Diffondiamo dalla rivista di poesie www. versanteripido.it. Le foto sono di Yui Mok e hanno come titolo Dismaland, una istallazione artistica temporanea creata in alternativa a Disneyland
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Ognuno ha il suo sguardo.
Anche gli occhi che si assomigliano hanno sguardi differenti.
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A volte occhi differenti hanno sguardi vicini.
Dico questo perchè parlo di una poesia che è il vedere del mondo nel quale nasce il peculiare, intimo, affettivo, estroso, esibizionista, doloroso piacere del vivere.
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Se si scrive per sofferenza si scrive per liberazione da essa.
Se non si può uscire dalla sofferenza, la poesia mette ordine.
Curare il proprio disagio è come ristrutturare l’appartamento dell’anima, della psiche, del corpo.
La parola, la narrazione, la poesia, divengono strumenti e progetto in divenire.
La parola rende visibili i lavori sommersi, quelli evidenti, quelli strutturali, quelli dimenticati.
La poesia è un dono della natura culturale, come una foglia, una corteccia, una radice.
Nessuna foglia, nè corteccia, ne radice, nasce per curare qualcuno.
Ciò nonostante molti si curano attraverso le loro proprietà di forza e simbolo.
Così è per la poesia, mi pare…
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Nata solo per se stessa come le infinite arti del mondo si trova vestita dai vari bisogni umani.
Personalmente non ho mai amato molto la poesia legata al disagio, non l’amo come scrittore, mi piace invece come lettore. In me il produttore e il consumatore non coincidono. Raramente scrivo di sofferenza o disagio, mentre invece ho bisogno di leggerne abbondantemente per poter scrivere di sogni. In questo caso, nel mio caso, si potrebbe dire che è comunque poesia legata al disagio, anche se quel disagio non si evidenzia nei versi perché è una fuga, una scappatoia di salvezza.
Parlo di me poiché non ho cultura letteraria a sufficienza per sostenere un ruolo da epistemologo della poesia, sono un empirico e posso parlare delle esperienze.
Come educatore uso la Poesia come strumento di dialogo negli ambiti nei quali mi trovo ad operare, questi ambiti sono spesso ambiti di disagio. Non la Poesia, ma la funzione che prende in questo caso, è spesso un’espressione di denuncia, di sfogo, di rabbia, di disperazione.
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Ma queste forti emozioni, queste esperienze al limite della sopportazione, mi hanno fatto capire che la Poesia è un contenitore di esperienze. Che senza questo contenitore simbolico formale, le vite delle persone come l’acqua o i gas, pietre e sabbia, si disperderebbero nel vuoto, e nessuno riuscirebbe ad incontrare se stesso.
Incontrare se stessi è il primo passo per l’artista, che lo fa in modo autonomo, ma vale anche per ogni persona che necessiti quindi, di un atto pedagogico dell’incontro, un incontro che inizialmente sia un impatto col dolore, e dopo con la bellezza. Perché è sempre stato così nel mio lavoro di educatore e poeta, dove c’è disagio c’è sofferenza, ed esprimersi è il rischio di essere se stessi, ma esprimersi è fermare la fuga. Non puoi dimenticare o fuggire quello che stai scrivendo, anzi, scrivere è un gesto magico propiziatorio che permette di avere potere sugli eventi, sulla tua vita. La sofferenza non nasce dal provare dolore, ma dal subire l’esistenza carica di impotenza, priva di autodeterminazione. Anche nei casi più disperati, la poesia diviene un filo sul quale scorre una resilienza lieve, ma che apre un varco di possibilità.
Per esperienza, per testimonianza delle tante persone che ho seguito, questo filo fa la differenza tra il nulla e l’inizio di qualcosa. Un qualcosa che nel tempo cresce e si fa vita.
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Perché incontro spesso la poesia nel mio lavoro sul disagio?
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Perché la poesia è una terra libera e adattabile a tutti i tipi di esistenza, a tutti i tipi di cultura. Nella poesia scorre la parola. Non per forza deve essere una forma d’arte, oppure d’arte contemporanea che è divenuta esclusivamente “Intenzione comunicativa” con i suoi infiniti inganni. La poesia può contenere uomini e donne, bambini, adolescenti, anziani, tutte le etnie, ecc.
Vedo la cultura letteraria scomparire in un mondo globale, non perché non esistano più gli scrittori o i poeti, di quelli ce ne sono anche troppi, ma sono sempre più Poeti da menù internazionale. Chi non cresce con i sapori della propria terra, come molti degli adolescenti che ho seguito, col tempo non riesce più ad assaporare e ed apprezzare i sapori delle altre terre, e parlo di terre culturali, che non sempre seguono i confini delle nazioni.
Queste sono parole della mia esperienza personale, alla quale faccio prevalentemente riferimento, ma come professionista, il mio uso della parola, come bisturi lavorativo deve avere anche una testimonianza di accreditamento scientifico o storico. Come Poeta sono un uomo libero nell’arte, che è tutto e nulla, come Educatore devo percorrere le strade delle testimonianze “altre” che diano certezze e base alle mie proposte. L’esperienza della Parola, utilizzata in tutte le culture e in tutti i tempi deve anch’essa trovare una strumentalizzazione nel modello attuale dove prevale il concetto di scientificità. Quindi ci troviamo ad osservare che la Poesia sia studiata dalle neuroscienze.
Attualmente La comunità scientifica dei Neuroscienziati e Psicologi Cognitivi che stanno studiando il rapporto tra linguaggio e cervello, valorizzano l’espressività poetica come un evento neurologico “costruttore e strutturante” la realtà di cui facciamo esperienza, quindi il nostro modo di vederla, ma anche successivamente le azioni che mettiamo in campo da questo punto di vista. Possiamo affermare dal punto costruttivista della scienza che la Poesia divenga “azione” e non solo pensiero.
I Neuroscienziati vedono nella struttura poetica e nella scrittura, la radice degli effetti eventuali non solo a livello esistenziale ma anche sul piano fisico, possiamo trovare in rete varie ricerche su campioni di persone fatte in ospedale, dove si dimostrano gli effetti benefici sul piano fisiologico della scrittura e della poesia rispetto a varie tipologie di pazienti e per tipologia di patologia.
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La poesia possiede per gli scienziati tanti registri che permettono le azioni dirette sugli emisferi cerebrali. I versi come righe brevi e di varie modulazioni, la voce che legge, permettendo figure formali, ritmo, rima, insight, intuizioni, evocazioni ecc. fa equiparare la Poesia alla musica più che alla scrittura. Come se la poesia risentisse ancora della sua infanzia arcaica, fatta prevalentemente di di voce evocativa, modulazione, canto e memoria.
Anche il grande psiconalista Hillman, afferma la “base poetica della Mente”. Molti psicologi hanno ultimamente strutturato (mi dispiace ma dico anche strumentalizzato) questo emergere del rapporto tra “Poesia e Disagio”, tanto da costruire terapie di tipo Poetico, con un percorso definito a step, irrigidimentito dentro a cornici strutturali che mi lasciano in dubbio, ma che sono sicuramente rassicuranti ed efficaci allo scopo terapeutico.
Io preferisco pensare che la poesia non debba mai guarire nessuno, può essere espressione del disagio come della gioia, come di tutte le istanze umane. Il beneficio che la poesia ci può donare è il portarci in intimità col proprio o l’altrui disagio, e questa intimità è ricchezza estenziale, indipendentemente dal piacere o dal dolore esperienziale.
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Vi immaginate Giacomo Leopardi che sul lettino dice allo psicologo: “Ahi dal dolor comincia e nasce l’italo canto” parlando della sua lirica ad “Ad Angelo Mai” e poi si lamenta per tutta la seduta, terminando:
“Poi che dormono i vivi; arma le spente
Lingue de’ prischi eroi; tanto che in fine
Questo secol di fango o vita agogni
E sorga ad atti illustri, o si vergogni”
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Infine si sente meglio il Signor Leopardi ed esce pagando la seduta 50 carlini (moneta napoletana dell’epoca)
Fare Poesia non è assimilabile alla cura dell’anima, poiché nessuno di noi è la propria malattia, né il proprio benessere, né la propria inquietudine.
Tante cose e tanti eventi abbiamo dentro, aspetti che con il loro brillare e il loro passaggio ci attirano l’attenzione, ma esistenzialmente penso che siamo comunque più cielo diffuso che solide stelle…
Category: Arte e Poesia, Welfare e Salute