Lidia Menapace: Cara sinistra è finito il partito monoteista.

| 24 Dicembre 2015 | Comments (0)

 

Diffondiamo da Il manifesto del 24 dicembre 2015

Non riesco ad appassionarmi al «dibattito politico» in corso. La mia freddezza dipenderà certo dal cattivo carattere storicamente noto, ma ha anche una ragione «oggettiva»: ed è che la sua misura a me pare inferiore alla gravità e modestissima di fronte all’ampiezza delle questioni cui dovrebbe rispondere.

Cerco di dare un minimo di giustificazione critica a questo assunto per ora solo dichiarato. Si può oggi cercar dire qualcosa di «politico» senza ricordarsi che stiamo con un piede già in una guerra, e non occorre dire altro, per evocare tutti i peggiori fantasmi della nostra memoria?

Ma per non ammutolire, perché nessuno si chiede prioritariamente se qualcuno si ricorda ancora dell’articolo 11 della Costituzione che afferma perentoriamente «L’Italia ripudia la guerra» in qualsiasi forma, quella di aggressione che facemmo nella seconda mondiale, e pure quella detta difensiva in occasione di controversie internazionali nelle quali magari potremmo pure avere ragione?

Anche in questo caso dobbiamo ricorrere ad altri strumenti. Sembrava che questo comma dell’11 fosse decaduto per «costituzione materiale» come viene dolcemente chiamata la modifica di fatto della nostra Costituzione, e non nelle forme costituzionalmente previste, bensì per diritto consuetudinario, che peraltro non è il nostro. Capita però che Gentiloni e Kerry trovino invece una proposta per la questione libica di tipo politico e non militare e l’11 Cost. torna in vigore, evviva!

Dobbiamo fare novene a santa Rita, la santa degli impossibili, o a san Gennaro o a padre Pio, a seconda delle superstizioni che ciascuno in qualche modo osserva ? Francamente è troppo aleatorio e comunque certo «non scientifico»: non può essere gabellato per una risposta a Lenin.

Allora appunto: «Che fare?» Affrontare la questione delle forme della politica, che non è una banalità, ma un elemento fondativo per qualsiasi decisione o proposta.

Per non farla troppo lunga, mi ricordo che la questione delle forme della politica e specificamente quella che veniva chiamata alcuni decenni fa la questione della «forma/partito», è appunto annosa: mi appartiene dunque perché — se parlo io — è certo per Storia antica o per «gerontocrazia». Termini peraltro meno sgradevoli che «rottamazione».

Rinvio dunque a una proposta che avanzai allora sul manifesto (del cui gruppo storico facevo parte) che produsse anche un dibattito e poi svanì.

Dichiarato che la forma/partito è stata una delle più straordinarie invenzioni del pensiero e pratica politica, aggiungevo che però essa era adatta a rappresentare una società «semplice» e non era più utile di fronte alla «complessità sociale» scoperta da Niklas Luhmann e che in Italia aveva attratto l’attenzione di tutti i politologi e di Craxi che ne assunse le ricette pratiche , cioè che la «complessità sociale» pone problemi di governabilità e richiede un governo «decisionista». Luhmann aveva scritto le sue proposte per la Thatcher e gli americani degli anni Ottanta.

Rispetto a Luhmann allora dichiarai che bisogna assumere interamente la sfida della complessità, non accettando la proposta della «riduzione della complessità», della reductio ad unum, dell’intrinseco «monoteismo» del pensiero patriarcale e invece proporre di «governare la complessità». A questo punto dicevo che non vi è un solo soggetto politico pieno, ma che ogni soggetto può essere riconosciuto come «politico» se riesce a percorrere l’intero orizzonte della politica. Elencavo perciò il movimento operaio, il movimento delle donne, il movimento della pace, il soggetto dell’informazione (al posto del vecchio incerto e scientificamente indefinibile degli «intellettuali») e proponevo che si andasse costituendo un «Sistema», non un casino, «pattizio» non selvaggiamente intercompetitivo tra le forme politiche ecc. ecc.

Ho aggiunto cose e proposto aggiustamenti, ma a mio parere potrebbe ancora essere preso in considerazione. Ma per avviare un processo di questo tipo bisogna che ciascuno smetta di considerare se stesso come il monoteista unico punto di partenza e invece accetti confronti riduzioni modifiche ecc.

Se ne può discutere? A leggere ciò che propone senza spocchia ma seriamente Rifondazione, a me pare di sì.

 

Category: Donne, lavoro, femminismi, Movimenti, Politica

About Lidia Menapace: Lidia Menapace, all'anagrafe Lidia Brisca, è nata a Novara nel 1924. Giovanissima prese parte alla Resistenza partigiana come staffetta partigiana e nel dopoguerra fu impegnata nei movimenti cattolici, in particolare con la FUCI, Federazione Universitaria Cattolica Italiana. All'inizio degli anni sessanta comincia a insegnare presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore[1]; poi, trasferitasi in Alto Adige nel 1964, fu - assieme a Waltraud Gebert Deeg - la prima donna eletta nel consiglio provinciale di Bolzano e, in quella stessa legislatura, anche la prima donna ad entrare nella giunta provinciale (fu assessore alla sanità). Insegnante, simpatizzò per il Partito Comunista Italiano ma nel 1969 venne chiamata dai fondatori nel primo nucleo de il manifesto. Nel 1973 è stata tra le promotrici del movimento Cristiani per il Socialismo. Lidia Menapace rappresenta inoltre una delle voci più importanti del femminismo italiano. Nelle elezioni politiche del 2006 viene eletta al Senato nelle liste di Rifondazione Comunista; la sua candidatura è stata resa possibile in sostituzione di Marco Ferrando, il leader di una minoranza del PRC, protagonista di una polemica che ne ha comportato la rimozione dalle liste del partito. Pochi mesi più tardi la Menapace ricevette alcuni voti in occasione dello scrutinio segreto per l'Elezione del Presidente della Repubblica Italiana del 2006. È autrice di numerosi libri tra cui: Il futurismo. Ideologia e linguaggio (1968); L'ermetismo. Ideologia e linguaggio (1968); Per un movimento politico di liberazione della donna (1973); La Democrazia Cristiana (1974); Economia politica della differenza sessuale (1987); Né indifesa né in divisa (1988); Il papa chiede perdono: le donne glielo accorderanno? (2000); Resisté (2001) e Nonviolenza (2004); Lettere dal Palazzo a cura di Monica Lanfranco e Luciano Martocchia,(2007) Tutte le riflessioni dal Parlamento da quando Lidia Menapace è stata eletta; Un anno al senato – Lucido diario di fine legislatura a cura di Luciano Martocchia - una cronaca impietosa sulla fine legislatura del Governo Prodi (2008). Ha partecipato con un intervento al testo di Monica Lanfranco e Maria G. Di Rienzo "Donne disarmanti - storie e testimonianze su nonviolenza e femminismo". Poco dopo la nascita del governo Prodi è proposta alla presidenza della Commissione Difesa al Senato, gesto considerato un affronto da alcuni elementi della Casa delle Libertà visto il suo antimilitarismo. A scatenare le polemiche, una sua intervista a Francesco Battistini del Corriere della Sera[3], nella quale descrive inutilmente costose e inquinanti le Frecce Tricolori. La mattina stessa della pubblicazione dell'intervista, al posto della Menapace viene imprevedibilmente eletto il senatore Sergio De Gregorio (Italia dei Valori), sostenuto dall'opposizione. Successivamente è stata duramente contestata da alcuni settori del movimento pacifista per la sua scelta di votare il rifinanziamento della missione in Afghanistan, posizione secondo i contestatori quantomeno incoerente verso i settori dell'opinione pubblica di cui ella diceva di volersi far interprete in campagna elettorale. Dal 6 febbraio 2007 al 28 aprile 2008 ha ricoperto la carica di presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta sull'uranio impoverito.Nel 2009 Lidia Menapace si candida alle elezioni europee nella lista anticapitalista PRC-PdCI nella circoscrizione Nord-Est. Nell'aprile 2011 entra a far parte del Comitato Nazionale ANPI.

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