungono quasi un quarto del numero complessivo dei lavoratori.
Le caratteristiche salienti dei migranti sono particolarmente interessanti. Infatti, i due terzi dei migranti sono maschi e un terzo sono femmine, e ancora i due terzi appartengono alle classi di età più giovani fra 20-40 anni, ma con prevalenza di quelli fra 20-30 anni. Gli spostamenti sono anch’essi notevoli e avvengono anche a lunghissima distanza, con quasi il 50% dei migranti che lavora in una provincia diversa da quella di residenza. Anche i periodi di lavoro fuori provincia di residenza sono periodi particolarmente lunghi che superano spesso i sette e i dieci mesi l’anno. Il fenomeno delle migrazioni è caratterizzato anche dal fatto che quasi il 60 % dei migranti si sposta per lavorare in attività industriali, compresa l’edilizia, mentre il resto verso attività terziarie, dove maggiore è la presenza di donne.
La ricerca di un lavoro extra agricolo da parte di molti familiari delle piccolissime aziende agricole cinesi, ha contributo non poco ad amplificare questo grande movimento migratorio della popolazione dalle campagne verso le aree urbane. Il mantenimento da parte dei migranti di un legame con la gestione delle aziende part-time e con il villaggio ha però fornito un elemento di sicurezza sociale ed economica, con una funzione di “ammortizzatore sociale”, specialmente evidente negli anni più recenti (2007-2008) quando la perdita di posti di lavoro causati dalla recessione ha visto milioni di lavoratori –circa 28 milioni secondo alcune stime- tornare presso le loro aziende agricole, gestite nel frattempo dalle donne.
E’ bene ricordare come lo spostamento di questo enorme numero di lavoratori migranti dalle zone rurali a quelle urbane e industriali, registrato nel 2006, si aggiunge al profondo cambiamento strutturale che ha portato negli ultimi due decenni al concentrarsi di tutto l’aumento demografico cinese -circa 400 milioni di persone- nelle zone urbane.
Politiche recenti e prospettive
I grandi processi di urbanizzazione e la presenza di forti migrazioni interne, che stanno accompagnando lo sviluppo economico cinese, saranno influenzati in maniera decisiva dalle trasformazioni che subiranno le piccolissime aziende agricole familiari, e dalla riduzione della gran parte della manodopera agricola presente in Cina, che supera ancora oggi circa il 40% dell’occupazione totale, con valori attorno al 70% nelle zone rurali. I modi di questi trasferimenti e migrazioni, se interesseranno sempre di più intere famiglie e non solo i singoli membri, influiranno in modo profondo anche sui cambiamenti strutturali dell’agricoltura e della gestione della terra, consentendo il superamento delle dimensioni piccole e piccolissime e della frammentazione che caratterizza ancora oggi le aziende agricole familiari cinesi. Da questo punto di vista assumono una particolare importanza le riforme avviate di recente, nel 2001 (Water law) e soprattutto nel 2002 (Rural land contracting law) relative alla regolamentazione dei diritti di “gestione” della terra da parte delle famiglie agricole, con la possibilità di dare in affitto la terra o commercializzare i diritti di gestione stessi. La proprietà della terra rimane dei villaggi, ma restano ancora da trovare soluzione adeguate ai problemi di arbitraggio nella redistribuzione delle terre che progressivamente sono lasciate libere dalle famiglie. La possibilità di concedere la terra in affitto è comunque un importante passo avanti per superare uno dei principali problemi dell’agricoltura cinese, che riguarda le piccole e piccolissime dimensioni delle aziende agricole familiari, cui si aggiunge spesso un elevato grado di frammentazione in piccoli appezzamenti delle stesse aziende.
Nel 2008, in occasione del trentennale della riforma agraria, nuovi cambiamenti sono stati decisi per lo sviluppo delle zone rurali e dell’agricoltura: il programma prevede anche il raddoppio dei redditi nelle zone rurali nel 2010 e la difesa della terra arabile dallo sviluppo urbano e industriale, mantenendo un limite inferiore di 120 milioni di ettari, rispetto agli attuali 130 milioni. Il maggiore e rinnovato interesse per lo sviluppo delle zone rurali è testimoniato anche dal “pacchetto” di misure anti recessione nel 2009, di oltre 586 miliardi di dollari, di cui una parte importante per le costruzioni in infrastrutture e in particolare strade e reti per la distribuzione del metano e dell’acqua, con maggiori sforzi anche per la lotta alla povertà nelle zone rurali.
Un aspetto importante delle politiche recenti a favore dell’agricoltura e delle zone rurali riguarda le misure per le aziende agricole familiari, che prevedono una più lunga scadenza dei contratti di gestione della terra e maggiori facilitazioni per affittare o trasferire i diritti di gestione acquisiti. Queste misure dovrebbero agevolare e stimolare il trasferimento delle famiglie dalle zone rurali e permettere una migliore allocazione della terra.
La possibilità di ampliare le dimensioni delle aziende agricole rappresenta per il futuro una grande trasformazione, contribuendo al miglioramento dei redditi degli agricoltori, che costituisce uno dei principali obiettivi attuali della politica agricola cinese, diventando uno strumento per ostacolare la crescita delle diseguaglianze fra le zone rurali e urbane. L’aumento delle dimensioni delle aziende familiari agricole dovrebbe portare inoltre a maggiori livelli di produttività e di efficienza e avviare quel processo di ammodernamento e introduzione della meccanizzazione e innovazione tecnologica che per il momento è circoscritta a realtà ancora limitate.
L’attuazione della riforma agraria, accompagnata dalla progressiva liberalizzazione dei prezzi agricoli di mercato, anche con l’introduzione di sussidi e finanziamenti per i mezzi tecnici, ha consentito l’incremento della produzione agricola di circa il 6% annuo, negli ultimi vent’anni, e l’abbandono del razionamento alimentare nelle zone urbane. Nel corso degli anni novanta alcune misure per lo sviluppo delle zone rurali hanno visto l’eliminazione delle tasse all’agricoltura, ma anche l’introduzione di politiche agricole simili a quelle attuate anche negli Stati Uniti e nell’Unione europea, come il sostegno dei prezzi agricoli, quello diretto dei redditi agli agricoltori, e quello all’introduzione di mezzi tecnici e alle politiche di sviluppo rurale.
L’andamento delle produzioni agricole ha poi permesso di soddisfare e assecondare i cambiamenti profondi dei consumi alimentari delle famiglie cinesi. I consumi delle famiglie urbane e di quelle rurali, pur con profonde differenze nei livelli di spesa e nei modelli di consumo, si scostano ancora sostanzialmente da quelli dei Paesi più sviluppati, soprattutto per la maggiore importanza delle produzioni vegetali (frutta e verdura in particolare) e del pesce, che costituiscono una delle fonti proteiche principali nella dieta cinese, soprattutto delle famiglie urbane, mentre minori sono i livelli di consumi pro capite di carne, fra cui predomina ancoraquella suina. L’evoluzione della produzione agricola cinese per soddisfare i maggiori consumi si sta orientando verso prodotti sempre più trasformati e a maggior valore aggiunto, anche in considerazione delle enormi distanze che spesso esistono fra le zone di produzione e quelle di consumo.
La possibilità di mantenere anche in futuro la sicurezza alimentare nel Paese deve però fare i conti, non solo col cambiamento nello scenario internazionale, e con l’aumento dei consumi, ma anche con importanti cambiamenti strutturali che interesseranno tutta la catena alimentare. Il problema alimentare in Cina si ricollega sempre più strettamente alla rilevanza che assumono le carenze organizzative e di gestione dell’intera catena alimentare e delle sue componenti e delle diverse filiere. Infatti, alla necessità di aggregare dell’offerta della produzione agricola, determinata dalla presenza milioni di piccolissime aziende abbiamo, si aggiunge quella di una più efficiente organizzazione dei sistemi di distribuzione, che allo stato attuale, risultano anch’essi frammentati con la presenza di numerosi operatori, privati e pubblici, e una molteplici passaggi prima di raggiungere le imprese di trasformazione e i mercati di consumo. La concentrazione di milioni di persone nelle zone urbane richiede, inoltre, la disponibilità di sistemi logistici e di distribuzione sempre più efficienti, che consentano di limitare al massimo le perdite e gli sprechi che spesso si hanno lungo la catena alimentare.
In un paese vasto come la Cina, oltre all’aumento della produzione agricola, a cui sono state rivolte le maggiori attenzioni da parte delle politiche nei decenni precedenti, occorrerà perseguire nuove strategie, che tengano conto della presenza di diverse filiere produttive e di aree di specializzazione e concentrazione della produzione agricola. In particolare, occorrerà dare tecnologie e interventi per affrontare i problemi della conservazione, della trasformazione, del trasporto e della distribuzione dei prodotti agricoli e alimentari.
Negli ultimi anni in Cina, oltre alla disponibilità di cibo e sicurezza alimentare, sono venuti alla ribalta i problemi della salubrità (condizioni igienico-sanitarie, residui, etc,) e della qualità degli alimenti da destinare sia alla domanda interna che all’esportazione. La necessità di avere alimenti con elevati standard di sicurezza è stata, infatti, evidenziata recentemente dalle crisi dell’influenza aviaria e del latte in polvere per neonati contaminato con la melamina, che hanno provocato morti e danni enormi ai settori produttivi interessati. La necessità di avere prodotti alimentari di maggiore qualità interessa, invece, già oggi importanti fasce di consumatori delle aree urbane, a maggiore reddito disponibile, ma è importante anche per sostenere le esportazioni e la concorrenza sui mercati internazionali.
La sicurezza alimentare nel Paese, inteso come possibilità per tutti gli individui di procurarsi il cibo necessario per soddisfare i propri bisogni alimentari4 , deve però ancora fare i conti con la limitatezza delle risorse disponibili, in particolare per quanto riguarda la terra e l’acqua. La disponibilità di terra, infatti, è molto limitata se si considera la popolazione cinese, mentre lo sfruttamento della terra hanno raggiunto livelli elevati, con rese già alte per molte produzioni agricole e l’attuazione di più coltivazioni sullo stesso terreno. Inoltre, la Cina ha uno dei più elevati rapporti fra terra coltivata e quella irrigata, quasi il 50%, che pone, oggi, vincoli molto stringenti per l’utilizzazione dell’acqua. La ricerca di accordi bilaterali e contratti di gestione della terra all’estero, di cui abbiamo parlato, si ricollega anche alla scarsa disponibilità di risorse della Cina. La sempre maggiore concorrenza che si sta esercitando nell’utilizzazione della terra e dell’acqua, tra le attività agricole, quelle industriali e quelle civili, richiederà una maggiore attenzione alla loro utilizzazione e all’adozione di pratiche produttive più sostenibili, che consentano di mantenere queste risorse per lo sviluppo futuro della Cina.
Bibliografia
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Cina: Numero di residenti permanenti e aziende familiari e agricole nelle zone rurali nel 1996 e 2006 (milioni) |
||
|
1996 |
2006 |
Residenti permanenti rurali |
873,8 |
745,8 |
Aziende familiari rurali |
220,6 |
221,1 |
– Aziende familiari agricole |
193,5 |
200,1 |
Fonte: Secondo Censimento Nazionale dell’agricoltura 2006, China Statistics Press, Beijing 2009 |
CINA: numero dei lavoratori e dei migranti presenti nelle zone rurali (2006) |
|||||
|
Totale |
East |
Central |
West |
North-east |
Numero di lavoratori (Milioni) |
531,0 |
198,3 |
145,8 |
151,4 |
35,5 |
% lavoratori |
100,0 |
37,3 |
27,5 |
28,5 |
6,7 |
Numero migranti (Milioni) |
131,8 |
38,5 |
49,2 |
40,3 |
3,8 |
% migranti |
100,0 |
29,2 |
37,3 |
30,6 |
2,0 |
Migranti /Lavoratori (%) |
24,8 |
19,4 |
33.7 |
26,6 |
10,7 |
Fonte: Secondo Censimento Nazionale dell’agricoltura 2006, China Statistics Press, Beijing 2009 |
CINA: lavoratori agricoli nelle aziende familiari e migranti nelle zone rurali (2006) |
||
|
Lavoratori agricoli |
Migranti |
Numero (Milioni) |
342,5 |
131,8 |
|
Composizione (%) |
|
genere: – Maschi |
46,8 |
64.0 |
– Femmine |
53,2 |
36,0 |
classi di età (%) |
|
|
< 20 anni |
5,3 |
16.1 |
21-30 anni |
14,9 |
36,5 |
31-40 anni |
24,2 |
29.5 |
41-50 anni |
23,1 |
12,8 |
>51 anni |
32,5 |
5.1 |
livello di istruzione (%) |
|
|
Senza istruzione |
9,5 |
1,2 |
Scuola primaria |
41,1 |
18.7 |
Scuola media |
45,1 |
70,1 |
Scuola superiore |
4,1 |
8.7 |
College e superiore |
0,2 |
1,3 |
Fonte: Secondo Censimento Nazionale dell’agricoltura 2006, China Statistics Press, Beijing 2009 |
1 Il saldo della bilancia commerciale Cinese è cresciuto in modo esponenziale dopo l’ingresso nel WTO, ma il suo valore è stato stimato nel 2007 dalle statistiche cinesi in oltre 300 miliardi di dollari, ma questo non comprende gli scambi verso Hong Kong, che poi vengono re-esportati, prevalentemente verso gli USA. Stime più che doppie di questo surplus (oltre 650 miliardi) sono realizzate utilizzando i deficit che i principali paesi hanno verso la Cina, secondo i dati del FMI.
2 Recentemente anche la Cina ha stipulato accordi per lo sviluppo e la cooperazione, sia con i Paesi asiatici e con numerosi Paesi Africani e dell’America latina, rivolti a gestire vaste estensioni di terra, in modo da assicurare la disponibilità di materie prime e commodities agricole necessarie per il fabbisogno alimentare del paese. L’ampliamento degli accordi bilaterali rientra in una tendenza verso la regionalizzazione dei commerci internazionali, anche in seguito allo stallo degli accordi in seno al WTO, iniziati nel 2001 e non ancora conclusi.
3 La riforma agraria in Cina è iniziata nel1978 dalla provincia di Anhui (nella Cina centro occidentale) con la parcellizzazione, da parte dei contadini, della terra di una comune, a cui seguirono altri esempi. Lo smantellamento formale delle comuni agricole nella gestione della terra da parte dei villaggi è avvenuto nel 1984.
4 Vedi dichiarazione espressa nel corso del World Food Summit del 1996, disponibile al seguente indirizzo http://www.fao.org/wfs/index_en.htm
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