Francesco Sylos Labini: Chi è il nuovo ministro dell’istruzione Stefania Giannini
Diffondiamo da www.left.it del 28 febbraio 2014
l nuovo ministro dell’Istruzione (dell’Università e della Ricerca), Stefania Giannini, oltre a essere segretario di Scelta civica, è stata fino al 2013 rettore dell’università per stranieri di Perugia. Prosegue dunque in maniera coerente la sequenza dei rettori ai vertici del Miur. Era già accaduto con Francesco Profumo e Maria Chiara Carrozza, senza dimenticare la recente nomina a capo Dipartimento per l’università di Marco Mancini, ex presidente della Conferenza dei rettori (Crui). Dunque, la Crui – che molto si era spesa per l’approvazione della riforma Gelmini, quella che avrebbe dovuto mettere un freno allo strapotere dei baroni – continua a determinare ogni scelta su ricerca e università. Comunque è interessante notare che anche il resto del governo, dal premier al ministro per lo Sviluppo economico, tutti sono sempre stati a favore della riforma Gelmini.
Per non fermarsi alla filosofia politica di Iva Zanicchi – che su Berlusconi disse «lasciamolo lavorare, poi se non siamo soddisfatti, un calcio in culo e via…» – cerchiamo di inquadrare quali sono le idee del nuovo ministro su università e ricerca.
Tra le recenti dichiarazioni riaffiora un pensiero comune ai due passati ministri: «Per vincere bandi europei ci vuole una mentalità che l’Italia ancora non possiede». Invece di pensare a come cambiare la “mentalità” dei ricercatori italiani il ministro farebbe bene a considerare il fatto che proprio lo scorso 14 gennaio l’European research council annunciava l’assegnazione di 312 finanziamenti a progetti di ricerca, per un totale di 575 milioni di euro. Il 15% dei progetti sono stati vinti da italiani: appena poco meno dei tedeschi ma molto più dei francesi e degli inglesi. Meno della metà dei vincitori italiani svolgeranno però le proprie ricerche nel Belpaese. Dunque il problema di cui si deve occupare il ministro non è affatto quello di cambiare la mentalità dei nostri ricercatori, ma creare le condizioni strutturali perché questi – come pure quelli stranieri – trovino in Italia delle ragioni favorevoli per impiantare la propria attività di ricerca. Questo significa ad esempio un ambiente florido, in cui la ricerca sia finanziata. Mentre da noi le risorse per i progetti di ricerca “curiosity driven” sono pari a zero. Significa anche avere regole di reclutamento, assegnazione delle risorse e modalità di carriera confrontabili con quanto accade nei Paesi con cui vorremmo competere, innanzitutto la Francia, che ha il sistema universitario e della ricerca più simile a quello italiano.
Un altro punto che sta a cuore al nuovo ministro sembra quello del diritto allo studio. L’Italia è uno dei Paesi in Europa dove le tasse universitarie sono più alte e dove la percentuale di studenti che possono accedere ad una borsa di studio è più bassa. Inoltre, circa un universitario su due avente diritto alla borsa di studio, in base alla legislazione vigente, non la riceve per assenza di adeguate risorse. Qual è la soluzione del ministro? Aumentare il fondo delle borse di studio cercando d’arrivare allo stesso livello di altri Paesi europei, dove il numero di laureati in percentuale alla popolazione è il doppio che in Italia? Niente affatto. Il ministro pensa a un sistema di prestiti che «gli studenti ripagheranno quando troveranno un lavoro, in proporzione al reddito che guadagneranno: pagheranno cioè poco (o nulla) quando il loro reddito sarà basso, e pagheranno di più quando se lo potranno permettere». Ciò significa assumere che la spesa in ricerca e istruzione è un investimento privato e che non ci sono benefici pubblici dell’istruzione universitaria: in pratica il ministro ha in mente, come il suo compagno di partito Pietro Ichino, il modello inglese dove le tasse universitarie sono aumentate di colpo a più di 10mila euro l’anno indebitando a vita generazioni di studenti.
Insomma, si ha l’impressione di un ministro che ha già scelto per vocazione ideologica le sue linee d’intervento: se un maggiore pragmatismo sarebbe stato più utile alla causa della ricerca e della formazione terziaria in Italia, il ministro Giannini sembra piuttosto la scelta opportuna per il nuovo governo di destra, mai passato per le urne, che questo parlamento ci ha appena regalato.
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