Il testo integrale della intervista concessa da Papa Francesco a Fabio Fazio
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Conflitti, migrazioni, povertà, ma anche amicizia umorismo, perdono
e preghiera tra i temi affrontati
Domenica sera 6 febbraio 2022 su Rai3 è andata in onda, nel corso della trasmissione televisiva “Che tempo che fa”, un’intervista rilasciata da Papa Francesco al conduttore Fabio Fazio. In collegamento da Casa Santa Marta, il Pontefice ha risposto alle domande, affrontando vari temi di attualità: dal dramma delle migrazioni, alla salvaguardia dell’ambiente; dal rapporto genitori e figli, alla presenza del male e della sofferenza nella vita delle persone; dalla preghiera, all’importanza dell’amicizia; dai conflitti al senso dell’umorismo, al perdono. Pubblichiamo la trascrizione del dialogo fatta dall’Osservatore Romano.
D. Santo Padre, grazie con tutto il cuore per essere con noi. Come sempre del resto… perché una delle cose che più mi colpiscono e mi commuovono di Lei è che Lei è con tutti. Il suo sguardo è ogni giorno per l’intera umanità. Lei ha incontrato migliaia di persone e ha ascoltato migliaia di storie di sofferenza e a volte di dolore indicibile. Ecco: la prima cosa che mi piacerebbe chiederle è proprio questa: Lei come fa? Come riesce ad abbracciare tutti e come fa a sopportare un peso così grande?
Buonasera e grazie di questo incontro. Mi piace tanto. La domanda è una domanda un po’ forzata, perché se lei va e vede tanta gente che sopporta cose brutte, cose quotidiane… tanta gente per esempio, per essere attuali, che nella propria debolezza sopporta difficoltà familiari, difficoltà economiche, padri di famiglia che vedono che il salario non arriva a fine mese, e poi con la pandemia troppo; credo che non sarei onesto se dicessi che io sopporto tanto. No, io sono uno che sopporta come tutta la gente sopporta. E poi non sono solo, c’è tanta gente che mi aiuta, tutta la Chiesa, i vescovi, gli impiegati accanto a me, uomini e donne bravi che mi aiutano… per questo, io ti dico la verità, non sono un campione di peso che sopporta le cose, no. Sopporto come la maggioranza della gente sopporta. Non so se hai capito, ma è quello che sento.
D. È chiarissimo, Santo Padre, ho capito benissimo. Lunedì scorso 19 migranti sono stati trovati morti per congelamento al confine fra Grecia e Turchia. Qualche settimana prima era comparso un filmato in rete che ritraeva dei bambini siriani al freddo. In particolare mi ha colpito una bambina, una bambina tremante per il freddo, malamente vestita. Mi sono ovviamente ricordato dei miei figli quando avevano quell’età. Aveva addirittura solo delle ciabattine ai piedi, era scalza, non aveva neanche le calze. Quando l’ho vista mi son detto: “Davvero non dovrebbe esserci niente di più urgente a questo mondo che occuparci di quella bambina”.
Questo è un segnale un po’ della cultura dell’indifferenza. C’è un problema di categorizzazione; qui ci sono categorie, al primo posto e al secondo posto: le categorie al primo posto in questo momento, mi spiace dirlo, sono le guerre. La gente è al secondo posto. Pensa per esempio allo Yemen: da quanto tempo lo Yemen soffre una guerra e da quanto tempo si parla dei bambini dello Yemen? Un esempio chiaro, e non si trova soluzione al problema: anni, eh? Non voglio esagerare, più di 7 sicuro, se non 10. Ci sono categorie che importano e altre sono in basso: i bambini, i migranti, i poveri, coloro che non hanno da mangiare … questi non contano, almeno non contano al primo posto, perché c’è gente che vuole bene a questa gente, che cerca di aiutarle, ma nell’immaginario — diciamo così — universale, quello che conta è la guerra, la vendita delle armi. Pensa che con un anno senza fare armi, si potrebbe dare da mangiare ed educazione a tutto il mondo, in modo gratuito. Ma questo è in secondo piano. Si pensa alle guerre, e noi siamo abituati a questo. È dura ma è la verità. E le guerre producono quello che lei ha detto: bambini che muoiono di freddo, o pensa ad Alan Kurdi lì, sulla spiaggia e tanti altri che noi non conosciamo. Ma questi sono seconda categoria, la prima categoria è la guerra. Non voglio fare il tragico, ma è la verità. Vediamo come si mobilitano le economie… e cosa è più importante oggi: la guerra, la guerra ideologica, guerra di poteri, guerra commerciale, guerra per andare avanti e tante, tante fabbriche di armi.
D. Lei tra l’altro ha invitato proprio a pregare per la crisi fra l’Ucraina e la Russia in questi giorni. Ecco: ma prima ancora che da un punto di vista morale, da un punto di vista etico, proprio la guerra pare contro ogni logica. Cioè, l’uomo per natura tende a sopravvivere, a cercare la felicità. La guerra invece tende a eliminare, a uccidere l’altro. A Lei che impressione fa, da un punto di vista non morale ma proprio razionale, la parola “guerra”?
È un controsenso della creazione; e nella Bibbia è curioso: Dio crea l’uomo e la donna, andate in tutto il mondo, lavorate, fate figli, possedete la Terra. E subito dopo, una guerra fra fratelli. Uno cattivo contro l’innocente, per invidia; e poi una guerra, diciamo culturale, diciamo così, con la torre di Babele… subito vengono le guerre. Subito. C’è come un antisenso della creazione, per questo la guerra sempre è distruzione. Per esempio, lavorare la terra, curare i figli, portare avanti una famiglia, far crescere una società: questo è costruire. Fare la guerra è distruggere. È un meccanismo di distruzione: avere più potere …
D. Santo Padre, Lei ha più volte definito il Mediterraneo come un grande cimitero; ha incontrato i migranti e sono ancora nei miei occhi e negli occhi di tutti noi le immagini recenti a Lesbo, dei Suoi sorrisi e delle mani tese verso di Lei che cercavano di salutarla. Lei ha detto che nel vedere respinti i migranti che magari hanno subìto detenzioni e torture, che ormai ci sono note, non si può far finta di niente — le conosciamo! — e soprattutto tutto ciò magari in nome delle religioni, Le procura innanzitutto profondo dolore; ma ha anche detto che quando si respingono i poveri si respinge la pace.
Quello è vero. Ma quello che si fa con i migranti è criminale. Per arrivare al mare soffrono tanto. Ci sono dei filmati sui lager, uso questa parola sul serio, lager, nella Libia, lager dei trafficanti. Cosa soffrono nelle mani dei trafficanti coloro che vogliono fuggire. Questi filmati, se volete vederli, sono nella Sezione migranti e rifugiati del Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale. Soffrono. Poi rischiano per attraversare il Mediterraneo. E poi, alcune volte, sono respinti, per qualcuno che ha la responsabilità locale e dice “No, qui non vengono”; e ci sono queste navi che girano cercando un porto: “No, che tornino e che muoiano sul mare”. Questo succede oggi. Una cosa è vera: ogni Paese deve dire quanti migranti può accogliere; questo è un problema di politica interna che deve essere pensato bene e dire “Io posso fino a questo numero”. E gli altri? Ma c’è l’Unione Europea, mettersi d’accordo: “Io posso tanti, tanti, tanti”, così si fa l’equilibrio, ma in comunione. Adesso c’è un’ingiustizia: vengono in Spagna e in Italia, i due Paesi più vicini, e non li ricevono altrove. Il migrante sempre va accolto, va accompagnato, va promosso e va integrato. Accolto perché c’è la difficoltà, poi accompagnarlo, promuoverlo e integrarlo nella società. Quest’ultimo è molto importante. Pensate alla tragedia di Zaventem: questo l’ho detto tante volte. I ragazzi che hanno fatto quello erano belgi, nati in Belgio, ma figli di migranti ghettizzati, non integrati. Lì le ideologie crescono, crescono tanto… Poi, un’altra cosa. Ci sono Paesi che con il calo demografico, che vivono — penso alla Spagna, all’Italia, ad alcuni altri — … hanno bisogno di gente. E un migrante integrato aiuta quel Paese. Dobbiamo pensare intelligentemente alla politica migratoria, una politica continentale. È una responsabilità nostra. Il fatto che il Mediterraneo sia oggi il cimitero più grande d’Europa ci deve far pensare. Non so, credo che questo sia realismo puro.
D. Santo Padre, mi permetto di fare un’osservazione probabilmente superficiale e banale ma che mi ha sempre colpito: nessuno di noi, proprio nessuno di noi sceglie da chi nascere e dove nascere: eppure, chi è più fortunato si comporta come se i privilegi che ha avuto — perché è stato fortunato a nascere in una certa parte del mondo — fossero dei diritti.
Si deve pensare su questo; si deve pensare, perché chi è nato in un Paese sviluppato che ci ha dato la possibilità della scuola, dell’università, del lavoro, deve ringraziare, guardare coloro che non hanno; ma succede una psicologia che ci chiude: noi vediamo tutte queste cose, le vediamo. Vediamo i bambini che muoiono, vediamo i migranti annegare; tutte queste ingiustizie le vediamo anche nei nostri Paesi. Ma c’è sempre una tentazione molto brutta: guardare da un’altra parte, non guardare. E con i media vediamo tutto ma prendiamo distanza, guardiamo da un’altra parte. Dice: “Ma, è una tragedia!”, ci lamentiamo un po’ e poi è come se niente fosse accaduto. Non basta vedere, è necessario sentire, è necessario toccare. E qui si entra quella psicologia dell’indifferenza, “Io vedo ma non mi coinvolgo, non tocco e vado avanti”. Quando Gesù ci parla di come dobbiamo comportarci col prossimo, ci dice la parabola del Buon Samaritano e ci parla prima di due persone brave: uno scriba — ma è un dottore della legge, osservante della legge — che passa, vede e continua; un sacerdote, forse un buon sacerdote, passa, vede e continua. Soltanto Gesù loda quell’uomo, uno straniero, che vede, si ferma, tocca e si prende carico. Ci manca il toccare le miserie, toccare, e toccare ci porta all’eroicità. Penso ai medici, agli infermieri e infermiere che hanno dato la vita in questa pandemia: hanno toccato il male e hanno scelto di rimanere lì con gli ammalati. Questo è grande, ma se tu non tocchi… il tatto … Una volta ho letto un articolo molto bello: “Il tatto è il senso più completo, più pieno, quello che ci mette la realtà nel cuore”. Quando qualcuno viene a consultarmi o a confessarsi, io domando: “Tu dai l’elemosina?” — “Sì, sì, sì” — “E quando tu dai l’elemosina, tocchi la mano della persona?” — “Ah, non so, non me ne sono accorto” – “E tu guardi negli occhi, o guardi un’altra parte?”. Toccare, farsi carico dell’altro. Ma se noi guardiamo senza toccare con le nostre mani cos’è il dolore della gente, non potremo mai mettere soluzione a questo, mai potremo trovare una via. E qui è la cultura dell’indifferenza. Io guardo da un’altra parte e non tocco. O guardo a distanza.
D. Questa Sua riflessione ce la ricorderemo per sempre. Ha ragione, Santo Padre: vuol dire proprio farsi carne, in qualche modo, assume un significato pieno, quando la parola assume un significato pieno: toccare gli altri. Del resto, anche nei confronti della Terra, anzi, della Madre Terra, per usare un’espressione che Le è cara, lo sfruttamento del pianeta, le conseguenti catastrofi climatiche, a cui Lei ha dedicato la Sua enciclica Laudato si’, sembrano mostrare una sorta di umanità pervasa da un senso di onnipotenza. Che è strano, perché in realtà, appunto, come Lei più volte ha ripetuto il verbo vedere — noi oggi siamo in grado di vedere tutto —, le conseguenze sono evidenti. Eppure, anche in questo caso, in modo autolesionista, ci giriamo dall’altra parte, contro noi stessi.
Stiamo vedendo questa realtà un po’ dappertutto, pensiamo in Amazzonia, la deforestazione. Sappiamo cosa significa una politica di deforestazione: significa meno ossigeno, significa cambiamento climatico, significa morte della biodiversità, significa uccidere la Madre Terra e non avere quel rapporto che hanno i popoli aborigeni, i popoli originari con la Terra, che loro chiamano “il buon vivere”, che non è la buona vita, no, è il buon vivere, cioè il vivere in armonia con la Terra. Ho ascoltato una canzone bellissima di Roberto Carlos poco fa: “Papà, perché il fiume non canta più?’”. Il bambino: “Papà, perché il fiume non canta più?” — “La verità, figlio mio, è che il fiume non c’è più. Lo abbiamo finito noi”. E questo dramma… Il capo degli scienziati italiani in un convegno che si è tenuto qui in Vaticano alcuni mesi fa, ha detto questo: “La mia nipotina, nata alcuni giorni fa, se le cose non cambiano, dovrà vivere, entro 30 anni, in un mondo inabitabile”. Dobbiamo metterci questo in testa: prenderci a carico la Madre Terra, come la chiamano i popoli originari: la Madre Terra. I pescatori di San Benedetto del Tronto che sono venuti da me, hanno trovato, in un anno, 3 milioni — non ricordo — di tonnellate, ma una quantità enorme, 3 mila tonnellate di plastica. Si sono fatti carico di quello. Dopo sono venuti e mi hanno parlato del doppio, ma erano organizzati e prendono ogni rifiuto dal mare per pulire il mare, perché sentono che il mare è cosa loro, sono entrati in sintonia con la Terra e l’hanno curata. Buttare via plastica in mare è criminale, perché questo uccide, uccide la biodiversità, uccide la Terra, uccide tutto. Prendersi cura del Creato è un’educazione che noi dobbiamo fare.
D. Santo Padre, scusi, faccio una divagazione: Lei ha citato poco fa Roberto Carlos, ma siccome l’abbiamo vista andare a comprare dei dischi in un negozio qualche settimana fa, volevo chiederLe: ma Lei che musica ascolta, che dischi ha comprato? Scusi la curiosità, ma proprio viene dal cuore…
Certo, la curiosità è lecita, tutti siamo curiosi. Prima di tutto, non sono andato a comprare. Queste persone sono amici miei da anni e hanno risistemato il negozio. E io sono andato a benedire il nuovo negozio. Gli voglio bene, siamo amici. Era di notte, già scuro, mi hanno detto: “No, non c’è nessuno”, ma proprio lì c’era un giornalista che aspettava un amico per prendere un taxi… per questo la notizia è uscita. Ma è una cosa da amico, di andare a benedire, non a comprare. Ascolto musica. Mi piacciono i classici, tanto. Anche il tango mi piace tanto.
D. Immaginavo, l’ho sentito dire in televisione. Le avevano anche chiesto se aveva ballato il tango, una volta, e Lei aveva detto: “Sì, da giovane qualche volta ho ballato anche il tango” …
Ma, un porteño che non balla il tango non è porteño.
D. Ha ragione… Santo Padre, quello che sta venendo fuori dai nostri discorsi è anche, appunto, che c’è questa incapacità di vedere, da una parte, e dall’altra però la sensazione, ogni tanto… Lei oggi all’Angelus ha detto, commuovendosi, delle cose meravigliose che danno speranza. Ma dall’altra parte, è anche vero che viviamo un momento come di egoismo ma anche di aggressività. Io non so se tutto ciò fa parte della natura umana, questa aggressività autolesionista, ma insomma: che tempi stiamo vivendo secondo Lei, Santo Padre?
Il problema dell’aggressività sociale è un problema che hanno studiato gli psicologi e i sociologi bene. E per questo non mi permetto di dire una parola perché loro sono coloro che sanno spiegare bene. Soltanto sottolineo una cosa: come è cresciuto il numero dei suicidi giovanili. Cosa significa? C’è un’aggressività che scoppia: pensa nella scuola, il bullying. Quando ti prendono un ragazzo o una ragazza e dai dai dai, per distruggerlo. Questa è un’aggressività nascosta. Questa aggressività è un problema sociale: non è soltanto l’aggressività di una persona malata, ma socialmente il bullying è un problema che si dà, eccome. Quest’aggressività nostra va educata. L’aggressività non è una cosa in sé stessa negativa, perché ci vuole essere aggressivo per dominare la natura, per andare avanti, per costruire; c’è un’aggressività positiva, diciamo così. Ma c’è quest’aggressività distruttiva che incomincia anche con una cosa molto piccola, ma voglio menzionarla qui: comincia con la lingua, il chiacchiericcio. Ma, il chiacchiericcio, nelle famiglie, nei quartieri, distrugge. Un nunzio apostolico ha fatto uno studio del chiacchiericcio, molto buono, e nella copertina, la stampa è questa: l’impronta digitale e uno che, come un filo, la sfila per distruggerla. Questo è il chiacchiericcio. Distrugge l’identità. Il chiacchiericcio non è una cosa che si fa soltanto tra i governanti, no: si fa nelle famiglie. Per questo mi permetto di consigliare, per non distruggerci: no al chiacchiericcio. Se tu hai una cosa contro l’altro o te la mangi o vai da lui e dilla in faccia! Essere coraggiosi, coraggiose. Ma no, è una cosa dolce chiacchierare degli altri e questo distrugge. Sembra un sermone morale ma è una realtà: lì incominciano le guerre, lì incominciano le divisioni.
D. Tra l’altro, Lei ha parlato di aggressività tra i giovani, tra i ragazzi. A volte quest’aggressività, me lo chiedo da padre, forse deriva anche dalla solitudine, da un senso incredibile di solitudine, perché siamo connessi col mondo eppure c’è tantissima solitudine. Io so che Lei è molto devoto a San Giuseppe, a cui consegna i suoi desideri appoggiandoli sotto quell’immaginetta che Lei tiene nella sua stanza, con San Giuseppe dormiente. Così il Santo Padre dice: “San Giuseppe mentre dorme, nei suoi sogni, può aiutarmi a realizzare i miei bisogni e le mie necessità”. Lei che cosa direbbe proprio a noi genitori, a noi padri, madri di giovani, di adolescenti che sembrano a volte non riuscire a sentire la sofferenza degli altri?
Il rapporto fra i genitori e figli, io dico sempre una parola: vicinanza. Vicinanza con i figli. Quando si confessano coppie giovani o quando parlo con loro, sempre faccio una domanda: “Tu giochi con i tuoi figli?” Quella gratuità di papà e mamma col figlio. Alle volte sento risposte dolorose: “Ma, Padre, quando io esco da casa per lavorare loro dormono, e quando torno la notte stanno dormendo un’altra volta”. È la società crudele che si stacca dai figli. Ma la gratuità con i propri figli: giocare con i figli e non spaventarsi dei figli, delle cose che dicono, delle ipotesi, o anche quando un figlio, già più grande, adolescente, fa qualche scivolata: essere vicino, parlare come padre, come madre. La vicinanza. I genitori che non sono vicini ai figli, che per stare tranquilli: “Ma prendi la chiave della macchina, vai”, questi non fanno bene. I genitori devono essere, mi permetto la parola, quasi complici: complici con i figli. Quella complicità genitoriale che fa che crescano insieme, padri e figli. E questo è tanto bello.
D. Grazie, Santo Padre: ci è molto utile e di conforto. Sapete, io cito spesso — lo dico anche a Lei Santo Padre, perché in questa trasmissione tante volte ho citato una frase che mi è rimasta dentro, di quelle che proprio vanno a costruirti — ed è una frase che ancora una volta ha pronunciato Lei, che ho ascoltato quando L’ho incontrata a “Nuovi Orizzonti” con Chiara Amirante e don Davide Banzato, e Lei ha ricordato una cosa meravigliosa. Ha detto, a proposito dell’egoismo e a proposito del senso di onnipotenza di cui parlavamo prima, ha detto: «Un uomo può guardare un altro uomo dall’alto in basso solo quando lo aiuta a rialzarsi». E credo che sia un insegnamento clamoroso.
È vero. Nella società vediamo quante volte si guardano gli altri dall’alto in basso per dominarli, sottometterli e non per aiutarli a rialzarsi. Pensa soltanto — è una storia triste, ma di tutti i giorni — a quelle impiegate che devono pagare col proprio corpo la stabilità lavorativa, perché il loro capo le guarda dall’alto in basso, ma per dominarle. È un esempio, di tutti i giorni, di tutti i giorni. Invece, questo gesto è lecito soltanto per fare questo [fa il gesto di aiutare qualcuno ad alzarsi]: soltanto io posso guardare quell’altro, a rischio anche di cadere io, ma il gesto nobile: alzati fratello, alzati sorella. Un altro sguardo dall’alto in basso non è lecito, mai, perché sarebbe uno sguardo di dominazione, e questo non va. Non so, è quello che io vorrei dire.
D. Grazie per aver condiviso con tutti noi questa riflessione. Santo Padre, pur essendo fatti a immagine e somiglianza di Dio, in noi esiste anche il male. L’uomo spesso è stato capace, ed è capace ,di compiere tanto male. Lei crede che gli uomini siano buoni? Insomma, Lei ha fiducia nell’uomo? E al tempo stesso Le chiedo: c’è qualcuno che non merita il perdono e la misericordia di Dio, o il perdono degli uomini?
Dio ci ha fatto buoni ma liberi. E quella libertà è quella che è capace di fare del male. Quella libertà è capace di fare tanto bene e anche tanto male. Siamo liberi, no? Nel mito della Creazione c’è scritto: “Non fare questo, perché accadrebbe questo. E tu hai fatto questo, e ti ammali”. E come [Dio] ci ha fatto liberi, noi siamo padroni delle nostre decisioni e anche di fare decisioni sbagliate. Questa è la libertà che ci ha dato Dio. Ma la fine della domanda mi è sfuggita…
D. Se c’è qualcuno che non merita il perdono e la misericordia di Dio, o il perdono degli uomini.
Sì, grazie. Dirò una cosa per cui forse qualcuno si scandalizza, ma dirò la verità: la capacità di essere perdonato è un diritto umano. Tutti noi abbiamo il diritto di essere perdonati, se chiediamo perdono. È un diritto che nasce proprio dalla propria natura di Dio ed è stato dato in eredità agli uomini. Noi abbiamo dimenticato questo: che chi mi chiede perdono ha il diritto di essere perdonato. “Ah, tu l’hai fatta? Pagala!”. No! Hai il diritto di essere perdonato, e se tu hai qualche debito con la società, arrangiati per pagarlo, ma: con il perdono. Il papà del figliol prodigo aspettava il figlio per perdonarlo, e il figlio aveva il diritto di essere perdonato, ma lui non lo sapeva, per questo dubitava tanto. L’anno scorso alcuni ragazzi hanno fatto un’opera con la musica pop, bellissima. E l’ultimo atto è quando il figliol prodigo — era sul figliol prodigo, l’opera — decide di ritornare a casa, e dice a un amico: “Ma tu sai, ho paura che papà non mi riceva e anche che chiami la polizia e mi mandi in carcere, ho paura”. E l’amico gli consiglia: “Invia una lettera a papà, e digli: papà ho sbagliato, vorrei trovarti, vorrei chiederti perdono, ma ho paura di avvicinarmi. Per favore, se tu sei disposto a ricevermi, a perdonarmi, metti un fazzoletto bianco in una finestra della casa”. Questa è la lettera che invia al papà. E poi l’opera finisce quando il figlio sta tornando a casa e, quando prende proprio il cammino che va diretto alla casa, guarda la casa e la casa era piena di fazzoletti bianchi, piena. Un simbolo del perdono di Dio, ma che è il perdono che noi abbiamo ereditato. E non solo di perdonare e di essere perdonati, ma anche il diritto umano di essere perdonati. Questo è importante, non dimentichiamocelo.
D. Grazie. Poi c’è un altro Male di cui spesso cerchiamo spiegazioni, un Male inspiegabile, quello che colpisce gli innocenti, e ci chiediamo perché Dio, che tutto può, non intervenga. Ma il Santo Padre una volta ha detto, in un commento al Vangelo, se ben ricordo, che Dio è onnipotente, sì, ma nell’amore.
È vero, ci dà la libertà, e tanti mali vengono proprio perché l’uomo ha perso la capacità di andare con le regole, ha cambiato la natura, ha cambiato tante cose, e anche per le proprie fragilità umane… E Dio lascia che questo vada avanti. Per me, una domanda a cui non sono mai riuscito a rispondere e che alcune volte mi scandalizza un po’, è: “Perché soffrono i bambini?. Perché soffrono i bambini?”. Io non trovo spiegazioni a questo. Io ho fede, cerco di amare Dio che è mio Padre, ma mi domando: “Ma perché soffrono i bambini?”. E non c’è risposta. Lui è forte, sì, onnipotente nell’amore. Invece l’odio, la distruzione, sono nelle mani di un altro che ha seminato per invidia il Male nel mondo. Ma il Signore rispetta fino alla fine, accompagna sempre, rispetta. E poi, ha lasciato che suo figlio morisse così e lo ha lasciato andare. È un esempio di come è Dio: è crudele? No. È un mistero, forse, che noi non capiamo bene, ma nel rapporto di Dio Padre con suo Figlio possiamo vedere bene cosa c’è nel cuore di Dio quando succedono queste cose. Dio è forte, è onnipotente: nell’amore. Con le cose sbagliate c’è una curiosità che a me è sempre tornata: con il Male non si parla. Dialogare con il Male è pericoloso. E tanta gente va, cerca — anche io mi sono trovato in quella situazione, tante volte — …perché un dialogo con il Male …è una cosa brutta quella. Gesù non ha mai dialogato con il Diavolo, mai, mai! E quando ha dovuto rispondere, nel deserto, gli ha risposto con la risposta di Dio, tre situazioni della Bibbia, ma mai è entrato: o lo caccia via o gli risponde con la Bibbia. Ma il dialogo con il Male non va bene, questo vale per tutte le tentazioni. E quando ti viene questa tentazione, “perché soffrono i bambini?”, soltanto io trovo una sola strada: soffrire con loro. E per me in questo è stato un gran maestro Dostoevskij. Un gran maestro.
D. Santo Padre, Lei in “Fratelli tutti” ha auspicato un mondo nuovo in cui sia messo l’uomo al centro delle economie e delle scelte. Mi sono tante volte chiesto: ecco, se Lei che ha incontrato molti dei potenti della Terra ha potuto cogliere in qualcuno di loro il suo stesso sentire, la stessa priorità, in qualche modo.
Sì, è vero: ci sono tante persone con cui parlo che hanno tanti ideali. Uno degli ultimi capi di Stato che ho incontrato, era una meraviglia come sentiva [le mie stesse priorità]; ma poi ci sono i condizionamenti politici, sociali, anche della politica mondiale, che fermano le buone intenzioni, e si deve negoziare tanto. Ma ho trovato gente che pensa che si dovrebbe cambiare. In Fratelli tutti, io ho voluto fermarmi nel primo capitolo sulle ombre: quali sono oggi le ombre di questa società. E lì credo di averne descritte la maggioranza e quali sono le malattie sociali di oggi. Tanta gente, tanti governanti che sono bravi, che hanno buone intenzioni, ma tante volte non sono liberi davanti a questa pressione delle ombre che sono culturalmente oggi nel mondo. Credo che leggendo quel capitolo potremo capire perché c’è questa impotenza politica, tante volte.
D. Santo Padre, mi piacerebbe chiederle come vorrebbe e come immagina la Chiesa del futuro e quali sono le criticità della Chiesa di oggi.
Ti dico una cosa: io immagino la Chiesa del futuro come l’ha immaginata San Paolo vi dopo il Concilio, con l’esortazione apostolica Evangelii nuntiandi. Poi io ne ho fatta un’altra, che si chiama Evangelii gaudium, ma non è tanto originale, quella: quella è un plagio di Evangelii nuntiandi e della Conferenza di Aparecida. Ma io ho solo cercato di indicare la strada della Chiesa verso il futuro: una Chiesa in pellegrinaggio. E oggi il male della Chiesa più grande, più grande, è la mondanità spirituale. Una Chiesa mondana. Un grande teologo, il cardinale de Lubac, diceva che la mondanità spirituale è il peggio dei mali che possono accadere alla Chiesa, peggio ancora del male dei Papi libertini: conosciamo la storia, qualche Papa della corte che è libertino. Peggio ancora, dice, peggio ancora. E questa mondanità spirituale dentro la Chiesa fa crescere una cosa brutta che è il clericalismo, che è una perversione della Chiesa. Il clericalismo che c’è nella rigidità, e sotto ogni tipo di rigidità c’è putredine, sempre. Queste sono le cose brutte che succedono oggi nella Chiesa, la mondanità spirituale che ti crea questo clericalismo e che ti porta a posizioni rigide, ideologicamente rigide, e l’ideologia prende il posto del Vangelo: questo è [il clericalismo]. Sugli atteggiamenti pastorali ne dico solo due, che sono vecchi: il pelagianesimo e lo gnosticismo. Cioè, il pelagianesimo è credere che con la mia forza posso andare avanti. Niente! La Chiesa va avanti con la forza di Dio, la misericordia di Dio e la forza dello Spirito Santo. E lo gnosticismo, quella mistica senza Dio, questa spiritualità vuota… che ti fa credere che le cose vanno per questa … No! Senza la carne di Cristo non c’è Chiesa possibile, senza la carne di Cristo non c’è redenzione possibile. Dobbiamo tornare al centro un’altra volta: “Il Verbo si è fatto carne”. In questo scandalo della croce, del Verbo incarnato, c’è il futuro della Chiesa
Abbiamo tutti negli occhi la sua immagine in piazza San Pietro deserta durante il lockdown. In quella piazza deserta in realtà c’erano tutti gli uomini di tutti i tempi, Lei pregava per tutta l’umanità. E Lei chiede sempre di pregare per Lei, anche oggi ha concluso l’Angelus dicendo: “Ricordatevi di pregare per me”. Ma che cosa vuol dire pregare esattamente, Santo Padre? Come si fa a pregare?
Pregare è quello che fa il bambino quando si sente limitato, impotente, [dice] “papà, mamma”. Questo è il primo grido della preghiera. Ma se tu non credi che hai un papà, che hai una mamma vicino, non sai gridare, non sai chiedere. E pregare significa guardare i propri limiti, i nostri bisogni, i nostri peccati, e dire: “Papà, guardami. Il tuo sguardo mi purifica, mi dà forza”. Pregare è entrare con la forza, oltre i limiti, oltre l’orizzonte, e [per] noi cristiani, pregare è incontrare “papà”, come [dice] Paolo: questa parola non la invento io. San Paolo dice: “Dio è padre, e noi gli diciamo “papà”, non padre”. E quando tu ti abitui a dire “papà” a Dio, significa che stai andando bene sulla strada religiosa. Ma se tu pensi che Dio è quello che ti annienterà nell’Inferno, se tu pensi che Dio se ne infischia della tua vita, che non gli importa, la tua religione sarà superstizione. Pregare significa guardare dai miei bisogni, dalla mia piccolezza, come fanno i bambini che dicono “papà”. Una cosa interessante: i bambini, nel loro sviluppo psicologico, passano per quella che si chiama “l’età dei perché”. Perché si svegliano, vedono la vita e non capiscono, e dicono: “Papà, perché? Papà, perché?”. Ma se noi guardiamo bene, il bambino non aspetta la risposta del papà: quando il papà incomincia a rispondere va a un’altra domanda. Quello che vuole il bambino è che lo sguardo del papà sia su di lui. Non importa la spiegazione, importa soltanto che il papà mi guardi, e questo mi dà sicurezza. Pregare è un po’ tutto questo.
Dicevo, Santo Padre: per fortuna non ascoltano la risposta, perché io a tanti perché non ho saputo rispondere, quindi confidavo nella domanda successiva. Posso farle una domanda personale, Santo Padre? Lei si sente mai solo? E ne aggiungo un’altra: Lei ha degli amici? Ha dei veri amici?
Sì, ho degli amici che mi aiutano, conoscono la mia vita come un uomo normale, non che io sia normale, no. Io ho delle mie anormalità, ma come un uomo comune che ha degli amici; e a me piace stare con gli amici, qualche volta, raccontare cose mie, ascoltare quelle loro… ma anzi, io ho bisogno degli amici. Per questo, uno dei motivi per i quali non sono andato ad abitare nell’appartamento pontificio, perché i papi che c’erano prima erano Santi e io non me la cavo, non sono tanto Santo. Io ho bisogno dei rapporti umani, per questo abito in questo albergo di Santa Marta dove si trova gente, si parla con tutti, trovi degli amici. È una vita per me più facile. L’altra non me la sento di farla, non ho le forze. E le amicizie a me danno forza. Anzi, ho bisogno degli amici: sono pochi, sono pochi, ma veri.
Faccio un’altra domanda personale: ma quando Lei era bambino, quando era un bambino, anzi abbiamo una fotografia del Santo Padre, una bellissima fotografia di Lei bambino, proprio, secondo me in quegli anni lì Lei già tifava per il San Lorenzo e giocava a calcio, in porta, per altro. Lei come immaginava il suo futuro? Come si dice ai bambini, che cosa voleva fare da grande?
Vi dirò una cosa che vi scandalizzerà: la prima cosa che io volevo fare era il macellaio. Perché? Perché quando andavo con la nonna o la mamma a fare le spese alla fiera [al mercato], lì vedevo che il macellaio aveva una borsa qui [indica dove teneva la borsa] e metteva i soldi dentro, no? E una volta ho detto: “A me piacerebbe essere macellaio” — “Ma perché?” — “Eh, per i soldi, tanti soldi che ha, no?”. Eh, ma questo si capisce per la radice genovese che ho dalla parte materna, che siamo genovesi… un po’ attaccati ai soldi … Piemontesi pure, ma dissimulano di più… Poi la cosa che è venuta è la chimica: mi piaceva tanto, ho fatto la chimica, ho lavorato in laboratorio e lì ho incominciato la medicina. Stavo preparando l’ingresso in facoltà di medicina quando è arrivata la vocazione, lì, a 19 anni sono entrato in seminario. Ma la chimica è stata una cosa che mi ha sedotto tanto, lo studio della chimica; e poi è andata per la medicina e finalmente qui.
D. Vabbè, in fondo è diventato un medico delle anime e quindi, insomma, non è così distante. Santo Padre, io so che le piace sorridere e che ha un eccellente senso dell’umorismo e questo non sa quanto mi conforta, ma le auguro le faccia sempre compagnia. La ringrazio di cuore perché davvero Lei forse… a volte mi son permesso di dirglielo, insomma: Lei non è soltanto una luce per il mondo ma è una luce sempre accesa a cui sappiamo di potere sempre rivolgerci ed è per noi di grande conforto. Ma la voglio ringraziare tanto per essere stato con noi in televisione, perché anche se il Santo Padre frequenta i social, comunica con Twitter, io so che in realtà — almeno: credo di sapere — che la televisione la guarda proprio poco, in realtà per una decisione presa il 16 luglio 1990. Non oso chiederLe che programma stava guardando quella sera perché doveva essere terribile, se…
È stato il Signore a muovere il cuore. Poi il giorno dopo, il giorno della Madonna del Carmine, ho sentito che dovevo fare questo. Ho guardato soltanto eventi, la presa di possesso dei Presidenti, un incidente aereo, le Torri Gemelle… ma soltanto queste cose particolari e niente di più. Sì, non guardo la televisione, e questo non perché la condanno, no; ma è una decisione che ho offerto al Signore perché me la chiedeva. Ma voglio sottolineare una cosa che lei ha menzionato, il senso dell’umorismo: per favore, è una medicina. Nella Esortazione apostolica ”Gaudete et exsultate” sulla Santità, c’è la nota 101. Cercatela: c’è la preghiera di San Thomas More, per chiedere il senso dell’umorismo. Io la prego da più di quaranta anni. È una preghiera per pregare tanto, ti fa tanto bene. Senso dell’umorismo che ti fa relativizzare le cose e anche ti dà una gioia grande, ti fa gioioso. Questo fa tanto bene, fa tanto bene.
D. Santo Padre, grazie per aver pregato durante la pandemia per tutti noi, grazie per le preghiere davvero per il suo sguardo così paterno verso tutti noi. Lei ha la capacità e la forza di leggere nel cuore di tutti. A volte sembra — mi rendo conto — anche presuntuoso, ma sembra che Lei legga nei nostri pensieri e nei nostri cuori, il che la fa sentire davvero molto vicino a tutti noi. Un Santo Padre, ma davvero un padre. E di questo la ringrazio di cuore. Le vorrei chiedere ancora, prima di lasciarla andare naturalmente, se si vuole rivolgere direttamente ai nostri telespettatori, se vuole dire qualcosa a tutti quelli che la stanno ascoltando.
Mi viene in mente una cosa ma la dirò alla fine. Ringraziare [per] la pazienza. Chiedere di pregare per me, ne ho bisogno. E se qualcuno di voi non prega perché non crede, non sa o non può, almeno che mi mandi buoni pensieri, buone ondate. Ne ho bisogno, della vicinanza della gente. Grazie di ascoltare. E questo per congedarmi. E mi viene in mente una scena di un film del dopoguerra che mi ha fatto tanto bene… Per finalizzare il dialogo, credo che fosse Vittorio De Sica che faceva l’indovino, leggeva le mani: “Grazie, 100 lire”. Io vi dico: “100 preghiere”. “100 lire” — “100 preghiere”. Grazie.
D. Grazie Santo Padre, grazie dell’onore che ci ha concesso. E così come iniziato, concludo: grazie per essere salito sulla nostra barca, grazie per essere stato con noi. Un abbraccio da parte di tutti noi con affetto, se mi permette. Con affetto sincero. Buona serata Santo Padre, grazie. Un abbraccio.
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