Abolire il valore legale del titolo di studio? No grazie

| 7 Giugno 2012 | Comments (0)

Il governo Monti, riprendendo quanto affermato dal governo Berlusconi, si propone di abolire il valore legale del titolo di studio ma sia il sondaggio fatto dal Ministero sia il Contro sondaggio danno risultati netti: la stragrande maggioranza delle persone intervistate è contro l’abolizione del valore legale del titolo di studio. Vengono riportati due testi: (a) I risultati del Contro sondaggio sul valore legale del titolo di studio presentati dall’Assemblea nazionale dell’Unibec (Università del bene comune) il 5 giugno 2012; (b) Un commento di Maurizio Matteuzzi sulle differenze di stile

Unibec: I risultati del Contro sondaggio

Il 16 maggio si è concluso il contro sondaggio promosso dall’Assemblea Università Bene Comune sul valore legale del titolo di studio, iniziato il 17 aprile e realizzato attraverso un questionario somministrato in formato elettronico per l’auto compilazione via web. Il questionario riguardava, oltre al problema del valore legale, anche altri aspetti dell’organizzazione dell’università nel nostro paese, sui quali daremo puntuale notizia nei prossimi giorni.

Nonostante il silenzio assordante della stampa, attraverso la rete e il passa parola al sondaggio hanno risposto 4.155 cittadini, di cui il 58,7% appartenenti al mondo universitario. Va subito osservato che il 69% dei rispondenti non ritiene che quella del valore legale del titolo di studio sia una priorità per il sistema universitario italiano. Tra i rispondenti i gruppi più numerosi sono quelli degli studenti (22%) e dei lavoratori dipendenti a tempo indeterminato (44%). Analizzando l’insieme dei rispondenti secondo il titolo di studio emerge che ben il 45,6% è laureato e il 26,6% ha conseguito il dottorato di ricerca. Si tratta quindi di un insieme altamente informato sulla situazione universitaria, in cui la percentuale di rispondenti sotto i 35 anni è pari al 38%.

Complessivamente l’84% dei rispondenti ha espresso un parere contrario all’abolizione del valore legale del titolo di studio. Questo risultato si aggiunge e fornisce conferma a quello registrato dal sondaggio organizzato dal ministro Profumo, al quale hanno partecipato quasi 24.000 cittadini, di cui il 74% è contrario all’abolizione del valore legale del titolo di studio.

L’esito concorde dei due sondaggi, tra di loro indipendenti e indirizzati verosimilmente a strati di popolazione ben differenziati, indica in modo non equivoco che l’orientamento prevalente della cittadinanza, quantomeno della sua componente più attiva ed informata sulle problematiche in oggetto, vuole che il sistema di istruzione della Repubblica mantenga e rafforzi le caratteristiche di inclusività e di promozione sociale che la Costituzione del 1948 indica come stelle polari dell’azione politica, in quanto presupposto necessario affinché tutti i cittadini possano essere egualmente liberi. In pratica l’esito dei due sondaggi certifica che i cittadini vogliono, concretamente e non in astratto, una politica che faciliti l’accesso delle classi meno abbienti ai gradi più elevati dell’istruzione.

I darwinisti sociali del merito e dell’eccellenza (la cui politica sociale si sostanzia nella massima “i poveri sono poveri perché se lo meritano”, ovvero, con il linguaggio più chic degli economisti marginalisti, “perché non hanno investito abbastanza nel loro capitale umano…”) escono sconfitti da questa consultazione, e la loro sciagurata alleanza con le forze più apertamente reazionarie dello scacchiere politico (il governo Berlusconi e il ministro Gelmini) mostra tutta la sua miseria.

Filosofia della miseria” che tuttavia affligge anche il governo dei tecnici (cioè “i migliori”, perché se non fossero i migliori su cosa sostanzierebbero la loro legittimità?), come mostrano sia il tentativo del ministro Profumo di introdurre l’abolizione del valore legale dei titoli di studio per decreto, sia la gestione “omertosa” dei risultati del “suo” questionario.

La stessa “filosofia della miseria” informa anche la bozza di “decreto sul merito”, con le americanate alla McDonald sullo studente dell’anno, l’obbligo di attività didattica per gli assegnisti di ricerca (ritorniamo al lavoro servile dell’Ancien Régime), l’abolizione della tenure track per i ricercatori a tempo determinato e il ripristino dei concorsi locali (misura alla quale Profumo parrebbe però aver già deciso di rinunciare).

Nelle prossime settimane presenteremo un’analisi approfondita dei risultati del controsondaggio: grazie alla preziosa collaborazione di quanti hanno partecipato all’iniziativa, disponiamo ora di tantissimi input e suggerimenti utili sugli aspetti prioritari da migliorare nell’organizzazione dell’Università italiana. Giudichiamo molto positivamente l’esperienza di questa indagine, forti della convinzione che, per impostare una vera politica riformatrice e contrastare il tentativo egemonico delle forze conservatrici, sia oggi più che mai necessario dare corpo ad una vera e propria inchiesta dal basso sulla situazione degli atenei e sui bisogni e sui desideri di coloro che li popolano quotidianamente.

 

Maurizio Matteuzzi: Differenze di stile

Confesso: ho sempre invidiato quel tipo di competenza che hanno gli esperti d’arte. Con un’occhiata, anche a un particolare, ti dicono “questo è un Caravaggio”, oppure no. Avevo un amico, grande esperto e appassionato d’arte, che, con alcuni colleghi, si divertiva in questo modo. Si usava un foglio bianco, in A4, con un foro grande quanto una moneta da un euro (veramente all’epoca erano 50 Lire, ma adeguo il narrato ad oggidì). Bene, il gioco era questo: si poneva il foglio sulla riproduzione di un’opera di un grande, in modo che il foglio coprisse tutto fuori che la parte lasciata visibile dal foro. E bisognava indovinare… Quel mio amico mi stupiva: non solo l’autore, ma anche l’opera, il più delle volte. Altre volte solo l’autore: “E’ il tipico blu del Guercino”. Talento naturale, prodigiosa memoria visiva, studio, riflessione, fiuto?

Non ho questa dote, anche se un po’ di storia dell’arte l’ho studiata. Ma ho fatto con amici un gioco simile: non sulla pittura, ma sulla poesia. Qui il punto non è riconoscere quel che si sa, è banale, ma quel che non si sa. Voglio dire, tu magari non hai mai letto, o non ricordi, quel verso o quella strofa; eppure puoi dire subito: “questo è Carducci”. Gli stilemi dell’estetica, quale grande problema, più sfumato, e più aspro, persino del problema gnoseologico. Non per nulla il sistema così ben equilibrato e razionale di Kant solo alla fine giunge a una “Critica del giudizio”.

Al di là delle pieghe teoretiche del problema filosoficamente inteso, c’è, io credo, una zona comune, un dominio del “buon senso comune” sul quale tutti sono in grado di capire e di esprimersi. Sharon Stone, come donna, è più carina di me. O no?

Bene, ora che ho finito di dire ovvietà, prego il paziente lettore di seguirmi ancora un momento. Si sono fatti due sondaggi, quasi in parallelo, sul gradimento del valore legale del titolo di studio. L’uno, promosso dal Ministro, e propinato, quasi routine, come “atto dovuto”, attraverso la proposta di un questionario mal fatto, metodologicamente scorretto, pensato appositamente per creare un certo consenso ad una linea politica. L’altro, proposto in modo autonomo, dalla comunità accademica più sensibile, ignorato completamente dagli organi di informazione, diffuso essenzialmente solo sulla rete.

L’intento ministeriale era estremamente chiaro: costruire un consenso attorno alla tesi che “pubblico è male”, che “si deve premiare la meritocrazia”, ecc. Potremmo fare una lunga ipotiposi degli slogan che la Gelmini, probabilmente senza nemmeno capirli, ha replicato per anni. Questo esito avrebbe spalancato la via desiderata, differenziazione degli atenei, costruzione di un percorso elitario, negazione dell’istruzione come ascensore sociale.

E’ andata buca. Briscola, che buca! I tre quarti dei “votanti”, a malgrado della tendenziosità del questionario, ribadiscono che si fidano di più del pubblico che del privato, che vogliono mantenere il valore legale, che non vogliono l’ennesimo mercimonio con la svendita della valutazione al potere economico-finanziario entro le cui sabbie mobili siamo caduti.

La cosa comica è che il Ministro, che ha a disposizione tutti i Centri di calcolo, tutti i Data Base, tutti i più potenti sistemi informatici d’Italia, sulla questione tace. Ha problemi di interpretazione, problemi di informatica? Problemi di coda di paglia?

Viceversa noi, nel nostro piccolo, abbiamo raccolto i voti, basati su un questionario ben fatto e non tendenzioso, li abbiamo elaborati, e non vedremmo l’ora di diffonderli, se non fosse che la stampa di regime ci mette la sordina. Domine, non sum dignus.

Ecco, torniamo daccapo. Stilemi diversi. Non credo ci voglia un esperto per distinguerli.

Category: Scuola e Università

About Maurizio Matteuzzi: Maurizio Matteuzzi (1947) insegna Filosofia del linguaggio (Teoria e sistemi dell'Intelligenza Artificiale) e Filosofia della Scienza presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Bologna. Studioso poliedrico, ha rivolto la propria attenzione alla corrente logicista rappresentata da Leibniz e dagli esponenti della tradizione leibniziana, maturando un profondo interesse per gli autori della scuola di logica polacca (in particolare Lukasiewicz, Lesniewski e Tarski). Lo studio delle categorie semantiche e delle grammatiche categoriali rappresenta uno dei temi centrali della sua attività di ricerca. Tra le sue ultime pubblicazioni: L'occhio della mosca e il ponte di Brooklyn – Quali regole per gli oggetti del second'ordine? (in «La regola linguistica», Palermo, 2000), Why Artificial Intelligence is not a science (in Stefano Franchi and Güven Güzeldere, eds., Mechanical Bodies, Computational Minds. Artificial Intelligence from Automata to Cyborgs, M.I.T. Press, 2005). Ha svolto il ruolo di coordinatore di numerosi programmi di ricerca di importanza nazionale con le Università di Pisa, Salerno e Palermo. Fra il 1983 e il 1985 ha collaborato con la IBM e, a partire dal 1997, ha diretto diversi progetti di ricerca per conto della società FST (Fabbrica Servizi Telematici, un polo di ricerca avanzata controllato da BNL e Gruppo Moratti) riguardo alle tecniche di sicurezza in informatica, alla firma digitale e alla tecniche di crittografia. È tra i promotori del gruppo «Docenti Preoccupati» e della raccolta firme per abrogare la riforma Gelmini.

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