Mario Agostinelli: Guerre infinite e minaccia nucleare

| 30 Aprile 2024 | Comments (0)

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Pubblichiamo in occasione del Primo Maggio questi due post di Mario Agostinelli apparsi sul blog de il fatto quotidiano, con il consenso dell’autore e preceduti da una sua premessa esplicativa.

“Invio due post in sequenza:

https://www.ilfattoquotidiano.it/2024/04/10/zaporizhzhia-come-obiettivo-militare-qual-e-la-situazione-e-cosa-si-rischia-coi-continui-blackout/7508289/  e

https://www.ilfattoquotidiano.it/2024/04/27/le-guerre-in-presenza-di-impianti-nucleari-sono-un-nuovo-rischio-per-la-sicurezza/7522700/

Partendo dagli attacchi alle centrali di Zaporizha e di Isfahan, essi segnalano come ci si stia inopinatamente e irresponsabilmente avvicinando, nel clima della guerra infinita, a prendere in considerazione perfino l’attacco agli impianti nucleari civili come innesco per un “first strike”, che ci porterebbe alla distruzione totale. Un Armageddon predisposto dai sistemi di risposta automatica dotati di ordigni nucleari montati su rampe, aerei in volo, sommergibili o navi – senza volto nè “coscienza” – sparsi in tutto il Pianeta. Sembrerà ad alcuni esagerato, ma questo tempo purtroppo ci può riservare perfino l’annientamento della vita sulla Terra in nome dell’aspirazione all’egemonia globale su un pianeta roccioso ricco di storia, ma , al fine,  privato di vita e capacità  di rigenerazione.

Il mio qui è un esercizio, fortunatamente estremo, ma le notizie che giungono dall’UCRAINA (droni e ordigni su ZAPORIZHA)  e da ISRAELE (missili su ISFAHAN), vanno seriamente prese in considerazione.

Un abbraccio, e che il primo Maggio non sia una festa rituale, ma il rientro in campo cosciente, previdente e pacifista del mondo del lavoro e delle nuove generazioni.”

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DA GUERRE SENZA PACE UN “ARMAGEDDON” IMPREVISTO?

 

C’è una coincidenza non casuale tra gli Stati che si sono dotati dell’arma atomica e la presenza sul proprio territorio di reattori nucleari civili: il ciclo dell’uranio militare è integrato col funzionamento di centrali in cui la fissione è tenuta sotto controllo con le apparecchiature ed i software più sofisticati per ridurne il rischio di incidenti catastrofici. Militare e civile si sono sviluppati di pari passo in tempo di pace, ma, in tempi di guerra permanente, il rilancio del nucleare civile deve prendere in considerazione risvolti che già si sono rivelati inquietanti.

Nessuna delle potenze in campo nella “guerra grande” potrebbe impunemente annunciare di voler risolvere lo scontro con il ricorso all’impiego dell’ordigno nucleare.

Anche se tra di loro la sola Cina esclude l’uso del “first strike” – un “primo colpo” – con un attacco preventivo e a sorpresa con l’impiego dell’atomica, è pur vero che sia in Ucraina che in Israele ed Iran esistono grandi impianti nucleari civili, la cui fusione e dispersione catastrofica potrebbe essere provocata da un loro bombardamento con potenti e mirate armi convenzionali.  Un first strike dissimulato, a cui seguirebbe una risposta annientatrice su scala globale: un Armageddon imprevisto.

Ira Helfand, noto medico antinuclearista dell’Università del Massachusetts, ritiene (v. https://www.pressreader.com/ ) che più volte il Pentagono abbia simulato l’uso di armi nucleari tattiche per innescare a sorpresa una guerra nucleare, che finirebbe col risultare totale e che un procedimento simile sia stato preso in conto anche dai comandi russi e dal gabinetto di guerra di Netanyahu, oltre che dall’Iran. Mai, come nella fase attuale, siamo stati vicini a questa spaventosa eventualità, ma, per buona sorte, abbiamo solo sfiorato ipotesi tanto esiziali per l’umanità.

Eppure, nella constatazione che le guerre in corso non possano finire con la vittoria assoluta di una parte e l’annientamento dell’altra, sta prendendo piede la tentazione di agitare in modo indiretto la minaccia atomica, attraverso una pressione inusitata sui reattori e gli impianti civili, portandoci, alla fine, dentro vicoli ciechi strategici, che avrebbero egualmente, come conseguenza, l’innesco di uno scambio di testate nucleari in un conflitto globale.

Ho trattato nel post precedente all’attuale (v. https://www.ilfattoquotidiano.it/2024/04/10/zaporizhzhia-come-obiettivo-militare-qual-e-la-situazione-e-cosa-si-rischia-coi-continui-blackout/7508289/ ) la questione degli insensati attacchi –  attribuiti ora all’una ora all’altra parte in conflitto –  alla centrale ucraina di Zaporizhzhia, la più potente esistente nel nostro continente. Pur non essendo più in funzione i suoi sei reattori, tutta l’enorme carica di materiale radioattivo contenuto nei noccioli e nei depositi potrebbe essere rilasciato e disperso a seguito del lancio di potenti testate montate su droni o bombardamenti penetranti con esplosivo tradizionale. E’ la prima volta nella storia, che una guerra con armi avanzatissime, si sta svolgendo in presenza di impianti e infrastrutture nucleari, ponendoci di fronte ad un nuovo tipo di rischio per la sicurezza. Nelle ultime settimane le strutture ausiliarie della centrale sono state colpite e, se anche a partire dal 13 Aprile, tutti e sei i reattori erano in arresto a freddo, c’è ancora la possibilità di un grave incidente dovuto ad un sabotaggio intenzionale volto a causare un rilascio radioattivo. Questo è il grido d’allarme lanciato all’ONU dal segretario dell’AIEA Daniel Grossi. L’analogia con Chernobyl è tutt’altro che campata in aria: anzi, date le condizioni feroci di combattimento, l’inadeguatezza dei soccorsi farebbe paradossalmente parte – da qualunque dei due confliggenti fosse stata innescata – di un’azione della più atroce guerra nucleare, e costituirebbe la premessa per un “first strike” dissimulato. Non accadrà, ma non viviamo in un’epoca usuale.

Anche nell’altra “guerra grande” in corso in Medio Oriente, l’attacco israeliano a Isfahan – sede di impianti nucleari iraniani – per quanto a  livello dimostrativo, ma assai allusivo nel suo significato, segnala una strategia bellica che non avevamo mai messo in conto come aspetto ordinario: minacciare un incidente ad un sito nucleare , con tutto il corollario di accessori attinenti al ciclo di arricchimento del materiale fissile. Ciò comporterebbe effetti terribili, in quanto aumenterebbe considerevolmente la probabilità di una risposta di ritorsione da parte di Teheran, che colpirebbe luoghi sensibili nel territorio israeliano, possibilmente estendendosi agli interessi americani e giordani nella regione, oltre a fornire agli ayatollah la motivazione per progredire verso lo sviluppo di bombe atomiche.

Non possiamo dimenticare che la densità energetica di cui sono dotati i reattori civili, sebbene adeguatamente moderati durante il loro funzionamento e controllati lungo il loro ciclo di vita, è di un ordine di grandezza non molto inferiore da quello delle testate nucleari e che, se venisse sprigionata simultaneamente in un’azione di guerra, innescherebbe un effetto catastrofico. A maggior ragione, quindi, ed a partire da queste realtà sotto i nostri occhi, evapora definitivamente il concetto di “guerra giusta”, dato che il suo esito concreto risulterebbe nell’annientamento non tanto del nemico, ma, anche a seguito di inevitabili ritorsioni, dell’esistenza su larga scala dell’intero vivente. Nessuno può plausibilmente trarre utilità o ottenere alcun vantaggio militare o politico da attacchi contro gli impianti nucleari: solo una de-escalation di fatto e per via diplomatica può tener testa al pericolo che incombe. Come si giustifica allora l’invio di armi sempre più potenti e precise ai contendenti “amici” da parte di un Occidente che mantiene pressoché secretate centinaia di testate perfino a Ghedi ed Aviano e come potrebbe la Russia pretendere di riavviare per sé la centrale nucleare ucraina di Zaporizhzhia, resa insicura dalle azioni di guerra e di conquista, senza un piano di manutenzione per il 2024 e, per di più, minata dalla mancanza di acqua di raffreddamento del bacino idrico ormai esaurito posto dietro la diga di Kakhovka sfondata a colpi di mortaio?

Ali Alkis sul Bulletin of the Atomic Scientists (newsletter@thebulletin.org del 17 Aprile) lamenta che L’AIEA terrà la sua Conferenza internazionale sulla sicurezza nucleare a maggio per rilanciare il “nuovo nucleare civile”, ma non dedicherà nemmeno una sessione alla protezione degli impianti nucleari nelle zone di conflitto! Non una dimenticanza, ma, temo, un’azione altamente imprevidente.

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DA SUVIANA A ZAPORIHZHIA

Viviamo nell’Antropocene: un’era recente, non ancora abbastanza assimilata nella consapevolezza comune, in cui la società umana è scossa da eventi dei quali è protagonista attiva, nonostante mettano in discussione la sua integrità, la continuità, della sua storia, se non, addirittura, la sua sopravvivenza.

L’incontrollabilità di tecnologie che, quando si scatenano, sfuggono al controllo democratico e sociale, è diventato un problema tragico della nostra era. In queste ore rimaniamo scossi dalla tragedia di Suviana, ma ad ogni imprevisto stentiamo a cercare risposta. Sembra che l’artificiale sfugga di mano all’umano.

Qui provo ad esaminare un caso particolare – utilizzando molte fonti di informazione – da Euronews ad Indipendent, ad Al Jazeera, al Guardian – in cui la follia della guerra, assieme all’insistenza a protrarla con l’invio di armi sempre più sofisticate e sempre più deflagranti, trova un punto di svolta drammatico nel bombardamento della centrale di Zaporizhzhia. Le versioni propagandistiche delle due parti in conflitto, che si accusano a vicenda del lancio di ordigni, non limitano certo il pericolo imminente di un disastro incalcolabile, tutt’altro che irripetibile.

Zaporizhzhia non è solo la centrale più potente di Europa, ma può diventare l’Hiroshima del nuovo millennio, confermando la tragica continuità tra il nucleare civile e quello militare. Il pericolo di una catastrofe si era già avvicinato un anno fa, quando il bacino della centrale idroelettrica di Kakhovka, con l’abbattimento della diga di contenimento, era sceso al livello più basso degli ultimi tre decenni, mettendo a rischio le risorse di irrigazione e acqua potabile, nonché i sistemi di raffreddamento della vicina centrale nucleare di Zaporizhzhia.

Già quell’episodio, che ancora non riguardava l’atomo, rappresentava il più grande ecocidio in Ucraina, con migliaia di specie travolte dalla breccia nella diga che, oltre a contaminare le riserve idriche, ha distrutto centinaia di specie animali e vegetali rare, oltre che ad aver costretto migliaia di persone a evacuare l’area che si trova sul suo corso a valle.

La regione allagata ospitava una quantità significativa di foreste e riserve, come la Riserva della Biosfera del Mar Nero, che nutre migliaia di specie, e il deserto di Oleshky Sands, colpiti dalle inondazioni, con il rischio di estinzione globale di specie animali, fungine e vegetali, oltre che di distruzione delle residenze di uccelli migratori.

L’Ucraina ha 15 centrali nucleari e nella sua storia c’è il dramma di Chernobyl del 1986, tuttora vivido e irrisolto, ma è Zaporizhzhia ad essere focalizzata, attirando oggi l’attenzione più inquietante. Nonostante gli appelli dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica. giungono quotidianamente notizie di attacchi nella regione. Intervistato da Euronews, un ex capo dell’AIEA ritiene che oggi siamo più esposti al pericolo che nel 1986. Una situazione per certi versi peggiore, perché si tratterebbe di un attacco intenzionale, provocato e calcolato dall’uomo: è infatti molto difficile proteggere una centrale nucleare se munizioni o missili colpiscono il posto sbagliato.

Già all’inizio dell’invasione le truppe russe presero il controllo della struttura di Zaporizhzhia. Tuttavia, l’impianto ha continuato ad essere gestito da lavoratori ucraini, mentre veniva ripetutamente messa fuori uso la rete elettrica nazionale, provocando blackout nella stessa centrale nucleare dove è necessaria una fornitura di energia costante per evitare il surriscaldamento dei reattori.

Dopo mesi di insicurezza, nel settembre 2022, l’ultimo reattore è stato spento. L’impianto è entrato quindi in un’altra fase operativa, meno delicata, ma non per questo meno pericolosa. “In realtà la situazione sta peggiorando – scrive il rapporto di Grossi, direttore dell’IAEA – a Zaporizhzhia è presente solo circa un quarto del personale addetto alla manutenzione, del tutto insufficiente perché le centrali nucleari hanno un sistema di conservazione regolare, ispezioni regolari e controlli di sicurezza delle autorità: il che significa che l’impianto si sta deteriorando con il passare del tempo”. Mancano i pezzi di ricambio e questo può avere conseguenze che sono imprevedibili e possono portare al rilascio di radioattività anche a reattori spenti.

Entrambi i nemici affermano di gestire l’impianto, quindi non ci si aspetterebbe che lo considerino un obiettivo militare, ma il sito in sé nell’ultimo mese sembra essere stato deliberatamente preso di mira dai bombardamenti. Per ora si tratta di bombardamenti che hanno luogo intorno all’impianto e ci sono stati uno o due casi in cui un proiettile ha colpito alcune parti del sito. I reattori hanno muri di cemento spessi un metro e rivestimento in acciaio. Quindi sono edifici molto robusti, con una protezione che dovrebbe essere sufficiente per un tipo di impatti accidentali che non sono diretti deliberatamente. Ma se lo fossero? Se, cioè fossero obbiettivi di guerra?

Il 9 marzo, l’impianto è andato in blackout per la sesta volta dall’occupazione, costringendo gli ingegneri nucleari a passare ai generatori diesel di emergenza per alimentare le apparecchiature di raffreddamento essenziali.

“Ogni volta lanciamo un dado – avverte Rafael Mariano Grossi – e se permettiamo che ciò continui di volta in volta, allora un giorno, la nostra fortuna finirà”.

Per questo è indispensabile una zona di sicurezza intorno alla centrale nucleare.

A fine Febbraio, è stato chiuso anche il collegamento all’ultima linea elettrica di riserva, che rende ancora più fragile la situazione della sicurezza nel sito.

Rosatom, l’impresa russa che ha preso l’impianto sotto la sua giurisdizione, dichiara che la causa della disconnessione non è stata immediatamente nota, aggiungendo di essere stata informata dall’operatore di rete ucraino che i lavori sulla linea erano in corso. Una imprevidenza o una azione militare inconsulta? Qualsiasi interruzione di corrente o danni alle linee elettriche può minacciare i reattori altamente reattivi e le loro altre funzioni essenziali, che hanno bisogno di elettricità per raffreddarsi, anche quando risultano spenti.

In origine l’impianto aveva a disposizione quattro linee da 750 kV e sei linee da 330 kV per mantenere in funzione l’erogazione di energia da nucleare. Quindi non ci sono più opzioni di backup per l’alimentazione off-site e ciò significa che i sei reattori VVER-1000 V-320 raffreddati ad acqua e moderati ad acqua contenenti uranio-235, oltre al combustibile nucleare esaurito, potrebbero essere un bersaglio spaventosamente vulnerabile. Rosatom accusa Kyev per un lancio di un drone sulla cupola di un reattore e il ferimento di tre operai nella mensa dell’impianto, mentre Zelenskyy ha sottolineato che gli attacchi russi continuano incessanti su Zaporizhia.

Non siamo più solo all’atrocità della guerra e allo scambio di accuse tra contendenti: siamo di fronte ad una delle molte questioni esemplari ed esiziali del tempo in cui viviamo. Occorre porre fine a questo terrore e allontanare dal nostro mondo l’illusione che la parola “vittoria” abbia ancora senso quando si tratta delle emergenze dell’Antropocene.  Che andrebbero affrontate con la visione che solo un sofferente papa Francesco ha saputo anticipare, in solitudine tra i leader mondiali distanti dai loro popoli.

Category: Ambiente

About Mario Agostinelli: Mario Agostinelli (1945) ha lavorato come ricercatore chimico-fisico per l’ENEA presso il CCR di Ispra. Dal 1995 al 2002 è stato Segretario generale della Cgil Lombardia e nel 2004 ha dato vita al movimento Unaltralombardia, con l’obiettivo prioritario di rinnovare dal basso le forme della rappresentanza. Ha ricoperto un incarico istituzionale come Consigliere regionale in Lombardia, eletto come indipendente nelle liste di Rifondazione Comunista, e nel 2009 ha aderito a Sinistra Ecologia Libertà. Sul piano internazionale si è contraddistinto per un intenso impegno nel Forum Mondiale delle Alternative e nel Forum Sociale Mondiale di Porto Alegre.

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