Richard Falk: Due tipi di antisemitismo
Diffondiamo su segnalazione di Donata Meneghelli questo testo du Richard Falk dal Centro studi Sereno Regis (http://serenoregis.org) del 13 settembre 2014
Contrariamente a gran parte del pensiero convenzionale che tratta l’’antisemitismo’ esclusivamente come forma di odio etnico, c’è un secondo tipo di atteggiamento che è accusato di essere ‘antisemitismo’ perché è critico, spesso legittimamente, del sionismo e delle politiche e pratiche di Israele. Questo secondo tipo di presunto antisemitismo è una tattica impiegata per screditare i critici di Israele insistendo che non andrebbero distinti la critica di Israele e l’odio del popolo ebraico. Questi due tipi distinti di antisemitismo operano in disaccordo tra loro e anche se possono esistere situazioni in cui si sovrappongono è pericoloso farne una cosa sola.
E’ piuttosto insolito anche per i critici più aspri del comportamento del governo USA essere censurati come antiamericani, salvo a volte nel mezzo di crisi internazionali della sicurezza, ma anche allora tali accuse solitamente riflettono l’atteggiamento di patrioti ignoranti o di estremisti che si identificano con la destra della politica statunitense. Inoltre tali accuse, anche se sgradevoli, mancano dello stigma dell’antisemitismo, che porta con sé un’implicita accusa secondaria di indifferenza all’Olocausto, al genocidio nazista e alla lunga storia di persecuzioni dirette contro gli ebrei. A mio parere questa etichettatura dei critici di Israele come ‘antisemiti’ è una forma miope di disdicevole propaganda statale, generalmente messa in atto all’estero da gruppi sionisti fanatici e in parte responsabile di una reazione emergente che si esprime nell’odio e nell’ostilità contro gli ebrei. Questa è una materia estremamente delicata che quasi certamente è trattata emotivamente in un modo plasmato da forti allineamenti ideologici a favore o contro il modo in cui Israele si è comportato dalla sua discussa creazione nel 1948 e in rapporto agli atteggiamenti nei confronti di stretti collegamenti tra il movimento sionista e il popolo ebreo.
L’antisemitismo di tipo I è una forma di razzismo virulento, caratterizzata da odio e invidia e che conduce a forme molteplici di ostilità nei confronti degli ebrei. E’ stato spesso accompagnato da un forte sostegno governativo e sociale a una reazione punitiva nei confronti degli ebrei per salvaguardare la religione e l’etnia dominanti e per affermare i valori e le tradizioni della comunità politica non ebrea, supposta sotto minaccia in conseguenza delle attività ebree; storicamente l’antisemitismo di tipo I fa risalire le sue radici storiche alle origini e all’ascesa della cristianità, rafforzato in secoli successivi da restrizioni europee alla proprietà ebrea di terre e di habitat concessi che indussero gli ebrei a concentrarsi su denaro e attività bancaria, creando una stretta relazione tra ebrei e ascesa del capitalismo, specialmente del capitale finanziario.
Casi estremi di antisemitismo di tipo I comportano la presa del potere statale da parte di un atteggiamento antisemita, come esemplificato dalla Germania di Hitler. Ha anche rilievo osservare che l’antisemitismo era relativamente raro nel mondo islamico, che sosteneva la libertà di culto delle minoranze religiose, pur affermando un ruolo egemone dell’Islam, specialmente nell’era del califfato ottomano. Fino ai problemi generati dal sionismo l’antisemitismo non era un problema serio nel Medio Oriente dove gli ebrei nella maggior parte dei paesi arabi erano trattati come una religione autentica e una minoranza rispettata. In tutta la storia moderna gli ebrei hanno sofferto prevalentemente a causa dell’antisemitismo europeo, con la Russia considerata come parte dell’Europa.
In Germania la presa nazista del potere statale e l’abuso di esso hanno condotto per gradi ai campi della morte, al genocidio su vasta scala, cui è stato attribuito il suo status storico distintivo con divenir noto come Olocausto. Quest’attuazione genocida dell’antisemitismo era stata preparata dall’ideologia nazista e dalle sue feroci e dichiarate pratiche discriminatorie, che demonizzavano gli ebrei assieme al popolo Rom e ad altri considerati inadatti a propagare gli ariani, proposti come razza padrona. L’antisemitismo di tipo I nelle società cristiane dopo il nazismo è generalmente scomparso dietro una spessa nuvola di senso di colpa e di negazione legata al passato, anche se persistono tenui modelli di pregiudizio sociale. Questi modelli implicano una varietà di esclusioni e discriminazioni, che vanno da modi informali e inespressi di discriminazione nel lavoro e nella vita sociale alla profilazione etnica che richiama l’attenzione pubblica su aspetti sfavorevoli dell’aspetto fisico o del comportamento attribuiti agli ebrei e comprende battute che perpetuano visioni stereotipe dell’”ebreo”. Tali atteggiamenti sociali sono in una certa misura compensati da un vasto riconoscimento dei risultati e dell’influenza degli ebrei, sproporzionati rispetto al loro piccolo numero e dalla considerevole resistenza del popolo ebreo nei secoli, pur avendo affrontato molte sfide spaventose.
Il Sionismo Cristiano, cosiddetto, è meglio considerabile come un avallo indiretto all’antisemitismo di tipo I che si cela sotto il velo di un ardente sostegno a Israele come stato e al sionismo come movimento. La sua animosità antisemita è diretta contro gli ebrei della diaspora, derivando da una lettura del Libro delle Rivelazioni che prevede che la Seconda Venuta di Gesù avrà luogo soltanto quando tutti gli ebrei saranno tornati nello stato ebraico di Israele. Per promuovere quest’affermazione profetica il sionista cristiano favorisce intraprendere passi per incoraggiare gli ebrei a emigrare in Israele e da questo punto di vista è in accordo con la tendenza più influente del pensiero sionista. L’ulteriore carattere antisemita del Sionismo Cristiano è diretto a una fase successiva del Giudizio Universale, un tempo di resa dei conti in cui tutti quelli che non avranno abbracciato la fede cristiana saranno consegnati alla dannazione permanente. Nonostante questo fulcro antisemita Israele si è legato ufficialmente ed esistenzialmente al Sionismo Cristiano, dando alla sua organizzazione uno status diplomatico e apprezzandone il sostegno incondizionato all’interno della scena politica statunitense. Questo collegamento tra Israele e il Sionismo Cristiano costituisce un patto faustiano e opera per spostare l’equilibrio politico negli Stati Uniti in una direzione israeliana ancor più di quanto sarebbe stato normale.
L’antisemitismo di tipo II si presenta in due varianti diverse. La prima variante è quella che potremmo chiamare “una marca araba di antisemitismo”, che assume la forma di condanna degli ebrei e del popolo ebraico per aver impiantato uno stato ebraico in Israele. La rabbia è diretta contro Israele anche perché assicura un diritto di ritorno a tutti gli ebrei di tutto il mondo negando contemporaneamente qualsiasi diritto al ritorno a ogni palestinese, negando tale diritto persino a quei palestinesi e loro discendenti che o fuggirono o furono espulsi dalle loro case nel 1948. Questo tipo di fusione di un progetto statale con l’etnia del popolo coinvolto è inaccettabile ed è una forma di propaganda antistatale che assume una forma odiosa prendendo di mira un’etnia sommata a un’entità politica. La maggior parte degli arabi che non sottoscrive tale orientamento è attenta a tracciare la distinzione tra Israele come fenomeno politico illegittimo e gli ebrei come etnia distinta e geograficamente dispersa. E’ importante, anche, non qualificare gli arabi come ‘antisemiti’ perché alcuni in effetti superano il confine di questo odio etnico.
La seconda espressione dell’antisemitismo di tipo II, abbastanza stranamente, sottoscrive indirettamente l’antisemitismo arabo affermando che l’ostilità allo stato di Israele non può essere distinta dall’ostilità al popolo ebraico. La disputa centrale è che una forte critica di Israele come stato ebraico o diretta contro il progetto sionista o esprimente una forte disapprovazione per le politiche e pratiche di Israele sono espressioni appena mascherate di odio nei confronti degli ebrei come popolo e del giudaismo come religione. I promotori di quella che potrebbe essere chiamata la “marca sionista dell’antisemitismo” fanno del loro meglio per far credere alla gente che i due tipi di preoccupazione non sono appropriatamente distinguibili. In questo modo i critici di Israele sono denigrati come “antisemiti” nel senso autentico dell’odio contro gli ebrei. Se gli stessi ebrei diventano fortemente e visibilmente critici di Israele sono marchiati da “ebrei che odiano sé stessi” o semplicemente messi assieme agli antisemiti di tipo I. Con questo non si vuole negare che alcuni ebrei, per un profondo atteggiamento psicologico, possano effettivamente odiare la loro identità ebraica e cercare con forza di sottrarsi a essa, ma criticare Israele e rifiutare il sionismo non dovrebbero essere usati come prova di odio di sé. In realtà alcuni antisionisti basano le loro idee su forti convinzioni che il sionismo sia un tradimento dei valori e della tradizione ebraica e mostrano grande orgoglio per la loro eredità ebrea.
Ricordo un incontro a Cipro più di un decennio fa con lo specialista dell’hasbara [propaganda filo-israeliana – n.d.t.] professor Gerald Steinberg dell’Osservatorio ONU [ONG filosionista; vedere anche oltre – n.d.t.] e l’ambasciatore israeliano nella Cipro greca in una riunione dell’Inter-Action Council dedicata alla risoluzione dei conflitti in Medio Oriente. L’Inter-Action Council è formato da ex capi di stato e io ero stato invitato come “risorsa”. Quella sessione era sul conflitto israelo-palestinese ed era presieduta da Helmut Schmidt, l’ex cancelliere tedesco. Nella discussione i partecipanti israeliani avevano sostenuto con forza che Israele, il sionismo e l’identità ebraica erano un’unità e che qualsiasi critica diretta a una delle tre prospettive era un attacco alle altre due. Io sono intervenuto per dire che dissentivo vigorosamente da una simile idea e che mi sentivo un ebreo con un atteggiamento critico nei confronti sia del comportamento di Israele sia delle pretese sioniste. Successivamente diversi partecipanti, tra cui il signor Schmidt, mi hanno ringraziato per aver detto quello che loro credevano ma mi hanno detto che non potevano dire perché temevano che sarebbe stato trattato come prova del loro antisemitismo. Per contro Steinberg è stato molto ostile dopo la riunione, informandomi in modo perentorio che i miei commenti erano stati “assolutamente di nessun aiuto”.
Secondo me è estremamente infelice considerare le critiche a Israele, anche se formulate in termini forti, salvo che si tratti di incitamento all’odio, come antisemitismo. L’antisemitismo di tipo II ha diverse gravi conseguenze indesiderabili: fa una cosa sola di un valido rifiuto dell’odio etnico e di tentativi illegittimi di etnicizzare o screditare le critiche a Israele e al sionismo; fa credere a molti non ebrei che se sono critici di Israele saranno ingiustamente screditati come antisemiti e gli ebrei sono indotti a temere che saranno considerati odiatori di sé, in tal modo inibendo le critiche a Israele e al sionismo. Per questo motivo consente a Israele di nascondere le sue politiche e pratiche criminali nei confronti del popolo palestinese invocando la memoria dell’Olocausto e la lunga storia di persecuzioni degli ebrei e in tal modo inibendo le critiche. Inoltre induce molti a credere che non ci sia differenza tra l’identità ebraica e la solidarietà sionista. Ciò promuove una tendenza di alcuni non ebrei a considerare gli ebrei una categoria etnico-politico-religiosa anche se non hanno alcun rapporto con lo stato di Israele e dunque responsabili come popolo della persecuzione del popolo palestinese. Questo insistere che l’antisemitismo di tipo II è una forma reale di antisemitismo incoraggia il comportamento antisemitico di tipo I. Quando i giovani arabi delle banlieux di Parigi tirano sassi a ogni ebreo che riescono a trovare nelle strade della città l’atto di odio è basato nella maggior parte dei casi sulla loro estrema ostilità nei confronti di Israele. E’ chiaro in tale comportamento che esiste un rapporto simbiotico tra i tentativi, ugualmente illegittimi, arabi e israeliani di collegare Israele/sionismo all’odio degli ebrei.
La cultura popolare statunitense incorpora questa confusione. Ad esempio in uno dei primi episodi della serie televisiva House of Cards un senatore statunitense è totalmente screditato come candidato potenziale a una carica elettiva perché i suoi oppositori hanno scoperto che da universitario era stato autore, su un giornale studentesco, di un editoriale non firmato che criticava la costruzione di insediamenti nella West Bank. Una volta che ne è stato reso noto l’autore è stato dato per scontato che la sua carriera politica era finita, senza alcuna considerazione per la sua età, per la ragionevolezza di ciò che aveva scritto e per la presunta apertura, in una democrazia costituzionale, a idee diverse. Nel corso dei recenti attacchi israeliani contro Gaza questa stessa atmosfera a Washington ha prodotto una risoluzione con il cento per cento di sostegno che ha espresso appoggio senza riserve al diritto di Israele di difendersi. Negli Stati Uniti polarizzati riscontrare una simile unanimità conferma soprattutto l’innegabile successo delle forze filoisraeliane nel trattare l’antisemitismo di tipo II come sinonimo di odio nei confronti degli ebrei. Come hanno sostenuto in modo convincente, con ampia documentazione, John Mearsheimer e Stephen Walt questa distorsione dell’atmosfera politica ha interferito con il perseguimento razionale degli interessi nazionali statunitensi in Medio Oriente.
Un esempio recente di queste manipolazioni di tali accuse di antisemitismo è stato sollevato dal caso di Steven Salaita cui è stata recentemente negata la nomina a una cattedra all’Università dell’Illinois perché aveva trasmesso numerosi tweet “incivili” durante i massacri militari di luglio/agosto a Gaza. Il rettore dell’università, Phyllis Wise, ha trattato erroneamente questi tweet come prova di antisemitismo del tipo I, anche se ha scaltramente affermato di aver agito per proteggere un’atmosfera di educazione nel campus e non perché Salaita ha mostrato idee anti-israeliane. Il rettore Wise ha utilizzato questa (mis)percezione fortemente incoraggiata da pressioni sioniste esterne al campus e minacce riguardo ai finanziamenti, per giustificare la negazione a Salaita di una nomina accademica che egli aveva accettato e su cui aveva fatto conto in buona fede. Egli aveva affittato una casa nelle vicinanze di quello che ragionevolmente riteneva sarebbe stato il suo nuovo campus a Urbana-Champlain e si era già dimesso dalla sua posizione presso la Virginia Tech University. Salaita aveva eccezionali valutazioni presso la Virginia Tech, compresi apprezzamenti di studenti di un ambiente che apprezzava tutti i punti di vista. La sua erudizione in Studi Indiani Statunitensi era stata vagliata approfonditamente in una lunga procedura di assunzione presso la Illinois. La giustificazione zoppa data dal rettore Wise e dai suoi sostenitori è che i tweet di Salaita erano prova di una mancanza di civiltà in rapporto a temi delicati che potevano mettere a disagio o inibire i suoi studenti ebrei. Le prove suggeriscono, al contrario, che Steven Salaita ha personalmente respinto e intensamente disapprovato l’antisemitismo di tipo I, anche se, da palestinese-statunitense, è rimasto comprensibilmente molto turbato dal comportamento di Israele nei confronti del popolo palestinese e ha reagito emotivamente nel mezzo della crisi.
Non mi fingo neutrale su questi temi. Nel corso degli ultimi sei anni, da Speciale Relatore dell’ONU sulla Palestina Occupata per conto del Comitato per i Diritti Umani sono stato continuamente bersaglio di una sostenuta campagna diffamatoria capeggiata da una ONG di orientamento sionista, l’Osservatorio ONU, con sede a Ginevra. Sono stato ripetutamente accusato di antisemitismo e le mie idee su altri temi sono state analogamente distorte per creare l’impressione di un giudizio bizzarro. Sono stato definito sostenitore del terrorismo, teorico di una cospirazione dell’11 settembre, e cose simili. Il Centro Simon Wiesenthal di Los Angeles mi ha elencato nel 2013 come terzo antisemita più pericoloso del mondo, appena dopo il Leader Supremo dell’Iran e il primo ministro turco. Nella lista dei primi dieci c’erano anche autori illustri come Max Blumenthal e Alice Walker. In modo interessante il [Centro] Wiesenthal non ha fatto alcun tentativo di distinguere la critica di Israele dall’odio contro gli ebrei, intitolando la sua lista “Offese antisemite, anti-israeliane”, che nella lista fa tutt’uno dei due tipi di orientamento.
A causa dell’atmosfera in Nord America in cui dimostrare un sostegno del cento per cento, e oltre, a Israele è divenuto un ingrediente indispensabile della credibilità politica, questi attacchi diffamatori sono stati accettati come validi da numerosi dirigenti pubblici che non si sono mai presi il disturbo di controllare con me o di esaminare le mie reali idee su tali temi controversi. In conseguenza sono stato attaccato da luminari quali il Segretario Generale dell’ONU, due ambasciatori USA presso l’ONU (Susan Rice e Samantha Powers), dal ministro degli esteri del Canada, tra gli altri, e sono stato un bersaglio favorito di Fox TV e dell’impero mediatico di Murdoch. In aggiunta sono stati compiuti tentativi di far cancellare le mie conferenze presso università di vari paesi di tutto il mondo (comprese McGill e McMaster in Canada, AUB a Beirut, ANU Melbourne e Sidney in Australia, Norfolk nel Regno Unito e Princeton, University of Texas, University of Iowa e altre negli USA). Tali università sono state avvertite che a meno che la mia apparizione nel campus non fosse stata cancellata ne avrebbero sofferto i finanziamenti. Almeno in una occasione sono stato informato che una precedente offerta di nomina a docente ospite in un’università all’estero, il Kings College di Londra, era stata ridotta di anno in anno a un anno solo a causa del mio presunto antisemitismo. Persino mia moglie è stata diffamata da simili fanatici sionisti che hanno cercato di sconfiggere la sua candidatura al Comitato per i Diritti Umani dell’ONU nel 2014 quale Speciale Relatore sul Diritto al Cibo. E’ stata accusata di aver scritto testi istigatori anti-israeliani in collaborazione con me, un’assoluta menzogna poiché non abbiamo mai collaborato su questa materia, ed è stato anche denunciato che lei condivideva le mie idee antisemite, il che è una menzogna doppia.
Questo uso dell’antisemitismo come arma ideologica, quello che è chiamato antisemitismo di tipo II, sta avendo effetti paradossali, contribuendo tra l’altro a nuovi scoppi di antisemitismo di tipo I, quello vero. La logica di questo sviluppo è la seguente: se gli ebrei devono appoggiare ciò che Israele fa ai palestinesi per evitare di essere etichettati da antisemiti, allora diviene ragionevole ritenere che gli ebrei, e non solo il governo di Israele, siano responsabili dei crimini perpetrati contro il popolo palestinese. Se agli oppositori dell’antisemitismo non è consentito di essere critici di Israele, nonostante le sue drastiche deviazioni dalla morale e dalla legge, allora è creata una profonda confusione tra il rifiuto dell’odio e degli stereotipi etnici che sono assolutamente sbagliati e il ripudio del comportamento immorale e illegale di un governo soggetto a contestazione riguardo ai fatti e alla sua interpretazione della legge e della morale. Più evidentemente, se Israele invoca l’Olocausto per legittimare le proprie affermazioni storiche di essere una vittima e poi fa dietrofront e rende vittima in forma estrema un altro popolo, prima espellendo la maggior parte dei suoi membri dalla loro patria e poi occupando con la forza la terra che resta in mani palestinesi e gradualmente confiscando il residuo territorio, non sembra implicare il popolo e lo stato se l’opposizione è messa a tacere o emarginata. Passar sopra i crimini contro l’umanità e il comportamento genocida di Israele o altrimenti essere accusati di essere antisemiti aggrava la confusione. Essa è ulteriormente aggravata dall’estremismo arabo e islamico che insiste che le malefatte di Israele sono una conseguenza diretta della sua affermazione di essere uno stato ebraico e non uno stato normale.
In conclusione io ritengo sia nell’interesse sia degli ebrei sia dei palestinesi che l’antisemitismo di tipo II sia smascherato come strumento tossico di propaganda che dev’essere ripudiato dalle persone di buona volontà indipendentemente dalla loro etnia e dalle loro convinzioni politiche. Parlando per esperienza, è personalmente doloroso e genera rabbia in tutti quelli che insistono che le critiche a Israele per il trattamento del popolo palestinese devono essere contrastate in modo vigoroso. Israele da tempo ha dedicato fondi importanti e grandi sforzi a deviare la colpa per le proprie politiche e pratiche sollevando la bandiera nera dell’antisemitismo per screditare critiche responsabili e meritate. Col crescere in tutto il mondo del movimento di solidarietà nei confronti dei palestinesi è evidente che questo genere di hasbara sta fallendo.
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Category: Osservatorio Palestina