Il governo dei migliori e la democrazia
Il governo Monti vuol essere nelle intenzioni il governo dei migliori. Disputa antica almeno dai tempi di Platone, che teorizzava il governo dei filosofi, al posto del governo del popolo, la democrazia. Nel contempo a sorpresa Lenin risorge, ricordate quando affermava che i governi “democratici” altro non sono che comitati d’affari della borghesia. E il governo Monti è senza alcun dubbio se non proprio “un comitato d’affari”, certamente un governo diretto della borghesia finanziaria e delle professioni. D’altra parte la Politica in Italia è morta con l’uccisione di Moro per mano delle Br e con il suicidio politico di Craxi per via delle tangenti. Il tessuto politico nato dalla Costituzione si è lacerato. Non a caso dopo sono scesi in campo un Presidente di Bankitalia, Ciampi, ancora legato alla stagione costituente e all’esperienza della Resistenza, quindi un esponente della borghesia di Stato, Prodi, e uno della borghesia imprenditoriale, Berlusconi, ma nessuno è riuscito a riscrivere un patto sociale e costituente di portata generale, una missione comune nazionale e europea in cui i cittadini tutti, o almeno la loro stragrande maggioranza, potessero riconoscersi. Prodi azzoppato dalla sua stessa maggioranza, Berlusconi tutto concentrato su sé stesso, i suoi interessi di potere, soldi e letto. Col che la politica, e insieme la democrazia rappresentativa, si è degradata fino all’impotenza e alle volgarità degli ultimi mesi, con un Parlamento diventato sotto gli occhi di tutti un mercato per la compravendita di onorevoli del disonore, anche per effetto di una legge elettorale devastante lo stesso principio di rappresentanza, perché precisamente impedisce agli elettori di sceglierli e votarli, i propri rappresentanti. Un parlamento che è giunto ad avallare con un voto l’evidente a tutti menzogna secondo cui la signorina Ruby sarebbe stata la nipote di Mubarak, o almeno così in “buona fede” credeva il premier, e il fondo fu toccato. Ma dove l’imprenditore Berlusconi inciampa fino a cadere è il terreno su cui avrebbe dovuto essere più esperto, quello degli affari. La crisi lo trova impreparato, balbettante, inoltre tenta alcune operazioni nel mondo della finanza che non gli giovano come la collocazione del suo amico Geronzi alla testa delle Generali, una delle più cospicue casseforti del capitalismo italiano, Geronzi che infatti qualche tempo dopo deve dimettersi, o la forzosa entrata di una sua figlia in Mediobanca, accolta storcendo il naso da molti dei ristretti circoli, perché a puttane si può andare, ma col danaro non si scherza. E anche a puttane, manda a dire la Chiesa con voce sempre più forte, sarebbe meglio andare con discrezione, secondo la linea dei vizi privati e delle pubbliche virtù, mentre il nostro si vanta delle sue capacità amatorie ormai senza freni in qua e in là. E quando la situazione si avvia a precipitare in una frana rovinosa, mentre Sarkozy e Merkel ridono pubblicamente di lui lasciando il Cavaliere nudo in mondovisione (ricordate un vecchio slogan: sarà una risata che vi seppellirà), la borghesia della finanza e delle professioni decide di prendere in mano le redini del Paese, con la collaborazione attiva di un vecchio ex comunista, un esponente di quella Prima repubblica tanto svillaneggiata che conosce le astuzie del potere dentro il labirinto dei Palazzi. Così Monti, da un giorno all’altro Senatore a vita, costruisce il suo governo attorno a un quadrilatero di università, tre private una pubblica, in rete e fortemente connesse con il mondo della finanza e delle aziende private, nonché con le autorità ecclesiastiche cattoliche, la Bocconi, la Luiss, la Cattolica e il Politecnico di Torino. Non c’è invece l’Università pubblica di Bologna, prima in Italia, o la Sapienza di Roma (il Politecnico è pubblico ma appunto con la vocazione al rapporto con le intraprese, e molto si potrebbe dire sul rapporto con la FIAT) mentre chiama anche Passera un manager che ha costruito Banca Intesa e di finanza s’intende onde sia chiaro il segno del suo governo, e gli altri esperti e intelligenti, ma più o meno tutti dentro una filosofia che potremmo chiamare, semplificando, bocconiana e cattolica, più precisamente erede della tradizione democristiana. Ma quale sarà la misura dell’efficacia di questo governo dei migliori. Monti ha detto: «Devo affrontare un compito difficilissimo se no ho il sospetto che non sarei qui». Una frecciata micidiale all’aula, con tono quieto come è costume dell’uomo. Certamente l’opera di risanamento finanziario, come si suol dire, ma il tono già del suo primo discorso per la fiducia al Senato lascia intravedere una ambizione più ampia, quella di riscrivere appunto il patto sociale e ridefinire la collocazione e l’azione dell’Italia in Europa. Insomma Monti non è un ragioniere nemmeno di alto rango (quel che ha tarpato le ali a Tremonti: l’essere un ragioniere), ma vuole operare nella società, nelle istituzioni, nell’economia per ristabilire criteri di cittadinanza e di interazione tra i cittadini e le istituzioni condivisi dalla nazione, dalla sua grande maggioranza, in inglese si direbbe: un’opera di Democratic National Building. Egli dice chiaro e netto che la borghesia finanziaria e delle professioni, in particolare intellettuali (significativa l’assenza della borghesia imprenditoriale, Montezemolo ha perso il treno..), si assume il compito di far risorgere l’Italia, di portarla non solo fuori dalla melma, ma di ridarle lustro, si ascolti con attenzione il discorso sui giovani talenti e non solo. Con equità e rigore, ripete. E se questo è il tragitto, allora anche l’attuale configurazione della politica, coi suoi partiti uscirà scomposta, destrutturata, perché un nuovo patto sociale abbisogna di nuove configurazioni della politica. E se per un verso si capisce che una parte grande del mondo moderato lavora a una formazione di una rinnovata Democrazia Cristiana, che certo non si chiamerà così, quale sia invece la prospettiva del PD non si capisce, forse nemmeno ci pensano, sperando che, una volta tolte le castagne dal fuoco, si ricomincerà più o meno come prima. Ma le castagne sul fuoco resteranno a lungo, perché la crisi è, come ormai dicono tutti o quasi, sistemica e mondiale, e il PD facendo la guardia al braciere, rischia di bruciarsi. Altro discorso ancora, ma sarebbe lungo attiene i movimenti dei lavoratori, dei precari, degli studenti, dei ricercatori, quelli che con la borghesia non c’entrano, e vedremo come la prenderanno. Perché di un nuovo patto sociale certamente c’è bisogno, ma non è detto che debba scriversi sotto l’egemonia della borghesia finanziaria e delle professioni.
L’articolo è stato pubblicato su peacereporter il 17 novembre 2011.
Category: Politica