Il carcere minorile di Bologna e la sua città muta

| 15 Febbraio 2012 | Comments (0)

Il “pratello” in una città affaticata dai mutismi.

  1. Generalizzare davanti ai fatti del “pratello” diventa una facilitazione che assolve, toglie peso alle responsabilità, e permette una ricercata neutralità che agevola il “distacco” dal coinvolgimento emotivo agli interessati e ai coinvolti direttamente o indirettamente nei fatti conosciuti non attraverso l’amministrazione ordinaria delle strutture del “pratello” ma con le indagini di ben cinque Ispettori del Ministero della Giustizia.
  2. Interessa invece capire lo specifico delle funzioni individuali e collettive in un struttura di giustizia. Interessa – per capire il fatti del “pratello” – l’ordinario di una amministrazione che non è costituita solo sugli intenti della custodia esercitata verso individui di minore età, che hanno commesso reati, ma che si fonda sui dettati educativi della legge contemplando pienamente, diritti e percorsi, di persone che devono ancora crescere e come tali essere educati pur essendo rei e condannati.
  3. Interessa capire il silenzio degli impiegati pubblici ministeriali, investiti pienamente dalle funzioni educative così come indicate dal Diritto Mite e dalle riforme che negli ultimi vent’anni hanno aiutato la sua realizzazione. Il Diritto Mite o Dolce, che è quello delle possibilità e della messa alla prova e che (ri) collega la persona al territorio, alle relazioni, agli strumenti e alle opportunità per poter capire la propria situazione e per decidere le proprie scelte. Interessa capire il silenzio dell’impiegato pubblico ma soprattutto quello dell’educatore.
  4. Interessa capire il silenzio in questa enclave, il “pratello” nel cuore di una città che non sa fare i conti con se stessa e che usa dispositivi istituzionali tipici dei meccanismi di esclusione per gestire fenomeni come l’immigrazione, le minoranze etniche e le condizioni giovanili, nelle sue periferie e nei suoi centri. La tensione e le attenzioni sulle istituzioni totali e il male pubblico che al loro interno si produce ordinariamente, vengono meno in una città che non si interroga sulle sue forme di solidarietà indirizzate alle situazioni e alle persone in stato di debolezza e vulnerabilità. Vengono meno per affermare un modello di autoreferenzialità presente e diffuso fra politici e tecnici, che hanno comunque e sempre ragione. Infatti nei ruoli pubblici, si riscontra una intensionale disattenzione, di espressione e responsabilità, che rende difficilmente visibile la distinzione fra il politico e il suo tecnico e che costantemente trasmette una immagine che attribuisce “oggettività” ad ogni decisione e scelta istituzionale. Le attenzioni sono distorte in una città dove funziona ancora un Centro di permanenza Temporanea, (ora CIE) La città, questa città, allontana le persone dal territorio, dalle relazioni, dagli strumenti e dalle opportunità, Questa città, è debole nel chiarire le sue incoerenze andando alla radice delle ingiustizie e delle violenze. Questa è un città dove le mediazioni non trovano spazio (anche la mediazione penale è arrivata con molta difficoltà al “pratello” senza per altro poter strutturarsi e ufficializzarsi) Questa è una città senza un progetto verso i giovani e senza un progetto politico, non sa e non vuole realizzare utopie per andare avanti oltre la storia acquisita che le fa vivere di rendita. Questa è una città in forte crisi di mutualità dove con difficoltà si intravede il prossimo in un rapporto diretto e attraverso la considerazione istituzionale.
  5. Sarebbe sensato riprendere a parlare e discutere e soprattutto sarebbe saggio davanti a questa crisi di mutualità, istituzionale e sociale, ritornare a rivendicare e esigere diritti, dentro e fuori le istituzioni totali. Sarebbe indicativo sforzarsi a descrivere e superare l’ovvio che investe “le giustificazioni” di chi si pone come mero esecutore dell’azione pubblica. Sarebbe utile una assemblea cittadina – costruita anche con una certa estetica, una certa bellezza – per opporsi al male ma anche un consiglio comunale, per capire il “pratello” e come ci coinvolge.

grazie

Dimitris Argiropoulos,

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Category: Carceri, Osservatorio Emilia Romagna

About Dimitris Argiropoulos: Dimitris Argiropoulos è docente di Pedagogia all’Università di Bologna, città dove vive e lavora a partire dagli anni ’80. Educatore, si occupa di pedagogia della marginalità e delle emergenze e di pedagogia speciale. È particolarmente interessato ai contesti della marginalità estrema relativamente alle migrazioni, alla profuganza e alle minoranze etniche. Ha condotto ricerche riguardanti le condizioni di vita e la riduzione della partecipazione e delle attività dei rom in situazione residenziali di campi “nomadi” e ha indagato il rapporto tra immigrazione e disabilità. Attivista e membro della Fondazione Romanì, ne coordina il Comitato Scientifico, ed è coinvolto in attività di cooperazione educativa internazionale. Si occupa di schiavizzazione e traffico di esseri umani e si interessa della formazione degli Educatori di Strada.

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