Flora Sapio: Innovare la gestione della società cinese
Questo articolo di Flora Sapio, Hong Kong Chinese University, è stato pubblicato in “Inchiesta” 177, luglio-settembre 2012, pp. 70-74
Il sintagma ‘innovazione della gestione della società’ (shehui guanli chuangxin 社会管理创新) è da poco diventato una delle parole d’ordine della politica cinese. Esso fa riferimento all’introduzione di varie forme di partenariato tra pubblico e privato nella pubblica amministrazione, nonché a una nuova politica per l’ordine pubblico. Se questo tipo di partenariato è generalmente visto con favore in virtù degli spazi di autonomia che aprirebbe alla società cinese, più sfumate sono le valutazioni riguardanti la politica di ordine pubblico. Eppure come si spiegherà in quest’articolo, in realtà, non esiste alcuna incoerenza tra queste innovazioni nei rapporti tra Stato e società e le nuove politiche di ordine pubblico. Di fatto si tratta di due diversi lati della macchina di governo.
L’innovazione della gestione della società contiene delle contraddizioni e difficoltà di fondo. Alcune sono proprie della politica e del diritto cinesi, ed attengono al tentativo di risolvere una serie di tensioni sociali mediante ricette simili a quelle che tanto nel contesto europeo quanto in quello statunitense hanno generato tensioni sociali. Altre riguardano le idee utilizzate per comprendere e valutare i cambiamenti in corso nella pubblica amministrazione cinese. Proprio su queste contraddizioni ci si soffermerà dopo aver illustrato la nascita ed i contenuti della politica di innovazione della gestione della società. Questa breve nota critica non intende fornire soluzioni – questo non può essere certamente il compito di una sola mente – quanto sollevare interrogativi che altri potranno cogliere e sviluppare.
Riformare la pubblica amministrazione.
Tutto è iniziato nel settembre 2004, quando il Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese ha emanato la ‘Decisione sul rafforzamento della costruzione della capacità di governo del Partito’ (Zhonggong Zhongyang guanyu jiaqiang Dang de zhizheng nengli jianshe de jueding 中共中央关于加强党的执政能力建设的决定), ponendo l’obiettivo di riformare il sistema dei servizi pubblici e previdenziale inclusi i sistemi di assicurazione sanitaria, assistenza pubblica, e beneficenza. La riforma dei servizi pubblici ha richiesto un cambiamento nel ruolo delle organizzazioni di massa (shetuan 社团) e professionali (hangye zuzhi 行业组织), delle imprese private e dei governi di base.
Nate in funzione corporativistica, le organizzazioni di massa hanno cominciato allora a fornire una gamma di servizi pubblici e previdenziali che lo Stato non era in grado di erogare, sia per carenze strutturali retaggio del socialismo che per problemi di bilancio. L’obbiettivo era quello di fare in modo che la societarizzazione, l’esternalizzazione e la privatizzazione di tutti quei servizi un tempo forniti da entità pubbliche sgravassero i governi locali, liberandoli da mansioni cui non erano più in grado di far fronte, lasciandoli liberi di occuparsi della mediazione e della risoluzione delle controversie tra Stato e cittadini.
Secondo la Decisione del 2004, la riforma della pubblica amministrazione, guidata dai comitati di Partito e attuata dallo Stato, avrebbe dovuto portare ad un maggior ruolo per la ‘società’. In quest’ottica le organizzazioni non governative venivano incaricate di canalizzare l’opinione pubblica e normalizzare i comportamenti dei cittadini per conto dello Stato-Partito, in parziale sovrapposizione con le funzioni della pubblica sicurezza. Questi compiti rappresentavano tuttavia una componente secondaria della riforma, che, prima della sua inclusione nel Dodicesimo piano quinquennale (2011-2015), non faceva esplicito riferimento all’ambito della pubblica sicurezza.
La pubblica sicurezza, infatti, assurge alla medesima importanza della riforma della pubblica amministrazione solamente due anni più tardi, nel 2007. [1] Nel momento in cui lo Stato diviene arbitro di relazioni sociali ed economiche governate dal Contratto, esso si sente libero di gestire i flussi migratori (interni e non), rispondere alle emergenze, mantenere l’ordine pubblico, garantire la sicurezza sul lavoro, vigilare sulle sofisticazioni alimentari, controllare la criminalità, i tentativi di secessione, infiltrazione, spionaggio e rovesciamento del sistema politico. Ed è proprio in questo momento che, come scrive Susan Trevaskes, il centro di gravità dei conflitti sul governo dello Stato si estende dal terreno dell’economia a quello della pubblica sicurezza. [2]
Mantenere la stabilità.
La crescente importanza della pubblica sicurezza va ricercata negli effetti indotti, a partire dal 1992, dall’attuazione di politiche economiche essenzialmente neo-liberiste in assenza di una rete di protezione sociale. Diseguaglianze nella distribuzione della ricchezza, abbinate alla difficoltà o all’impossibilità di accedere ad una serie di servizi un tempo gratuiti, hanno dato luogo ad estese proteste sia individuali che collettive, sia pacifiche che violente.
Secondo una ben nota frase di Deng Xiaoping 邓小平, ‘arricchirsi è glorioso’. La performance della politica è quindi valutata sulla base di indicatori di crescita economica, e l’individuo, ormai libero dalle oppressioni del socialismo, è riconosciuto come artefice del proprio destino. Ma che dire di chi vede la propria casa demolita per far posto ad una ferrovia, una diga o un campo da golf? Vi sono poi i casi di quanti sono costretti a respirare polveri sottili, o utilizzare acque inquinate da scarichi industriali. Vi è chi può permettersi l’acquisto di costose cure mediche solo per divenire vittima di malasanità. Queste e simili altre preoccupazioni sono di esclusiva competenza del singolo individuo, ormai affrancato dalle costrizioni di un’ideologia e di una politica collettivista. Lo Stato invece si assume la responsabilità di regolamentare i settori dell’edilizia, dell’ambiente, della sanità e così via.
Ciò che il diritto chiede a chi lavora per massimizzare il proprio profitto, e quindi contribuisce al benessere della società, è né più né meno che accettare una riduzione del profitto per evitare mali il cui verificarsi non è certo. Ad esempio, sostenere maggiori costi per ridurre le emissioni di polveri sottili evitando l’aumento dei tumori – ove l’aumento dei tumori potrebbe ben dipendere solo e soltanto dal fumo è scelta inaccettabile tanto per chi governa – ed è quindi valutato sulla base dei risultati prodotti – che per chi investe. Quanto davvero conta il diritto e quanto sono importanti i codici di autoregolamentazione delle imprese se pongono richieste moralmente illegittime alla luce di questa etica? Quanto è vera la promessa di libertà del mercato, se le migliori opportunità sono colte da un’oligarchia tecnocratico-economica?
Tali sono la logica, la retorica, le tensioni della politica e del diritto.
In questo contesto, le proteste possono essere lette come espressione di angoscia per l’incapacità di attuare le proprie scelte di vita nell’ambito di esistenza comunitaria proposta dall’élite. Tale angoscia diviene un problema di ordine pubblico: la protesta, soprattutto se depoliticizzata, si rivolge al potere rendendo evidente la sua impotenza. Essa evidenzia la sostanziale inettitudine di un’élite che dietro la promessa di un sempre maggiore benessere, attua scelte di governo che generano sofferenza sociale. Il rientro delle proteste non si può ottenere a suon di risarcimenti, attingendo alle già esangui finanze pubbliche. Né è possibile riavvolgere il corso del tempo, tornando ad un passato socialista che pochi sarebbero disposti ad accettare.
Scontro di modelli.
Due sono state le soluzioni proposte per questo dilemma, almeno finora.
Nella municipalità di Chongqing 重庆 negli ultimi anni si era affermato un modello ove massicci investimenti pubblici erano compiuti lì dove era possibile ottenere degli immediati aumenti del reddito e, quindi, dei consumi individuali. Gli investimenti si erano concentrati in progetti di edilizia pubblica, ma anche in iniziative quali la fornitura di pasti gratuiti nelle mense scolastiche, in agevolazioni sull’acquisto della prima casa, o in piani pensionistici pubblici. L’attuazione di queste misure aveva reso possibile il mantenimento della ‘vecchia’ strategia di ordine pubblico, basata sul periodico lancio di campagne anti-crimine volte a reprimere ben precise categorie di reati penali in un tempo minimo. Questo approccio è stato ormai screditato, attraverso la denuncia di violazioni dei diritti umani commesse nell’ambito della lotta alla criminalità organizzata condotta a Chongqing, ed invocando oscure vicende coinvolgenti l’ex segretario di Partito di Chongqing, Bo Xilai 薄熙来, la sua famiglia, l’ex direttore del locale ufficio di pubblica sicurezza Wang Lijun 王立军, ed i loro faccendieri.
Una seconda alternativa è stata trovata nel modello ispirato agli ideali della ‘società armoniosa’ (hexie shehui 和谐社会) propugnati da Hu Jintao 胡锦涛 e Wen Jiabao 温家宝, una modalità di governo che prevedeva una riforma della pubblica amministrazione ampiamente basata su partnership pubblico-private. Accanto ad essa, un maggiore peso era rivestito da politiche di pubblica sicurezza di ampio respiro, volte tanto al controllo della criminalità quanto alla prevenzione, al contenimento ed alla repressione delle più svariate forme di protesta. Adottato non senza opposizioni, tale modello è divenuto dominante il 7 luglio 2011, mediante l’emanazione dell’‘Opinione del Comitato Centrale del Partito e del Consiglio degli Affari di Stato sul rafforzamento e l’innovazione della gestione della società’ (Zhonggong Zhongyang guanyu jiaqiang he chuangxin shehui guanli de yijian 中共中央关国务院关于加强和创新社会管理的意见). Dall’Opinione del 2011 emerge chiararamente che la politica di innovazione della gestione della società possiede quindi due componenti distinte: un modello di governance sociale di stampo neo-liberale, ed un modello di pubblica sicurezza che pone le più avanzate tecnologie al servizio delle vecchie tecniche di controllo sociale.
Non è il caso di concentrarsi sulle declinazioni indigene di un’arte di governo che ha raggiunto diffusione globale. È sufficiente notare come la societarizzazione, la privatizzazione e l’esternalizzazione delle attività produttive pubbliche, ormai in via di attuazione dal 1978, siano state estese alla pubblica amministrazione, e quindi anche al settore previdenziale. La necessità dei partenariati tra pubblico e privato è stata giustificata dai think-tanks cinesi con argomentazioni in larga parte analoghe a quelle adottate in ambito anche europeo – elemento che, tutto sommato, non sorprende, alla luce della cooperazione alla riforma della pubblica amministrazione. Da una prospettiva cinese, l’aspetto realmente innovativo consiste nell’accresciuto e legittimato ruolo delle organizzazioni non governative, delle fondazioni private e delle organizzazioni caritatevoli, che hanno cominciato e continueranno a giocare un ruolo sempre crescente nella fornitura di quei servizi che lo Stato non vuole o non può offrire al pubblico.
Analoghe dinamiche hanno coinvolto la pubblica sicurezza. Nata come strategia di ‘mantenimento della stabilità sociale’ (weiwen 维稳), la riforma della pubblica sicurezza consiste nella creazione di un partenariato tra soggetti pubblici e privati che cooperano nell’ambito della nuova politica di gestione della società. Le metodiche di controllo della popolazione sono state rinnovate mediante l’importazione di tecnologie biometriche, che già adesso rendono possibile la costruzione e la consultazione di una banca dati contenente informazioni dettagliate su ciascuno dei residenti nella Repubblica Popolare. Vanno poi menzionate le tecnologie di controllo dell’intero settore dell’informazione e delle comunicazioni, l’introduzione di tecniche antisommossa, di prevenzione e gestione delle emergenze, il rafforzamento delle organizzazioni di sorveglianza volontarie, la nascita di un settore di polizia privata. Altrettanto importante è la più intensa attività di repressione delle organizzazioni non governative, motivata tanto dalla necessità di instaurare un pieno controllo del settore, quanto dal timore di tentativi di infiltrazione o sovversione.
In morte della politica
Il mutamento dell´arte di governo in Occidente si è prodotto durante l’era Thatcher-Reagan, quando alla politica e al diritto pubblico sono state poste domande senza risposta. Decidere se attuare la svolta nella pubblica amministrazione, ma soprattutto come effettuare, controllare e gestire le partnership tra pubblico e privato, ha posto problemi cruciali per il vivere democratico. Nessuna di queste decisioni è stata compiuta dai cittadini nella piena consapevolezza delle sue motivazioni e probabili conseguenze. Anzi, la questione della responsabilità verso l’elettorato per i fallimenti di un’arte di governo che la comunità non ha scelto, ma si ritrova a subire è diventata sempre più problematica.
Divenendo arbitro della competizione di mercato, lo Stato ha declinato la responsabilità sociale per i costi, i fallimenti e le inefficienze di tali partenariati. Il tutto è poi stato ulteriormente complicato dal fatto che tale Stato non è più un potere autonomo e svincolato da altre entità sovranazionali, con la conseguenza che importanti scelte di governo sono ormai state sottratte alle élite politiche nazionali. Di fatto, il diniego delle responsabilità statali verso i propri cittadini giunge in un contesto ove limitazioni di sovranità monetaria, fiscale, economica provengono da organizzazioni sovranazionali, da istituzioni finanziarie internazionali, da imprese che operano su scala globale.
Il risultato è duplice. Da un lato, i meccanismi elettorali non consentono più ai cittadini di scegliere le grandi linee delle politiche monetarie, fiscali, occupazionali, previdenziali, in quanto, i governi non sono in grado di attuare queste politiche in maniera realmente autonoma. Dall’altro, la comunità è tenuta ad accettare le ricadute negative di scelte che essa non ha compiuto. Ad onta delle forse minori limitazioni di sovranità, la Cina non attua politiche scelte dai propri cittadini. L’innovazione nella gestione della società tenta di rimediare alle tensioni esistenti in Cina utilizzando tecnologie amministrative, legislative e di ordine pubblico che, là ove sono state attuate, hanno generato contestazione e non necessariamente prodotto gli auspicati benefici.
In morte-e-rinascita delle idee
Le poche analisi esistenti dell’innovazione della gestione della società vedono in essa il preludio di un rafforzamento della società civile e dello stato di diritto, ne pongono in rilievo i tratti corporativistici o ne criticano gli aspetti repressivi. [3] Mentre tali analisi erano ancora in corso, il mutamento globale aveva già investito tanto il ruolo e i poteri degli stati nazionali, quanto le forme di azione politica. Le idee che noi usiamo per pensare la politica e il diritto cinese fanno riferimento rispettivamente a ‘cose’ e processi come esistevano prima di tale mutamento, o a ‘forme pure’ del diritto e della politica. Ci si può domandare fino a che punto queste idee svelino i processi in corso, e fino a che punto esse li oscurino, intrappolando il nostro pensiero in ormai classiche contrapposizioni prive di una facile via d’uscita.
Se si può leggere a grandi linee la politica di innovazione nella gestione della società, utopistico è attendersi che la sua componente di partenariato tra pubblico e privato generi mutamenti politici che per sua natura non è in grado di indurre. Fin quando le tecnologie di governo utilizzate in Cina erano direttamente ispirate dal Marxismo-Leninismo, una loro critica poteva essere letta come legittima espressione della credenza nella superiorità di una forma politica su un’altra. Una critica di tecnologie di governo ispirate a modelli liberali, adottate grazie a un’intensa opera di scambi tra noi e la Cina può essere letta in senso analogo? L’uso di idee calibrate su una fase da poco conclusa della nostra storia rende evidenti una serie di dilemmi e di incoerenze. Questi attengono non tanto all’attuazione di scelte di governo in virtù della loro presunta efficacia, quanto piuttosto al nostro modo di pensare la politica ed il diritto, ed al ruolo che, entro più ampie strutture di pensiero, ciascuno di noi gioca nel divenire consapevole di determinate idee, nell’accettarle e nel contribuire alla loro riproduzione.
[1] Comunicato del VI Plenum del XVII Congresso del Partito comunista cinese, Xinhua 新华, 24 ottobre 2007, http://news.xinhuanet.com/newscenter/2007-10/24/content_6938568.htm.
[2] Susan Trevaskes, ‘The Ideology of Law and Order’, in Geremie R. Barmé, Jeremy Goldkorn, Carolyn Cartier e Gloria Davies (a cura di), China Story Yearbook 2012. Red Rising, Red Eclipse, ANU College of Asia & the Pacific, Canberra, 2012, pp. 66-87.
[3] Frank Pieke, ‘The Communist Party and social management in China’, China Information, n. 26, 2012, pp. 149-165; David Kelly, ‘Stability and social governance in China’, East Asia Forum Quarterly, vol. 3, n. 2, 2011.
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