La fisica del mondo tra catastrofi e rivoluzioni
Staremo qui fino a che il nostro dolore sarà sparito. Resteremo vivi cantando con amore. Nonostante tutte le vendette, arriveremo sulle vette e ci rivolgeremo al paradiso. Staremo insieme con un balsamo e una penna.
Adil Mashaiti, medico di trentasette anni, studente a Londra, quindi tornato in patria fino a ieri ospite delle galere di Gheddafi, adesso insorto.
- Siamo in un tempo in cui le cose vanno più veloci delle parole e financo dei pensieri. Un tempo dove tutti i nodi di una crisi di civiltà che galoppa stanno arrivando al pettine. Dal rapporto uomo natura a quello tra uomo (e donna) e uomo (e donna), dall’economia alla geopolitica, dalle ideologie alle fedi, dall’ethica alla politica, tutto si scuote, barcolla, terremota, appare crollare. E l’umanità intera rischia di rimanere schiacciata sotto un cumulo di macerie.
- Mai come negli ultimi vent’anni abbiamo visto il nostro pianeta costellato da una tale mole di catastrofi naturali, e di rischi per la specie umana. Nel contempo mai come ora l’umanità appare essere pervasa da desideri di libertà e uguaglianza, di autogoverno e democrazia, da coscienza dei propri diritti e da lotte per affermarli, da capacità di creare nuovi universi di senso e significato e nuovi protocolli scientifici, nonché mezzi tecnologici atti a liberare la potenza produttiva, prefigurando un mondo di cittadini/e liberi/e e eguali- in tutte le loro differenze.
- Il susseguirsi in Giappone di terremoto, tsunami e catastrofe nucleare è ben più che una metafora, è un grido d’allarme. Il paradigma che dagli albori ha informato lo sviluppo della civiltà umana, ogni civiltà umana, il paradigma del dominio dell’uomo sulla natura, si è schiantato. Non si tratta solo della crosta terrestre che si scrolla con un terremoto imprevedibile, seppure statisticamente atteso, poi arriva l’onda anomala, prevista e l’allarme fu lanciato, ma l’onda corse più svelta arrivando nove minuti dopo l’allarme, cioè in un battito di ciglia. Fin qui si può chiamare in causa la natura matrigna o un dio incazzato che vuole punirci. Però quando si fendono e bruciano le centrali nucleari, facendo fuoriuscire radioattività a tutto spiano, ebbene la catastrofe non si può imputare a nessun altro, se non noi stessi.
- Vediamo con ordine. L’idea delle centrali nucleari è semplice da dire: se la potenza distruttiva della bomba atomica/nucleare è una reazione a catena che sprigiona una grande quantità di energia in modo esplosivo, basta trovare il modo di controllare – dominare- la reazione e catena perché invece di esplosiva, sia lenta, addomesticata. Possiamo così riscaldare l’acqua, che vaporizza, il vapore attiva le turbine che a loro volta producono energia elettrica. Il parametro di governo della reazione essendo la temperatura. Cioè bisogna raffreddare in modo continuo e opportuno le barre di combustibile fissile per dominare la reazione, evitando una sorta di effetto valanga (reazione a catena fuori controllo), che ovviamente non giungerebbe fino a una esplosione atomica (per questo ci vuole un innesco), ma può comportare la fusione (metallurgica non nucleare) del nucleo di materiale fissile, con inquinamento radioattivo di aria acqua terra, e esseri umani sia per via diretta quando ti piove addosso la nuvola radioattiva o quando sei lì vicino al nocciolo respirando i vapori, che indiretta, appunto mangiando l’insalata o bevendo un bicchiere d’acqua o prendendo un bagno di mare. La radioattività è un animale molto difficile da dominare, intanto perché dura un mucchio di tempo, poi perché, se contamina il corpo o un qualunque sistema biologico, a parte gli effetti a breve termine immediatamente misurabili, si muore alla svelta, a lungo termine induce milioni di mutazioni genetiche del tutto incontrollabili, e nulla di più facile che alcune riescano sgaffe, cioè tumorali e/o con modificazioni degenerative, sia nel proprio corpo che nella prole eventuale.
- Per la centrale di Fukushima non c’è alcun dubbio che ci sia stata emissione di vapori radioattivi, che le terre e le acque di mare e dolci intorno siano inquinate per molte miglia, ovvero che i famosi vessel in acciaio destinati a contenere il materiale di fusione in caso di eccessivo riscaldamento, da qualche parte devono avere una o più crepe. Per avere una idea di come si diffondano le particelle in mare possiamo fare un esempio. Supponete di riempire un bicchiere con un liquido composto da particelle colorate di rosso, e di versarle nel mare Adriatico, a Marina di Ravenna per dire; se qualche mese dopo circa siete agli antipodi su una spiaggia australiana e raccogliete un bicchiere d’acqua di quel mare, quante particelle rosse di quelle venute da Marina troverete? La risposta è: qualche decina. Se sono radioattive…Last but not least, la tepco (Tokyo Electric Power) società che gestisce la centrale ha mentito, è stata incompetente, modulata dal profitto e senza alcun interesse al bene pubblico, come ogni società privata probabilmente.
- Ma chi sarebbe stato capace di tappare le falle che si aprivano l’una dopo l’altra, e ancora oggi continuano, forse nessuno. Quando un sistema complesso come una centrale nucleare va fuori controllo, la catastrofe è sempre la soluzione più probabile, essendo i parametri, le variabili e le tecnologie in gioco tali e tante da non poter metter mano a tutti, un po’ come quando si cerca di tappare i buchi di una diga con le mani, avendo solo dieci dita, oltre l’acqua passa e le crepe s’allargano finchè la diga crolla.
- In conclusione il dominio dell’uomo sulla natura, di cui le centrali nucleari – il dominio tecnologico dell’uomo sull’atomo – erano una tra le principali incarnazioni, appare oggi del tutto inadeguato, anzi generatore di catastrofi. E d’ora in poi il problema dell’energia dovrà essere affrontato in tutt’altro modo, dal punto di vista del bene comune in primis, secondo dal punto di vista di un contratto di equità tra uomo e natura via energie rinnovabili, terzo dal punto di vista di una umanità cooperativa e non competitiva, infine quarto estendendo la democrazia, cioè l’accesso e il controllo dei cittadini alle conoscenze, alle fonti e alle tecnologie dell’energia. Questo secondo ragione, ma seppure in momentanea ritirata, c’è da giurare che i capitalisti dell’atomo torneranno alla carica, magari in forme più subdole o più brutali, e dovranno essere direttamente contrastati, con forza. Tutta quella che ci vuole, perché ne va del destino dell’umanità intiera. Non c’è molto tempo per avviare una riconversione e una ricerca sulle energie rinnovabili, stando il petrolio e le altre energie fossili (carbone, gas) sulla via della fine. Come molte altre materie prime alla cui abbondanza ci eravamo abituati. Diciamola così: la terra non può più essere considerata un contenitore infinito di ricchezza, materie prime, acqua e aria pura. C’è un limite alle estrazioni e al consumo, che dovrà diventare costituente la società umana nel suo insieme.
- Rimanendo in Giappone azzardo una ipotesi. Le dimensioni del disastro sono state amplificate dalla mancanza di autorganizzazione dal basso, tipica di una società fortemente gerarchizzata. La tanto lodata compostezza non proveniva forse da dignità di fronte al dolore, alla perdita, ecc…o da fiducia nel governo e nelle istituzioni, ma forse-ci sono ovviamente molti forse, è più che altro una ipotesi di ricerca- da una impotenza tragica, dal non sapere che fare quando la tecnologia ha ceduto di fronte alla grande onda prima, e alla catastrofe nucleare dopo. Allora vengono meno le comunicazioni, si rompono le catene di comando, quindi anche gli ordini e/o indicazioni e/o interventi centralizzati rallentano, si inceppano, si interrompono. Ancora una volta c’è un bisogno di democrazia e di autogoverno– di base si sarebbe detto un tempo–di fronte alle grandi catastrofi, soltanto attraverso una assunzione di responsabilità cooperativa si può far fronte, si può imparare a vivere col terremoto. Aggiungo che mi pare ormai tempo di assumere il tema della protezione civile territoriale come fondamentale e intrinseco a qualunque programma politico sociale, protezione civile diffusa e di massa, con competenze e abilità acquisite sia nel percorso scolastico, sia forse con una leva obbligatoria per i giovani di sei mesi valutata nel curriculum scolastico e professionale, e/o di volontariato attivo con un paio di settimane l’anno di addestramento sul modello dei vigili del fuoco volontari in Svizzera.
- Ciò che è accaduto e accade in Giappone ci porta dritti al problema dell’acqua, non solo un bene comune che va protetto dall’avidità del profitto privato, ma anche un bene che deve essere tenuto al riparo dalla radioattività,e inquinamenti vari, acqua di mare compresa; già l’oceano Atlantico fu massacrato dal petrolio fuoriuscito a milioni di tonnellate dalla rottura di un impianto di estrazione della British Petroleum, un massacro di cui non sappiamo l’impatto a lungo termine, quanto mare è morto e morirà per quel petrolio devastante. Anche la BP, come la tepco, ha mentito a Obama e alle autorità preposte al controllo, forse con buona probabilità usando e abusando la corruzione di qualche funzionario statale o politico. E d’altra parte una componente che caratterizza e inquina la attuale situazione in Libia è certamente il petrolio, l’avida fame di oro nero.
- Nel mentre l’intero nord Africa e i paesi arabi sono in tumulto. Centinaia di migliaia di persone, in specie giovani, molti dei quali altamente scolarizzati, sono scesi e scendono in piazza insorgendo contro i poteri costituiti. Personalmente credo che sia iniziato un processo rivoluzionario, una rivoluzione sociale e culturale democratica, nel senso della libertà e dell’uguaglianza dagli esiti certamente non scontati su alcun piano, sociale politico o istituzionale che sia. Rivoluzione essenzialmente laica e globale, nei suoi effetti che già si propagano per l’intero mondo scomponendo il quadro geopolitico cui eravamo abituati, dall’ONU in giù tutto è in sommovimento, con la possibilità di soluzioni caotiche, e stridori evidenti nel cosidetto campo occidentale. Rivoluzioni che hanno fatto ampio uso dei nuovi strumenti di comunicazione e informazione, internet, e di nuovi luoghi di aggregazione sociale dove sperimentare in silico libertà e uguaglianza, i social network, da twitter a facebook. Ovviamente è un processo rivoluzionario tutt’altro che ben definito, ma ci sono pochi dubbi che fin da oggi sia “un movimento reale che abolisce lo stato di cose presente”.
- Uno dei comandanti gli insorti della comune di Bengasi è un ingegnere informatico, un altro un ingegnere petrolifero. Neanche a farlo apposta abbiamo i due corni della rivoluzione, il petrolio, di cui il popolo vuole riappropriarsi e che, per quanto prezioso, è il simbolo del vecchio mondo, e l’informatica, la computer science simbolo della rivoluzione cognitiva e comunicativa avvenuta negli ultimi quaranta anni (l’origine fu nel ’68 di Berkeley, da questo punto di vista più generativo delle barricate del maggio parigino). Due corni che possono entrare in contraddizione, strangolando la neonata democrazia comunarda. D’altra parte ogni rivoluzione ha la sua Vandea e le comuni possono essere troppo “nuove” rispetto alla maggioranza. Già Gramsci, nei Quaderni, riflettendo sulla sconfitta subita dalla comune di Parigi del 1871, scriveva: si esauriscono storicamente tutti i germi nati nel 1789 cioè non solo la nuova classe che lotta per il potere sconfigge i rappresentanti della vecchia società che non vuole confessarsi storicamente superata, ma sconfigge anche i gruppi nuovissimi che sostengono già superata la nuova struttura sorta dal rivolgimento iniziatosi nel 1789, e dimostra così di essere vitale in confronto al vecchio e in confronto al nuovissimo. Insomma questi nuovissimi ribelli con le scarpe da tennis, indisciplinati, con comportamenti anarchici, che hanno studiato a Londra Parigi Bologna, ma anche a Tripoli e Gerusalemme, al centro di una lotta politica che coinvolge il mondo intero possono anche finire stritolati, o i loro ideali e desideri e libertà e bisogni traditi da chi prenderà in mano le redini della politica, ma questo non toglie niente al valore libertario e democratico della loro lotta, e della loro insurrezione. Dalla Tunisia all’Egitto, dalla Libia alla Siria, fino allo Yemen. E adesso anche al di qua del mediterraneo, i giovani indignados spagnoli occupano le piazze, mentre una sorta di sordo rumore proviene dalle viscere della società europea, annunciando tempeste.
- L’egemonia dei mercanti di danaro barcolla, con loro gli altri grandi nemici dell’umanità, mercanti d’armi, petrolieri, mercanti di uomini e donne, mercanti del crimine attraverso le grandi mafie, essi cercano di abbattere la politica democratica in nome delle borse e delle speculazioni, e delle agenzie cosidette di rating implicate nella politica di dominio e moltiplicazione dei profitti tramite la rapina. Rapina della vita, rapina del sapere, rapina della coscienza, rapina della libertà. Si tratta di uno scontro durissimo, dall’esito incerto. Soltanto: se essi, i grandi nemici dell’umanità, vincessero sarebbe all’orizzonte un cupo fascismo della miseria per la stragrande maggioranza degli esseri umani, a occidente come a oriente, fino forse alla catastrofe della civiltà come l’abbiamo fin qui conosciuta. Il mondo dei peggiori incubi diventerebbe reale. Mentre la rapina della natura si trasformerebbe sempre più nella catastrofe sfrenata e devastante. Sarebbe addirittura programmata, non essendoci più limite all’avidità di danaro e potere.
- Si tratta propriamente di una rivoluzione, direi copernicana, che bisogna porre in essere. Copernico mise la terra in rotazione attorno al sole, ovvero cambiò la nostra percezione del mondo dando un altro significato a ciò che già vedevamo, ma ancora non capivamo. Fu una vera e propria azione scientifica rivoluzionaria che mise in moto un mutamento antropologico da cui nacque l’uomo moderno con la sua libertà di pensiero e la sua uguaglianza. Furono un paio di secoli durante i quali si combatté senza esclusione di colpi con i tribunali dell’inquisizione che lavoravano a pieno ritmo, quando Galileo doveva mandare clandestinamente i suoi testi all’estero perché fossero pubblicati. La portata rivoluzionaria fu colta appieno da Leopardi: il sistema di Copernico insegnò ai filosofi l’uguaglianza dei globi che compongono il sistema solare (uguaglianza non insegnata dalla natura, anzi l’opposto), nel modo che la ragione e la natura insegnavano agli uomini ed a qualunque vivente l’uguaglianza naturale degli individui di una medesima specie. Da qui alla rivoluzione francese di libertè, egalitè, fraternitè il passo è breve per un verso, ancora in corso d’opera per l’altro.
- Tornando all’epoca presente e alla catastrofe di Fukushima, il nuovo contratto uomo natura, non più basato sul paradigma del dominio, può nascere dalla riconsiderazione del lavoro come ricambio organico uomo natura. Il lavoro in tutte le sue sfumature e complessità, per dirla in modo schematico, dal lavoro manifatturiero al lavoro cognitivo, da quello precario a quello ancora fisso, da quello di ricerca e innovazione a quello ancora ripetitivo e denso di fatica fisica. In un nesso forte tra la libertà dei cittadini e quella dei lavoratori, tra la democrazia politica e la democrazia sociale. Qui si colloca il problema dell’appropriazione e dell’uso del sapere scientifico e della ricerca, beni sociali strategici primari tanto quanto l’acqua e/o l’energia, da parte della comunità dei cittadini, facendo di questo sapere/lavoro scientifico uno degli elementi portanti della democrazia, in una tessitura che, nel nostro paese, dipani i fili che vanno dai ricercatori della Sapienza agli operai di Mirafiori. Non per semplice solidarietà politica, ma perché entrambi, operai e ricercatori sono oggi produttori di plusvalore, per dirla nel linguaggio di Marx, e anche subiscono molte forme di alienazione comuni. Nonché entrambi intricati nel rapporto uomo natura, e scardinati dalla caduta del paradigma del dominio, che significa per esempio fine della civiltà del petrolio in qualche decina d’anni, con il conseguente esaurimento della civiltà dell’automobile, e quindi la necessità urgente di una riconversione ecologica che non può non vedere sullo stesso fronte appunto i ricercatori della Sapienza che salgono sui tetti e gli operai di Mirafiori che rifiutano il dominio totalitario di Marchionne.
- E’ un discorso appena agli inizi, e per niente facile. Ma necessario, pena subire catastrofi naturale e sociali da Fukushima fino alla guerra, con contorno di miseria e umiliazioni autoritarie se non totalitarie, ieri oggi e domani.
[Questo testo è stato pubblicato in Inchiesta, 172, 2011. Inchiesta ha dedicato alla “Green Economy” un’ampia parte del numero 165, 2009 ]
Category: Ambiente, Storia della scienza e filosofia