Cinzia Nalin: Pagine eccentriche 5. Gianni Celati: L’ultimo volo sopra tempo e spazio

| 13 Gennaio 2022 | Comments (0)

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Cinzia Nalin. Gianni Celati: l’ultimo volo sopra tempo e spazio

 

Oggi, che le feste sono finite e che ci avviamo al Carnevale, viene il desiderio di ricordare che Gianni Celati ci ha lasciato. Nel pensare a lui non si può prescindere dal carnevale bolognese.

Alice era la bambina che volava sopra i tetti di Bologna, raccontando che tutto poteva essere relativo. Attraverso il sogno della libertà di una radio che potesse esprimere un desiderio altro. Erano gli anni del “Carnevale a Bologna”: così intitola il settimo capitolo del suo libro “Settanta”, Marco Belpoliti.

Alice e i bambini sono il centro della festa di Gianni Celati, la festa della magia infantile di giocare con la grammatica e la sintassi per combattere un potere impositivo. Quella magia dell’inversione del significante per staccarlo dal significato, percepito che imposto, vuol veicolare il significato della realtà e il suo contrario. Su questo registro sono modulate le sue prime prove di scrittore.

Gianni Celati, nato a Sondrio nel 1937, ci ha lasciati il 3 gennaio, lì dove un nuovo anno regala delle speranze che oramai lo scrittore, come molti di noi, riesce a pensare sempre meno allegre.

Lui è stato parte degli anni settanta, quegli anni in cui il boom economico si era disintegrato nel fragore degli attentati fascisti e nella strategia della tensione. Anni complessi, anche oggi, da decifrare e di cui capire il significato.

Celati con la sua La banda dei sospiri e il Lunario del Paradiso, credeva in una rivoluzione basata sulla carnevalizzazione rabelaisiana di Bachtin (M. Bachtin, L’opera di Rabelais e la cultura popolare), una riscoperta dell’allegria dell’assurdità surreale che trova la sua mitogenesi nella letteratura popolare. Di una civiltà semplice contadina, de-centrata dalle luci della città e più aderente alle origini. Il gorilla quadrumano di cui lo scrittore scomparso parla nell’articolo apparso su “Rinascita” il 9 agosto 1974, vuole essere il trait d’union tra la parte primitiva e sognatrice, assurda e perciòvera, nella misura in cui può essere vero un sogno, e la parte sociale percepità come imposizione. Quello di Celati è un discorso politico, certo tutto fu politica allora, come sostiene Foucault, specie in quel carnevale bolognese, ma anche francese, americano, tedesco di quel decennio.

Celati si fa ricordare per la sua opera di docente al DAMS di Bologna, un’opera preziosa che formò e indirizzò verso il riso e lo sberleffo, il sovvertimento grottesco nei confronti di una borghesia violenta ed esausta che usava invece la prepotenza e il potere. Attorno al suo insegnamento si sviluppa un movimento verso un carnevale per le classi popolari, contadine e piccolo borghesi e il loro semplice parlato, un modo recuperato di far esplodere regole grammaticali e lessicali con il gioco verbale che riprende un medioevo che colloquia con la morte e la trasgressione. Il movimento diede forma a quel romanzo giovanilista che è stato di Enrico Palandri, di Pier Vittorio Tondelli, di Roberto “Freack” Antoni, di Andrea Pazienza. Di ragazzi che raccontano ormai un’altra Italia, quella delle marginalità, dei quartieri di periferia e del disagio profondo che oramai era divenuta la nota centrale degli anni che andavano verso l’edonismo reaganiano. La letteratura che si inserisce in quel filone di giovanilismo che tramontò e finì nella durezza decadente e violentemente vuota dei cosiddetti “cannibali”.

Celati rimane un caposcuola che si dedicò a tutto il mondo delle arti visive, così come il suo DAMS; negli anni ottanta il sodalizio con Luigi Ghirri lo portò verso la fotografia, verso le terre della sua infanzia e giovinezza, quelle del ferrarese fino alle foci del Po. Terre sospese tra caldo estivo, sciami di zanzare e nebbie così spesse da significare il disorientamento a-temporale e a-storico del suo raccontare. Una densa realtà di territorio che è lo scenario di tutto il suo lavoro di narratore prezioso.

Non si può dimenticare quanto l’autore ferrarese getta il cono di luce su un paesaggio post industriale e su una campagna di silenzio e solitudine che diventa la nota dominante delle brevi frasi che compongono la “musica” del suo narrare. Tutto inquietante e sospeso quanto coinvolgente e incerto.

Anche attraverso la sua opera fotografica, attraverso le collaborazioni a soggetti, sceneggiature, documentari e film ha comunque sempre raccontato. In metafora, in metonimia, in un modo altro e diverso.

Gianni Celati nella metà degli anni ottanta cambia il registro: il movimento del sogno carnevalesco, del tentativo rivoluzionario del “Gruppo ‘63”- di cui fece parte, se pur in modo più marginale – si stavano esaurendo. La sua narrativa polimorfa ci regala opere come Narratori della Pianura e Verso la foce. Il suo sentire narrativo descrive in modo diverso le povere terre contadine dei dintorni del Grande Fiume che non hanno conosciuto le nuove ricchezze se non con un marginale benessere. L’autore recupera una narrazione più tradizionale dall’ oralità, la marginalità della bassa padana tendono e si impastano con il dialetto, con modi di fare, di vestire, con semplici, silenziosi, pacati modi di scandire i fatti in modo antico. I piccoli fatti narrati accompagnano il lettore in un sentiero arcaico e visionario là dove realtà e fantasia divergono ma dove anche si fondono.

La nota più importante dei racconti che formano i due volumi è il piacere di scrivere e l’immenso piacere di leggere. Un piacere oggi veramente raro da farci sentire “poveri e soli”, privi di una letteratura che ci fa provare la sensazione di essere avvolti e trascinati dentro alla magia del raccontare.

Nelle sue opere Celati davvero ci regala questa che è una magia. I suoi personaggi sono collocati in un non-luogo e sono non-personaggi di storie che possono anche non-essere, più che avere un’esistenza sono esistenziali. Assomigliano ai sogni o alle fiabe, ai racconti dei nonni nelle campagne. Sono della stessa natura ipotetica e onirica che non può non farci riandare a Se una notte d’inverno un viaggiatore di Italo Calvino, che non a caso fu amico ed estimatore dello scrittore scomparso.

I suoi documentari e le sue foto degli anni ’90 riprendono “Case che crollano”, dal titolo di un suo docu-film, ritraggono con amarezza l’archeologia industriale immersa in campagne deformate nella loro essenza primordiale. Panorami narrativi e filmici distorti in “anamorfosi” tragiche che parlano ormai di un segmento di civiltà occidentale entrata in una dimensione di annullamento nichilistico e di dopo storia pasoliniano.

Gianni Celati si è ritirato in Inghilterra nel 1990 là dove è morto, dopo aver molto viaggiato, osservato, assaporato una fine novecento senza quel Riso beffardo degli anni settanta. Rimane la sua straordinaria capacità di raccontare che veramente coinvolge nelle fragili e instabili trame che tengono l’attenzione sulla scrittura perché i suoi finali sono imprevedibili.

Come la vita. Quel dondolio continuo che ci fa domandare, immersi nei suoi racconti, se l’esistenza coincida con la vita reale o sia una dimensione diversa: quella del fantastico del narrare, del sogno, dell’infanzia, del gioco carnevalesco del contrario.

Category: Ambiente, Arte e Poesia, Libri e librerie, Migrazioni, Movimenti

About Cinzia Nalin: Nasce e vive a Venezia, si diploma al Liceo Classico e si laurea col massimo dei voti in Lettere Moderne a Ca’ Foscari. Si specializza nello studio critico dell’ Otto-Novecento italiano e francese. Segue il metodo critico psicanalitico di Francesco Orlando, che fu colui che la spinse all’applicazione della psicanalisi alla letteratura. Ha scritto saggi critici su Pasolini, Parise e Nievo. Studiosa di Pasolini e di autori che provengono dal nord est e dal confine con l’Austria e la Slovenia, si interessa di cinema e fa parte del collegio di lettura del Festival del Cinema di Trieste “Mattador”. Studiosa anche di Storia e Filosofia, intreccia nei suoi saggi ed articoli una visione trasversale della letteratura che non prescinde da ciò che crea il totale dell’animo umano nella produzione artistica. Ha presentato i suoi saggi in sedi quali l’Ateneo Veneto. Ha gestito a Venezia la libreria Serenissima. Ora gestisce una libreria indipendente a Bologna, La Luce Verde in Piazza Aldovrandi, e agisce da operatrice culturale.

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