Cinzia Nalin: Pagine eccentriche 7. Luigi Meneghello: Lingua e dialetto. Lo humor dell’irrazionale

| 10 Luglio 2022 | Comments (0)

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LUIGI MENEGHELLO.

LINGUA E DIALETTO: LO HUMOR DELL’IRRAZIONALE

Anche per Luigi Meneghello è doveroso ricordare che sono passati cento anni dalla sua nascita. Pochi in effetti, anche gli studiosi, che si sono ricordati di questo anniversario. Come altri autori che presento in questa modesta rubrica anche Meneghello è ec-centrico, ovvero vissuto fuori dai centri dove è necessario relazionarsi per essere celebri: Luigi è infatti di un paesino in provincia di Vicenza che ha un nome un po’simpatico e un po’ strano: Malo.

E’ piacevole riportare all’attenzione opere ed autori che andrebbero letti o riletti ma pochissimi quelli che, come Luigi, riescono anche a strapparci un sorriso. Il suo capolavoro ha un titolo “giocato”, Libera nos a Malo, dove Malo ha una doppia valenza che presenta l’amore dell’autore vicentino per quella strana attività umana che è il linguaggio e il suo gioco sotteso.

Pare importante porre in luce inizialmente come la strada di Meneghello inizi al suo paese dove si parla il dialetto, come poi si sviluppi nella cultura e studio dell’italiano (nel quale si laureò a Padova) e fu proprio l’italiano che gli fu chiesto di insegnare all’Università di Reading prima e a Londra poi perciò necessariamente di ampliare all’inglese la sua conscenza. In Inghilterra visse quasi tutta la vita e parlò perciò correntemente l’inglese senza dimenticare il suo dialetto: equivale a dire senza dimenticare cultura, paese, infanzia. Fu critico fine e saggista, un profondo conoscitore delle lettere e del loro studio incessante fino alla fine, triplicando la vertigine del suo plurilinguismo.

Questa strada anomala è tutta raggomitolata e proviene come da emanazione, da una terra piccola, da un borgo che è un micro mondo e parla la sua micro lingua. Così come Jurij Michajlovic Lotman, il grande pioniere russo della semantica e dello strutturalismo, parlò di semiosfera come di qualcosa che denota quello spazio nel quale diversi sistemi di segni di una cultura possono sussistere e produrre nuove informazioni, così Meneghello ce ne offre un saggio tangibile. In più la concretezza della vita quotidiana che l’autore sussume nel suo romanzo-documento è un capolavoro di allegra simpatia e umorismo spontaneo che strappa una risata.

I racconti dell’infanzia dei ragazzini di Malo, del decennio venti e trenta del novecento, si dipanano poi fino all’arrivo del boom economico e del benessere che, se nulla tolgono ai folgoranti aneddoti di un paese trasformato, aggiungono però un’ombra malinconica di ripiegamento, peraltro tipica della parte oscura dell’umorismo. Quello che è un gioiello letterario dimenticato, si presenta in tutta la sua modernità, anzi la sua contemporaneità con una scrittura breve, a volte sincopata, folgorante quasi come il lampo di un’immagine, la brevità intrisa di ironia che tende alla comicità avvicina la narrazione ad una striscia di fumetto, ricorda gli uomini-bambini Peanuts di Charles M. Schulz che la fantasia invera rendendo invece ridicole le sicurezze dei grandi; ricorda una modernissima grafic novel dove accade di tutto e nessuno muore e se muore anche questo avvenimento è percepito come qualcosa che fa parte della vita, e come la non persistenza dell’oggetto freudiana nel bambino, chi muore esce solo di scena e spesso magari è atteso a ritornare. Tutto perciò giocato sul’asse del principio di contraddizione che è quello del sogno, del gioco di parole, del motto di spirito.

La struttura del romanzo, la suddivisione dei blocchi dei capitoli, segue non solo la crescita dei ragazzini ma anche la narrazione dei avvenimenti  dei parenti  econ essa la ricerca delle proprie origini, attraverso le ramificazioni genealogiche e la contiguità tra famiglie che finisce per creare un’unica famiglia, una comunità che per salotto ha la piazza, per campo sportivo tutti i cortili, per scuole un’unica classe: soprattutto lo stesso linguaggio.

Il dialetto inteso da Meneghello è quello stesso di Pasolini friulano nella prima raccolta La meglio gioventù, che data 1942 e riguarda anni analoghi a quelli dello scrittore vicentino, così come è necessario ricordare l’intento di adesione al significato simbolico di Virgilio Giotti, triestino dei primi anni del secolo, poeta cultore del vernacolo più antico e aderente alla purezza percettiva. La purezza del dialetto di questi autori si rifà a quella appercezione di cui parla proprio Meneghello, delle cose nominate: un significato totalmente disarticolato dal significante là dove le parole e le cose divergono e le prime nascono come sensazione primitiva e non mediata, delle cose stesse. Per coloro che vivono a Malo esprimere, nominare una animale, anche il più piccolo, un fiore, una roggia con dell’acqua che scorre, è evocarne la magia dell’essere, del far parte del mondo sensibile e nello stesso tempo di un mondo delle fiabe. I lemmi si inanellano e fioriscono a modo loro e spesso anche in modi, sintassi, formulazioni, prefissi e suffissi diversi nel tempo e nei luoghi, luoghi magari divisi da una strada e temi di generazioni successive.

(…) le dolci fricative del paese sono rozze stoppate sulle colline: a Malo si zugava, si  dugava al Feo (…)  (Libera nos a malo, p. 42)

(…) Aria del pomeriggio, silenzio, domenica.

Aliolèche tamozeche

Taprofìta lusinghè

Tulilàn blen blu

Tulilan blen blu

Avventura turchina (…) (op. cit. p. 43

E ancora

(…) qui in alto c’era la sfera nitida,spaziosa, aperta e nuda dei granai

,il mondo scorporato dove emigrano le idee dei giocattoli rotti,

degli oggetti spenti: il mondo delle essenze che l’artista ha cercato

di riprodurre in pietra serena a San Lorenzo (…) (op. cit. p. 88

Le capriole linguistiche di Luigi ricordano un gioco infantile, una filastrocca, un nonsense che allo stesso momento si carica di un senso comune, che fa comunità, famiglia e che racconta, fa filò. Storie raccontate nelle stalle quando fa freddo e che costruiscono quel mito che diventa la verità di una gruppo di persone: quello che l’italiano non è mai riuscito a diventare, partendo da una concretezza reale porta solo a verità relative e spesso non condivise. Ad un modo delle idee dove giacciono le Madri parole delle cose. L’estrema ricchezza dell’italiano con il quale è retta la parte narrativa, che cerca la sua origine dialettale, è modulato come su una tastiera ben conosciuta, tra registri di parlato come di italiano lirico o ricercato. Tutto amalgamato con citazioni in latino, francese e inglese. Tutto concorre a descrivere tutta una società che procede lungo i decenni verso una trasformazione inclusiva ed arricchente.

Il dialetto di Malo diventa tutti i dialetti italiani, tutte le micro realtà di cui è formato il corpo della nazione, ogni paese di ogni regione può riconoscersi nel racconto meneghelliano con le proprie specificità. Ogni ragazzino riconoscerà con  proprio grazie alla semisfera lotmaniana, il proprio dialetto, attraverso esso gli stessi giochi e le stesse avventure, ogni padre e madre riconoscerà la propria casa nominata con la stessa appercezione del proprio vernacolo.

Allo stesso modo ogni uomo può vedere descritta la propria parabola di vita a partire da quella di questo straordinario documento: la sua magia nasce da una lingua che non è scritta, è raccontata ed entra nel profondo mistero del mito che accomuna il genere umano.

Il corpo del romanzo, il suo fuoco è una madeleine , di proustiana memoria, grande come tutta l’opera, dove ogni lettore può cercare la strada che dal tempo perduto riporta al tempo ritrovato.

Grazie a questa straordinaria e particolare magia che genera un’opera veramente particolare, vale la pena di ricordare la genialità di Luigi Meneghello, uno scrittore che riesce a universalizzare ricordi e sentimenti coagulandoli e impastandoli con il dato fatato del linguaggio.

Category: Libri e librerie

About Cinzia Nalin: Nasce e vive a Venezia, si diploma al Liceo Classico e si laurea col massimo dei voti in Lettere Moderne a Ca’ Foscari. Si specializza nello studio critico dell’ Otto-Novecento italiano e francese. Segue il metodo critico psicanalitico di Francesco Orlando, che fu colui che la spinse all’applicazione della psicanalisi alla letteratura. Ha scritto saggi critici su Pasolini, Parise e Nievo. Studiosa di Pasolini e di autori che provengono dal nord est e dal confine con l’Austria e la Slovenia, si interessa di cinema e fa parte del collegio di lettura del Festival del Cinema di Trieste “Mattador”. Studiosa anche di Storia e Filosofia, intreccia nei suoi saggi ed articoli una visione trasversale della letteratura che non prescinde da ciò che crea il totale dell’animo umano nella produzione artistica. Ha presentato i suoi saggi in sedi quali l’Ateneo Veneto. Ha gestito a Venezia la libreria Serenissima. Ora gestisce una libreria indipendente a Bologna, La Luce Verde in Piazza Aldovrandi, e agisce da operatrice culturale.

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