Riccardo Petrella: Abbattere il muro dell’acqua

| 31 Ottobre 2015 | Comments (0)

 

 

ABBATTERE IL MURO DELL’ACQUA per un’iniziativa europea sui diritti umani da parte degli eletti europei, nazionali, regionali e locali.

Una proposta di Riccardo Petrella  dell’IERPE (Institut Européen de Recherche sur la Politique de l’Eau)

 

L’adozione  prossima a Strasburgo di un nuovo rapporto sull’ICE (Iniziativa dei Cittadini Europei) di cui quella sull’acqua (2012-2013) rappresenta l’esempio più significativo, riporta il  dibattito, più che mai  centrale  in questi tempi di devastazione sociale, sulla  questione dell’efficacia o meno  dell’ICE in quanto  strumento di democrazia diretta/partecipativa a livello europeo. Non solo, ma mette in luce la drammaticità della situzione in cui i dominanti  hanno condotto l’Europa avendo demolito i beni e servizi comuni pubblici e la loro funzione coesiva nella prospettiva della giustizia sociale (diritti umani) e della  saggezza ecologica (salvaguardia della vita).

Il presente contributo si struttura in due parti. La prima,  basata  in parte sull’esperienza italiana  – All’origine dell’impasse dell’Europa in materia di diritto all’acqua e dell’acqua bene comune pubblico – cercherà di mostrare che le difficoltà incontrate nell’Unione europea per concretizzare pienamente il riconoscimento e la realizzazione del diritto umano all’acqua ed impedire la mercificazione dell’acqua e la privatizzazione dei servizi idrici non sono attribuibili a dei limiti dello strumento ICE e altri dispositivi procedurali. Essi sono dovuti a fattori squisitamente politici, relativi ai sistemi di valore prevalenti in seno all’UE ed a scelte economiche e sociali precise ad opera delle classi dirigenti.

La seconda parte,  – Il muro dell’acqua  Come abbatterlo – conterrà un’analisi  di come il muro dell’acqua è stato costruito, con quali”materiali”,  perché è cosi solido,  e perché abbiamo bisogno per abbatterlo   di una forte iniziativa dei parlamentari europei, in stretta relazione con i parlamentari nazionali e gli eletti delle regioni e delle altre collettività locali dei 28 Stati membri dell’UE, in alleanza  con i movimenti dei cittadini. Peraltro, quanto scritto sull’acqua vale in pieno per gli altri beni comuni pubblici essenziali ed insostituibili per la vita quali  la terra, le sementi, la salute, l’alloggio, la conoscenza.

 

1. Perché siamo bloccati a livello del diritto all’acqiua e dell’acqua bene comune pubbiico?

Si è cercato di spiegare l’impasse dell’ICE  sull’acqua  ( per esempio, la stragrande maggioranza delle firme è stata raccolta in Germania, Austria, Slovenia ed altri paesi dell’Europa del “Nord”: poche in Italia, in Francia,in UK),  per ragioni dovute a limiti, imperfezioni e lacune istituzionali, organizzative e finanziarie proprie allo strumento ICE.  Nessun dubbio, esse hanno avuto una certa influenza sulla maniera con la quale la Commissione europea ha utilizzato i risultati poco democraticamente,  a suo vantaggio politico.  Il dato politico principale , pero’, come dimostrato anche dal debole dibattito che c’è stato, per volontà deliberata della Commissione europea, sul suo “Piano di salvaguardia delle risorse idriche d’Europa ( (pubblicato nel novembre 2012, detto Water Blueprint e, incontestabilmente  il più importante documento politico sull’acqua dell’UE dopo la Direttiva Quadro Europea sull’acqua del 2000), è che i poteri tecnocratici europei accettono sempre meno l’intervento di meccanismi di democrazia rappresentativa e diretta  nell’esercizio delle loro competenze, politiche e responsabilità. Caso macroscopico, la politica monetaria e finanziaria a livello ed in seno all’UE è stata catturata da un organo sovranazionale – la BCE – politicamente indipendente dalle altre istituzioni europee, Parlamento europeo e parlamenti nazionali  compresi. E’ proprio di questi giorni lo scandaloso colpo di Stato operato dal presidente della Repubblica del Portogallo, sotto pressione da parte della tecnocrazia europea,  di affidare la composizione del nuovo governo alle formazioni politiche che hanno perso le elezioni e non a quelle,di opposizione alle politiche di austerità , da sinistra,  uscite vittoriose e maggioritarie. L’argomento , anticostituzinazle, usato dal presidente del Portogallo, è incredibile:  “ ( è mio dovere di) fare di tutto ciò che è possibile per prevenire l’invio di falsi segnali alle istituzioni finanziarie, agli investitori e ai mercati”.  Altrimenti detto, per l’attuale  presidente del Portogallo , la volontà espressa maggioritariamente  dal popolo non conta nulla. Quel che importa è  rispondere alle attese delle istituzioni finanziarie, degli investitori e dei mercati. La demolizione, già operazta,  della democrazia europea sta in queste parole. Esse  affermano gli stessi principi alla base del TTIP secondo il quale gli investitori hanno il primato sugli Stati.

L’evoluzione in questi ultimi mesi in Italia nel settore dell’acqua  è , al riguardo, significativamente rappresentativa della situazione europea. Mi riferisco alla condanna del sindaco di Bologna da parte della magistratura per aver ordinato di riallacciare l’erogazione dell’acqua a delle famiglie che avevano occupato illegalmente degli edifici pubblici abbandonati; all’adozione di una nuova legge regionale sull’acqua in Sicilia e sua rapida impugnativa da parte del governo; al  grosso dibattito sulla ripubblicizzazione dei servizi idrici a Reggio Emilia dopo un ennesimo giravolta da parte  dei dem locali malgrado gli impegni presi nel passato; alla reprimenda fatta dall’Autorità del Gas, dell’Elettricità e del sistema idrico  nei confronti di un sindaco di un Comune della Sila perché applica delle tariffe troppo  basse rispetto alla tariffa normalizzata imposta dall’Autorità; ai nuovi gravi inquinamenti delle acque nelle regioni meridionali a causa del disfunzionamento , dei non investimenti e della corruzione a proposito dei depuratori e delle scariche illegali (l’Italia ha ricevuto  la terza procedura d’infrazione alla direttiva europea sulle acque reflue, relativa a 41 agglomerati urbani per un totale di circa 900 comuni sparsi in 12 regioni italiane;. A questi, aggiungiamo anche un fatto europeo di grande rilevanza anche per l’Italia , cioè  l’importante risoluzione adottata l’8 settembre scorso dal Parlamento europeo che ribadisce non solo che l’accesso all’acqua è un diritto umano ma che i servizi idrici locali devono essere esclusi dalla sottomissione ai meccanismi del mercato unico europeo. Ebbene cosa  ci dicono questi fatti apparentemente dissociati tra loro?

Con l’impugnazione d’incostituzionalità della nuova legge regionale siciliana nel settore dell’acqua, il governo conferma la tendenza forte, oramai da anni , in seno alle classi dirigenti italiane ed europee di opposizione ad ogni forma di ripubblicizzazione dell’acqua e dei servizi idrici. L’obiettivo dei gruppi dominanti è il consolidamento di un sistema economico idrico europeo  basato su un gruppo di imprese oligopolistiche multi-utilities su scala interregionale ed internazionale,  aperte alla concorrenza sui mercati europei e mondiali, di preferenza quotate in borsa ed attive in reti di partenariato pubblico/privato. Su questa linea  mercantilista e capitalistica finanziaria, sulla quale  si è appiattita la stragrande maggioranza dei ceti politici nostrani e del mondo accademico universitario europeo,  si é imposta la tesi nel 1992-3 dalla Banca Mondiale secondo la quale la migliore gestione integrata delle risorse idriche passa dalla fissazione di un prezzo dell’acqua ai costi di mercato basato sul recupero dei costi totali, compresa la remunerazione del capitale investito (profitto). Cio’ spiega la grande cecità delle classi dirigenti italiane le quali di fronte  al rifiuto massiccio da parte di 27 milioni di Italiani che nel giugno 2011 hanno votato per via referendaria abrogativa contro l’inclusione del profitto nel calcolo della tariffa idrica, hanno deciso di ignorare completamente i risultati del referendum , addirittura pretestando che gli Italiani sono stati ingannati e non hanno capito quel che hanno votato (sic!). Da allora , non hanno ceduto di un centimetro e continuato a non rispettare il voto referendario senza che nessun altro governo dell’UE accenni a un eventuale critica. Fatto scandaloso, unico in Europa: l’Italia è governata, da quatto anni,  da una classe politica in stato evidente d’illegittimità costituzionale. Una classe che, come acccade anche in altri paesi dell’UE,  é altresi in uno stato di llegalità da più di venti anni rispetto alle normative europee nel settore della depurazione. Eppure,  continua a vantarsi di praticare una democrazia efficiente del fare e del disfare.

In effetti, la condanna del sindaco di Bologna per aver considerato suo dovere e suo potere di sindaco di garantire il diritto umano all’acqua potabile ed ai servizi igienici in deroga ad un decreto minesteriale che vieta ogni diritto di accesso ai servizi essenziali di base a coloro che occupano un edificio abbandonato senza autorizzazione , cosi come le critiche rivolte al sindaco che fa pagare bollette basse pur salvaguardando  l’economicità del servizio comunale, ed infine gli slacci sempre più frequenti dell’acqua alle persone e famiglie morose, mostrano una terza caratteristica saliente della cultura politica e delle pratiche sociali attuali in italia ed in Europa in materia d’acqua. I gruppi dominanti non accettono che l’accesso all’acqua sia un diritto umano esente dall’obbligo di pagare un prezzo abbordabile anche per quanto riguarda il minimo vitale (50 litri al giorno per persona). Non accettano più che i costi monetari del diritto all’acqua per  la vita siano coperti dalla collettività tramite la fiscalità. Oggi l’orgoglio di cui vanno fieri i governi europei non è quello di fare a gara per ridurre/eliminare le tasse?  Ma,allora, con quali risorse finanziarie i governi hanno finanziato e finanzieranno le spese pubbliche?  La risposta è stata triplice: primo, tagliando le spese soprattutto quelle sociali; secondo: vendendo ai privati la gestione dei beni e dei servizi pubblici cosi lo Stato  non avrà più bisogno di denaro; terzo:  se lo Stato ha necessità di soldi, si fa prestare del denaro sui mercati di capitale privato indebitandosi fino a quando sarà dichiarato fallimentare. Ricordiamo che 11  Stati membri dell’UE  ( su 27 nel 2010) hanno votato contro la risoluzione dell’ONU del 28 luglio 2010 che ha riconosciuto , per la prima volta nella storia della comunità internazionale, che l’accesso all’acqua potabile ed ai servizi igienico-sanitari è un diritto umano. In tutti gli Stati dell’UE si é affermata, invece,  l’idea che, certo, si puo’ accettare il principio  del diritto all’acqua potabile ma che il diritto è fruibile a condizione che il cittadino-consumatore paghi le bollette dell’acqua. Niente pagamento, niente diritto. Muro totale. Nessun governo o Stato, nessuna istituzione internazionale ha cercato di mettere in dubbio la legittimità del muro: il Consiglio dei diritti umani dell’ONU, allorché nel 2002 approvo’ l’osservazione generale n°15, considerata da tutti la base giuridica principale sulla quale l’ONU ha riconosciuto i ll diritto umano all’acqua,  ha ammesso la condizione del pagamento di un prezzo abbordabile. Lo stesso vale per i promotori dell’ICE diritto all’acqua: per definire  le loro richieste sotto l’etichetta diritto umano hanno parlato di accesso a prezzo abbordabile. Il che ha consentito alla Commissione europea di rispondere che essa ha operato nella direzione di garantire le condizioni d’accessibilità fisica, qualitativa e economica all’acqua potabile di cui il prezzo abbordabile è,  a suo avviso,  una condizione di pregiudiziale importanza. Ecco il muro dell’acqua: si ha il diritto se si paga.

 

2. Il muro dell’acqua. Una proposta per abbatterlo

Il muro dell’acqua è stato costruito negli ultimi venticinque anni. Anche se esistenti da tempo, i “materiali” per l’edificazione del muro sono stati utilizzati a partire dagli anni 1990. Prendiamo , ad esempio il primo “materiale” da cui l’impasto è partito: il principio che un bene è un bene economico, cioè privato, nella concezione di una società capitalista di mercato, se è oggetto di rivalità e di esclusione. Elaborato e proposto da Paul Samuelson nel 1950,  il maggiore esponente delle teorie  economiche del mondo capitalista dopo la seconda guerra mondiale (Premio Nobel per l’economia nel 1970), le teorie sul bene economico  hanno consentito ai gruppi dominanti, profondamente impregnati dalle tesi sulla competitività come motore fondamentale della creazione di ricchezza e dello sviluppo, di iniziare un processo di capovolgimento delle teorie economiche sui diritti umani e dell’economia del welfare. Essi hanno sostenuto che non solo l’acqua ma la grande maggioranza dei beni (e servizi) strumentali alla soddisfazione dei principali diritti umani sociali ed economici sono oggetto di rivalità e di esclusione e, quindi, dei “beni economici” (oggi si dice, di “rilevanza economica”). Cosi, quando le forze ostili all’economia del welfare, all’intervento   dello Stato e  favorevoli alla liberalizzazione dei mercati, alla competitività, alla libertà dei movimenti di capitale, al ritorno a tassi elevati di profitto, conquistarono il potere politico fine anni ’80, la comunità internazionale in preda alle grandi ondate di globalizzazione predatrice affermo’ nel 1992 (Conferenza dell’ONU sulll’acqua a Dublino) che l’acqua doveva essere considerata essenzialmente come un bene economico sottomesso alle logiche dei mercati,  e non più un bene sociale, un bene comune ,una ricchezza collettiva (il cosidetto “terzo principio di Dublino”). Da allora , i dominanti non hanno abbandonato la loro posizione.

Conseguentemente,  il secondo “materiale “ riportato in auge negli stessi  anni fu la tesi che il valore  di un bene (e di un servizio) si definisce e nasce anzitutto nel mercato, dal mercato,ai costi di mercato. Il valore dell’acqua non sta nella sua valenza per la vita, per il diritto  alla vita, nè  unicamente nel valore di uso, ma essenzialmente nel valore di scambio. Senza i meccanismi di scambio ai vari livelli territoriali e la monetarizzaoinne del bilancio idrico dei vari territori e, quindi, senza una buona conoscenza dei costi d’investimento per la salvaguardia delle zone di captaggio delle acque e delle risorse corrsipondenti, per le attiività di produzione dell’acqua potabile,  per la sua messa in rete e distribuzione, per il mantenimento delle infrastrutture ed il miglioramento della qualità delle acque, per la gestione del trattamento delle acque reflue e del loro reciclaggio, non potrebbero essere misurate e valutate in funzione delle strategie d’uso e di scambio alternative. Il diritto all’acqua comporta dei costi notevoli, monetari e non monetari e richiede infrastrutture, competenze e capacità manageriali che solo, si è affermato, organizzazioni private di tipo industriale e commerciale sono in grado di garantire. Monetarizzazione dell’acqua e, in generale, della natura, e privatizzazione dei servizi essenziali per la vita debbono essere lasciate – è stato imposto –  alle logiche  di efficacità e redditività proprie di un’economia ad alto valore tecnologico e finanziario. Di fronte, anche, ai fenomeni di rarefazione crescente delle risorse idriche nella qualità buona per usi umani, aggravati dai disastri ambientali, è stata affermata l’idea che è diventato impossibile per le autorità pubbliche di finanziare i costi crescenti dell’acqua attraverso la fiscalità generale e specifica. Tocca ai “consumatori e agli utenti dei servizi idrici” di coprire i costi  mediante il pagamento di un prezzo abbordabile in funzione dei consumi e delle utenze. Il diritto umano  all’acqua lascia il campo  dei rapporti pubblici d’impegno e di responsabilità tra la comunità (lo Stato, l’Europa, la comunità mondiale ) ed i cittadini,  vincolanti per tutti nel perseguimento  dell’interesse generale, per entrare nel campo delle relazioni contrattuali di tipo privato, mercantile,  tra prestatori di beni e di servizi ed utenti ed utilizzatori in un contesto di concorrenza aperta su tutti i fronti. L’utilità rispettiva degli attori in presenza è diventata la norma di riferimento, altro che i diritti!

 

Per restare invalicabile, il muro ha avuto bisogno di altri ” materiali” di coesione, d’interconnessione, di controllo  specie a livello delle logiche finanziarie .Mi riferisco alla finanziarizzazione dei beni e servizi comuni pubblici in una logica di rendimento competitivo su scala internazionale e mondiale. Da qui i processi di monetarizzazione dei vari corpi idrici, bacini idrografici compresi (water pricing), e degli ecosistemi in generale (nature pricing) e, da pochi anni, di bancarizzazione  dell’acqua  e della natura (“banche dell’acqua”, nature banking…) , cioè un complesso sistema di strumenti finanziari su mercati finanziari specializzati sempre meno sotto  controllo da parte degli Stati e delle autorità pubbliche, e sempre di più sottomessi alla violenza degli attori finanziari più forti e speculativi. La durezza e la moltiplicazione degli slacci e delle ammende in caso di non rimborso dei prestiti ottenuti sui mercati di capitali internazionali ne è la conseguenza immediata più visibile. La manomissione del mondo dei  diritti ad opera delle logiche finanziarie private non è ancora ultimata. Il muro dell’acqua, ora che è giunto alla sua terza fase di compimento ,  quella della finanziarizzazione , dopo le fasi di mercificazione/liberalizzazione e di privatizzazione/decostituzionalizzazione pubblica, è diventato massiccio, mondiale, potente. Gli ultimi  atti di consolidamento  formale della “legittimità e inevitabilità” del muro sono atti provenienti dallo stesso sistema ONU. Penso al documento presentato quest’anno dal nuovo  Rapporteur spécial dell’Onu sul diritto all’acqua, il brasiliano  Léo Heller,  sullo stato dell’accesso all’acqua a costo abbordabile nel mondo. Il rapporto non mette mai in questione il principio dell’obbligo del pagamento di un prezzo, ma analizza e mette a confronto le situazioni e le moltplici forme di “tariffazione sociale” adottate a favore delle popolazioni povere ed in difficoltà socio-economica. Il “rapporteur speciale”  dovrebbe, pero’, ricordarsi che il diritto all’acqua non è una questione di politica sociale a favore dei poveri. Esso fa parte della politica dei  diritti universali.  Penso anche all’adozione solenne, da parte dell’Assemblea speciale dell’ONU riunita a Vienna fine settembre 2015, della nuova Agenda Post-2015 (per i prossimi 15 anni) ed, in particolare degli Obiettivi dello Sviluppo Durevole (dopo gli Obiettivi del Millennio per lo Sviluppo 2000-2015). Stessa conferma: l’accesso all’acqua deve passare attraverso il pagamento di un prezzo  abbordabile.

Il muro deve essere abbattuto. Non è semplice nè si tratta di un’azione di corto periodo perchè, per raggiungere l’obiettivo, sbriciolare i materiali su cui esso è costruito significa far cadere altri elementi fondamentali dell’architettura dell’attuale “casa europea”. Naturalmente, i gruppi dominanti non ci pensano affatto e, per il momento, essi detengono tutte le leve del potere.  A mio parere l’abbattimento resta possibile se una parte decisa  dei rappresentanti  eletti al Parlamento europeo, insieme e con il sostegno di parlamentari nazionali ed eletti regionali e delle collettività locali , conducesse  una serrata “guerriglia costituzionale e politica”  per “salvare la democrazia europea” e ricostituzionalizzare  la società dei diritti e dei beni comuni pubblici  in Europa, partendo dall’acqua. Con il termine “guerriglia”, intendo dire l’importanza che i parlamentari europei, ed i loro colleghi nazionali e “locali” (il mondo degli eletti”) intervengano quotidianamente per modificare le molte (piccole) disposizioni legislative di natura sostanziale, organizzativa, procedurale che hanno condotto alla costruzione del muro e al sistema monetario e finanziario fondato su una ripartizione di competenze, poteri e mezzi a tutto vantaggio delle istituzioni tecnocratiche e che ha messo fuori gioco la democrazia, e demolito lo stato dei diritti.

Un continuo e coordinato lavoro di proposta di modifica  delle disposizioni attuali in materia d’acqua, di sementi  e di agricoltura contadina e sostenibile al servizio dell’alimentazione e non dell’esportazione di prodotti redditizi, cosi come dello stato dei legami tra l’acqua, le strutture industriali agrochimiche e farmaceutiche,la grande distribuzione ed i mercati di consumo della  salute; dell’inutilità allo stato attuale del loro assetto  di istituzioni quali  il Comitato  Economico e Sociale Europeo e del Comitato delle Regioni e dell’inaccettabile importanza assunta, invece, da parte di decine di Comitati, Agenzie e Programmi per l’Innnovazione tecnologica, la gestione dell risorse energetiche, la competitività delle piccole e medie  imprese, i fondi d’investimento a favore delle start up e delle smart cities”, ebbene cio’permetterebbe di realizzare importanti modifiche regolamentari di forma e di sostanza tali da far breccia nel muro e sul resto dell’edificio. I movimenti di cittadini potrebbe collaborare in quanto  “fondi” di  conoscenza , competenze e esperienze innovatrici  “che funzionano”  al servizio non disperso e molecolare di tale o tal’altro parlamentare e/o gruppo ma dell’iniziativa comune.  I cambiamenti strutturali avvengono dopo anni di rivolta, di modifiche delle leggi, delle procedure, delle istituzioni. La rivoluzione ha bisogno d’immaginazione, di utopia e di tante gambe (grandi e piccole). L’esperienza storica ci dice che se alcuni  parlamentari iniziassero la  “guerriglia”,  centinaia  di associazioni di cittadini dell’UE diventerebbero rapidamente le gambe di cui v’è bisogno. “Sharing politics” mi sembra più promettente dell’attuale ed ambigua  “sharing economy”.

 

 

 

 

 

Questa Unione europea deve essere profondamente rivista e modificata.

E’ illusorio credere che da un sistema che, per volontà delle stesse classi politiche dirigenti, ha privatizzato il potere politico, ha dato ai privati tutto il potere economico e ha favorito la crescita dell’ingiustizia e della disuguaglianza sociali, possa nascere una nuova “architettura” politica comunitaria europea (democratica, giusta, cooperativa, solidale, ecologicamente sana, libera). Occorre favorire i processi di concezione e di promozione di una nuova Comunità Europea, partendo a) dallo smantellamento dei principi dell’Unione Economica e Monetaria e dei suoi elementi costitutivi, primo fra tutti l’abolizione dell’indipendenza politica della Banca Centrale Europea e  b)  dalla ricostruzione dei tessuti sociali di volontà e di gioia del vivere insieme europeo costituzionalizzando i beni (e servizi) comuni pubblici che sono alla base di ogni forma di “comunità di vita”, quali l’acqua, la terra, la conoscenza, la  salute. La lotta contro l’appropriazione e l’accumulazione  private della proprietà e del controllo della vita su scala globale e planetaria fa parte dell’opera di ritransformazione del mondo di cui la costruzione di una nuova “comunità di vita europea” dovrebbe esserne un forte motore propulsore.

A tal fine, due proposte di base, l’una a medio termine e la seconda a lungo termine.

In quanto cittadini europei: dobbiamo intensificare e mantenere ferma fino alla fine della presente legislatura europea, la pressione sui parlamentari europei affinché cambino le scelte da loro fatte, in particolare con l’adozione della  la direttiva europea MIFID sui mercati finanziari  europei.  Gli eurodeputati più “disponibili” , con l’appoggio convinto della società civile europea (questa volta realmente unita e cooperativa a livello europeo) dovrebbero mettere in atto un piano parlamentare ‘Salva la democrazie europea”. Il piano dovrebbe mirare ad approvare da parte del PE una serie coerente di “piccole” iniziative legislative di origine parlamentare miranti a modificare diversi dispositivi procedurali di ripartizione dei compiti istituzionali, di aumento dei poteri del Parlamento, di revisione di alcune norme e modalità di azione. Il tutto, per giungere in tre anni a destabilizzare il funzionamento dell’UEM e ridare un minimo di dignità e di forza alla democrazia rappresentativa europea.

 

Secondo. Lanciare una campagna europea di sensibilizzazione e di mobilitazione dei cittadini “Stop Indipendenza BCE. Per una moneta al servizio dei diritti dei cittadini e della giustizia sociale” Proprio perché siamo coscienti che una modifica dei Trattati non potrà essere raggiunta in breve termine, è essenziale e di grande valore politico pedagogico promuovere un lungo percorso di mobilitazione politica e culturale in favore di grandi principi fondatori del vivere insieme tra più di 500 milioni di persone. I cambiamenti strutturali hanno bisogno di tempo ed essere nutriti da forti capacità utopiche e visioni su  ampi orizzonti di vita.

 

Category: Ambiente, Dichiariamo illegale la povertà, Osservatorio internazionale

About Riccardo Petrella: Riccardo Petrella .Presidente dell'Istituto Europeo di Ricerca sulla Politica dell'Acqua a Bruxelles, è professore emerito dell'Università Cattolica di Lovanio (Belgio) dove ha insegnato "mondializzazione". E' promotore dell'Università del Bene Comune a Verona con la quale ha lanciato nel 2012 in Italia insieme a numerose organizzazioni l'iniziativa internazionale "Dichiariamo illegale la povertà - Banning poverty 2018". E' considerato il pioniere dell'acqua pubblica in Europa da cui è nato il movimento dell'Acqua Bene Comune in Italia. Fra i principali esponenti dell'altermondialismo ha creato nel 1991 il Gruppo di Lisbona, il cui rapporto "Limiti alla competitività" è stato tradotto in 12 lingue. Ha insegnato Ecologia umana all'Accademia di Architettura a Mendrisio (Svizzera). Attualmente sta coordinando la campagna "Dichiariamo illegale la povertà", alla quale la rivista «Inchiesta» aderisce attivamente ed è candidato per la Circoscrizione Nord Est per la Lista Un altra Europa per Tsipras.

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