Wu Ming: ISIS e guerra in Iraq in trenta punti

| 22 Agosto 2014 | Comments (0)

 

 

 

 

Su segnalazione di Roberto Morgantini diffondiamo questo testo pubblicato su twitter il 22 agosto 2014 dal gruppo di scrittori Wu Ming. Seguono due testi che chiariscono le premesse storiche e le caratteristiche dell’ISIS


1) Un mese fa il PKK ha scompigliato le previsioni sulla guerra in Nord Iraq / Sud Kurdistan. Oggi è la principale forza anti-IS sul campo.

1b) Per semplicità diciamo “PKK”, includendo anche la sua forza “cugina” siriana, che ha già liberato dall’IS il Kurdistan occidentale.

2) Di questo ruolo del PKK, intorno a cui ruota gran parte delle decisioni prese in questi giorni da USA e UE, parlan tutti i media globali.

3) Una delle chiavi per capire la situazione è proprio quel che è successo nel Kurdistan “siriano”, oggi zona libera del Rojava.

4) Da quasi 2 anni la guerriglia curda siriana (YPG) infligge pesanti sconfitte all’ISIS/IS, lo stesso accade da circa un mese in Iraq.

5) Ora, provate a cercare sui siti dei giornali italiani, periodo ultimi 30 giorni, queste parole: PKK, YPG, Rojava.

6) Il PKK è una forza di massa laica, socialista libertaria, femminista. In Medio Oriente. E guida una resistenza popolare all’ISIS.

7) Ci sono altre resistenze all’ISIS, episodi di rivolta e di risposta armata anche da parte di popolazioni arabe sunnite.

8) Correttamente, le forze menzionate considerano l’ISIS il mostro di Frankenstein della guerra di Bush e della politica americana in M.O.

9) Di questo protagonismo i nostri media non parlano. Nello scenario spettrale che dipingono, solo ISIS, gruppi filo-USA e armi USA/UE.

10) C’è gente che fino a ieri l’ISIS manco sapeva cos’era e oggi dice che senza gli USA avanzerà la barbarie, quei popoli sono spacciati ecc

11) Di contro, c’è gente che non ha certo aspettato le cazzate lavacoscienza dei nostrani leoni da tastiera per sfidare (e battere) l’ISIS.

12) Mentre PKK e compagni fermavano l’ISIS e salvavano civili, USA/UE le tenevano (tuttora le tengono) nella lista dei gruppi “terroristi”.

13) Dal giorno stesso in cui PKK e YPG son intervenuti in Nord Iraq, diffondiamo notizie e analisi sulla situazione e sulla guerra all’ISIS.

14) PKK e YPG sono intervenuti quando i Peshmerga curdi filo-USA si sono sbandati a Sengal e altrove di fronte all’avanzata ISIS.

15) L’ISIS era in Nord Iraq da settimane, faceva stragi, stuprava, decapitava, occupava città che poi PKK e YPG hanno liberato.

16) Mentre l’ISIS faceva tutto questo, Obama era fermo come un paracarro. Appena PKK e YPG hanno “sconfinato”, ha annunciato bombardamenti.

17) Ribadiamolo: di tutto questo i giornali italiani hanno scritto poco o – più spesso – niente. La controprova è facile, fate la ricerca.

18) Dopo la morte di Foley, c’è il ricatto morale: o con gli USA o con l’ISIS! Come se gli uni non avessero colpa dell’esistenza dell’altro.

19) Come se non esistessero forze che da tempo sconfiggono sul campo l’ISIS in totale autonomia, nel disinteresse dei ns. “falchi”.

20) Per inciso, molti combattenti in prima linea sono donne. Cosa che fa schierare una forza ultra-misogina come l’IS/ISIS.

21) Ogni volta che gli USA sono intervenuti in M.O. hanno prodotto mostri sempre peggiori, ormai lo dicono molti analisti americani.

22) Se qualcuno ancora pensa che saranno gli USA a togliere le castagne dal fuoco e riparare la situazione in Iraq, è illuso o in malafede.

23) Dall’altra parte (ma solo in apparenza) ci sono gli idioti che hanno scambiato l’IS/ISIS per una resistenza antimperialista.

24) L’ISIS è una forza d’invasione multinazionale che ha un progetto non di “liberazione” ma di conquista. Sono predoni capitalisti.

25) L’ISIS, fin dal nome, è un progetto coloniale e imperialista. “Sub-imperialista”, se preferite. Non c’è liberazione nel Califfato.

26) L’ISIS è una forza nata grazie a potenze reazionarie (regionali e globali), e aspira allo status di potenza reazionaria.

27) L’«antimperialismo degli imbecilli» si basa sul pensiero bidimensionale: «Il nemico del mio nemico è mio amico».

28) Ma non sempre il nemico del mio nemico è *davvero* suo nemico, e a prescindere da questo, spesso è a pari modo *mio* nemico.

29) Pensare che per andare contro gli USA si possa essere un po’ più “teneri” con l’ISIS è un’aberrazione, chi lo pensa è un nemico, punto.

30) Di contro, chi dice che l’unico modo di essere contro l’ISIS sia appoggiare nuovi interventi USA, o ignora i fatti, o sta truffando.


 

1. Corriere della Sera 15 giugno 2014

LE ORIGINI DEL CONFLITTO TRA SCIITI E SUNNITI

 

Chi sono i sunniti?

I sunniti costituiscono da sempre la MAGGIORANZA DEI MUSULMANI. Il loro nome deriva da Sunna, la tradizione dei detti di Maometto a cui si ispirano insieme al Corano. Affermano la legittimità dei primi califfi, successori e compagni di Maometto, e quindi delle successive dinastie che governarono l’Impero musulmano. Per i sunniti IL CALIFFO RAPPRESENTA L’UNITÀ DEI CREDENTI e non ha alcuna valenza religiosa. La loro dottrina e gli aspetti del loro credo si andarono definendo nel corso dei primi secoli di espansione dell’Islam, adattandosi in più occasioni a mediare tra tendenze contrapposte e costumi locali. L’elaborazione formale giuridica convisse infatti accanto alla pietà mistica delle confraternite. Oggi, come nel corso di tutta la loro storia, I SUNNITI CONOSCONO AL LORO INTERNO VISIONI DIVERSE.

 

Chi sono gli sciiti?

Sostengono che il LEGITTIMO SUCCESSORE DI MAOMETTO fosse ‘ALI, suo genero. Il loro nome viene infatti da Shi‘at ‘Ali, che vuol dire «PARTITO DI ‘ALI». Politica e religione si saldano in tale rivendicazione, perché secondo gli sciiti Dio non poteva lasciare la comunità musulmana senza una guida religiosa. SOSTENGONO COSÌ L’ILLEGITTIMITÀ DEI CALIFFI E DELLE DINASTIE SUNNITE, affermando che EREDI DI MAOMETTO DOVESSERO ESSERE GLI IMAM, GUIDE SPIRITUALI, e allo stesso tempo discendenti e successori di ‘Ali. Sull’identificazione di questi imam, gli stessi sciiti però si divisero ben presto in sette diverse. LO SCIISMO OGGI PIÙ DIFFUSO NEL MONDO ISLAMICO È QUELLO COSIDDETTO IMAMITA, o duodecimano, perché identifica una successione di dodici imam. IMAMITI SONO GLI SCIITI IRACHENI E ANCHE QUELLI DELL’IRAN, dove lo sciismo venne imposto come religione ufficiale a partire dal 1500.

 

Qual è l’origine dei loro contrasti?

L’ORIGINE DEI LORO CONTRASTI È DI NATURA POLITICA, e risale al primo periodo della storia dell’islam. Benché dal punto di vista rituale LO SCIISMO IMAMITA non presenti grandi divergenze rispetto al sunnismo, esso SI DIFFERENZIA PER LA DIVERSA CONCEZIONE DELLA SUCCESSIONE DI MAOMETTO. La visione sciita ispirò contrasti e anche feroci rivolte nei primi secoli dell’islam. Ma le rivendicazioni sciite di avere un discendente di Maometto alla guida della comunità hanno conosciuto solo brevi e rari successi, e più spesso sonore sconfitte in oltre mille e quattrocento anni di storia. NEL CORSO DEI SECOLI GLI SCIITI SONO STATI UNA MINORANZA PERSEGUITATA, quando non confinata in aree impervie. La loro storia di sofferenze è ben rappresentata dall’imam Hussein, il figlio di ‘Ali, fatto trucidare dal califfo omayyade sunnita nel 680 d.C. a Kerbela, nell’odierno Iraq.

 

Qual è l’origine della loro rivalità in Iraq?

LA MAGGIORANZA DELLA POPOLAZIONE IRACHENA È SCIITA, per effetto della conversione di tribù nomadi solo a partire dal 19° secolo. Si tratta di una forma di sciismo imamita arabo, con una storia diversa da quello iraniano, da cui è diviso da rivalità e anche visioni diverse su Khomeinismo e sulla Repubblica islamica nata nel 1979. GLI SCIITI IRACHENI SONO SEMPRE STATI POCO INFLUENTI DAL PUNTO DI VISTA POLITICO, anche per le loro divisioni. IL SUNNITA SADDAM HUSSEIN NE DIFFIDÒ, soprattutto negli Anni 80 segnati della guerra con l’Iran. CON LA FINE DI SADDAM e la presenza americana, gli ultimi anni hanno rappresentato UN’OCCASIONE STORICA PER LE LORO ASPIRAZIONI POLITICHE. Ma il loro nuovo ruolo deve fare i conti con il malcontento sunnita, e con la crescente contrapposizione confessionale segnata da attentati e persino minacce jihadiste ai santuari sciiti di Najaf e Kerbela.


2Elena Zacchett: CHE COSA E’ L’ISIS

Il Post, 19 giugno 2014

 

L’Iraq – paese a maggioranza sciita con una storia recente complicata e violenta – è stato conquistato per circa un terzo del suo territorio da uno dei gruppi islamici sunniti più estremisti in circolazione, lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante, noto anche con la sigla “ISIS”.

Non è la prima volta che in Occidente si sente parlare di ISIS: da più di due anni l’ISIS combatte nella guerra civile siriana contro il presidente sciita Bashar al Assad, e da circa un anno ha cominciato a combattere non solo le forze governative siriane ma anche i ribelli più moderati, creando di fatto un secondo fronte di guerra. L’ISIS è un’organizzazione molto particolare: definisce se stesso come “stato” e non come “gruppo”. Usa metodi così violenti che anche al Qaida di recente se ne è distanziata. Controlla tra Iraq e Siria un territorio esteso approssimativamente come il Belgio, e lo amministra in autonomia, ricavando dalle sue attività i soldi che gli servono per sopravvivere. Teorizza una guerra totale e interna all’Islam, oltre che contro l’Occidente, e vuole istituire un califfato non si sa bene dove: ma i suoi capi sono molto ambiziosi.

Oggi l’ISIS è arrivato a meno di 100 chilometri dalla capitale irachena Baghdad. La sua avanzata, rapida e inaspettata, ha fatto emergere i moltissimi problemi dello stato iracheno e ha intensificato le tensioni settarie tra sciiti e sunniti, alimentate negli ultimi anni dal pessimo governo del primo ministro sciita iracheno Nuri al-Maliki. Per capire l’ISIS – da dove viene, che strategia ha, dove può arrivare – abbiamo messo in ordine alcune cose essenziali da sapere. Che tornano utili per capire che diavolo sta succedendo in Medioriente, e non solo in Iraq e in Siria.

 

Da dove viene l’ISIS? Che c’entra al Qaida?

Per capire la storia dell’ISIS serve anzitutto introdurre tre personaggi molto noti tra chi si occupa di terrorismo e jihad: il primo, conosciuto da tutto il mondo per gli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001, è Osama bin Laden, uomo di origine saudita che per lungo tempo è stato a capo di al Qaida; il secondo è un medico egiziano, Ayman al-Zawahiri, che ha preso il posto di bin Laden dopo la sua uccisione in un raid americano ad Abbottabad, in Pakistan, il 2 maggio 2011; il terzo è Abu Musab al-Zarqawi, un giordano che dagli anni Ottanta e poi Novanta – cioè fin dai tempi della guerra che molti afghani combatterono contro i sovietici che avevano occupato il territorio dell’Afghanistan – era stato uno dei rivali di bin Laden all’interno del movimento dei mujaheddin, e poi anche di al Qaida.

Nel 2000 Zarqawi decise di fondare un suo proprio gruppo con obiettivi diversi da quelli di al Qaida “tradizionale”, diciamo. Al Qaida era nata sull’idea di sviluppare una specie di legione straniera sunnita, che avrebbe dovuto difendere i territori abitati dai musulmani dall’occupazione occidentale (bin Laden aveva invocato come punto di partenza della sua guerra santa il dispiegamento di mezzo milione di soldati statunitensi nella Prima Guerra del Golfo, nel 1990, intervenuti per ricacciare in Iraq l’esercito di Saddam Hussein che aveva invaso il Kuwait). Ma Zarqawi aveva altro in testa: voleva provocare una guerra civile su larga scala e per farlo voleva sfruttare la complicata situazione religiosa dell’Iraq, paese a maggioranza sciita ma con una minoranza sunnita al potere da molti anni con Saddam Hussein.

 

L’ideologia e la strategia di Zarqawi

L’obiettivo di Zarqawi, che si è definito meglio anche con l’intervento successivo di diversi ideologi jihadisti, era creare un califfato islamico esclusivamente sunnita. Questo punto è molto importante, perché definisce anche oggi la strategia dell’ISIS e ne determina le sue alleanze in Iraq. In un libro pubblicato nel 2004, e scritto dallo stratega jihadista Abu Bakr Naji, è spiegata piuttosto bene la strategia di Zarqawi: portare avanti una campagna di sabotaggi continui e costanti a siti turistici e centri economici di stati musulmani, per creare una rete di “regioni della violenza” in cui le forze statali si ritirassero sfinite dagli attacchi e in cui la popolazione locale si sottomettesse alle forze islamiste occupanti.

Nella pratica le cose sono andate così. Nel 2003, solo cinque mesi dopo l’invasione statunitense in Iraq, il gruppo di Zarqawi fece esplodere un’autobomba in una moschea nella città irachena di Najaf durante la preghiera del venerdì: rimasero uccisi 125 musulmani sciiti, tra cui l’ayatollah Muhammad Bakr al-Hakim, che avrebbe potuto garantire una leadership moderata al paese. Fu un attacco violentissimo. Negli anni gli attentati andarono avanti e nel 2004 Zarqawi sancì la sua vicinanza con al Qaida chiamando il suo gruppo Al Qaida in Iraq (AQI): nonostante la differenza di vedute, l’affiliazione garantiva vantaggi a entrambe le parti, per esempio permetteva a bin Laden di avere una forte presenza in Iraq, paese allora occupato dalle forze americane. Nel frattempo, nel 2006, Zarqawi era stato ucciso da una bomba americana, e il suo posto era stato preso da Abu Omar al-Baghdadi (fu ucciso poi nel 2010, e il suo posto fu a sua volta preso da Abu Bakr al-Baghdadi).

 

L’ISIS di al-Baghdadi e il califfato islamico

Il gruppo di al-Baghdadi subì un notevole indebolimento nel 2007 a seguito del parziale successo della strategia di controinsurrezione attuata nel 2007 in Iraq dal generale statunitense Petraeus, che prevedeva una maggiore vicinanza e solidarietà delle truppe con la popolazione e che contribuì a ridurre le violenze settarie e il ruolo di al Qaida per almeno due anni. La strategia di Petraeus si basava su una collaborazione con le tribù sunnite locali, che mal sopportavano l’estremismo di al Qaida: questa strategia oggi sembra inapplicabile, a causa delle politiche violente e settarie che il primo ministro sciita Nuri al-Maliki ha attuato contro i sunniti negli ultimi quattro anni, compromettendo per il momento qualsiasi possibilità di collaborazione.

Nel 2011 il gruppo ricominciò a rafforzarsi, riuscendo tra le altre cose a liberare un certo numero di prigionieri detenuti dal governo iracheno. Nell’aprile del 2013 AQI cambiò il suo nome in Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (ISIS), dopo che la guerra in Siria gli diede nuove possibilità di espansione anche in territorio siriano. Il fatto di includere la regione del Levante nel nome del gruppo (cioè l’area del Mediterraneo orientale: Siria, Giordania, Palestina, Libano, Israele e Cipro) era l’indicazione di un’espansione delle ambizioni dell’ISIS, ma non ne spiegava del tutto gli obiettivi finali. Zack Beauchamp ha scritto una lunga e precisa analisi dell’ISIS sul sito di Vox, e tra le altre cose ha provato a capire in quali territori il gruppo ha intenzione di istituire un califfato islamico: con l’aiuto di alcune mappe, Beauchamp ha mostrato come gli obiettivi dell’ISIS siano confusi, mutabili nel tempo ma estremamente ambiziosi (in una, per esempio, tra i territori su cui l’ISIS ambisce a imporre il suo controllo c’è anche il Nordafrica).

Quanti sono, quanto sono cattivi e cosa vogliono, quelli dell’ISIS? Charles Lister, uno dei più esperti analisti di jihadismo in Siria e Iraq, ha scritto su CNN che l’ISIS in Iraq è formato da circa 8mila uomini, un numero di combattenti insufficienti di per sé a prendere il controllo delle città conquistate negli ultimi dieci giorni nel nord e nell’est dell’Iraq. Infatti l’ISIS non ha fatto tutto da solo, ma si è alleato con le tribù sunnite e con gruppi baathisti (cioè sostenitori del partito Baath, lo stessa cui apparteneva Saddam Hussein) dell’Iraq, che hanno un solo obiettivo in comune con il gruppo di al-Baghdadi: rimuovere dal potere il primo ministro sciita iracheno Nuri al-Maliki. Come ha sintetizzato chiaramente il Washington Post, le città ora sotto il controllo dei ribelli sunniti sono 27.


Lister ha scritto che normalmente alleanze di questo genere – formate da gruppi così diversi – non possono stare insieme a lungo, a meno che non si mantenga un clima di contrapposizione totale. In Iraq questo clima è alimentato, tra le altre cose, anche da una delle caratteristiche distintive dell’offensiva dell’ISIS: la brutalità dei suoi attacchi. La guerra dell’ISIS sembra una “guerra totale” – come dimostra il massacro di soldati sciiti a Tikrit, la città natale di Saddam Hussein. Sul New Yorker Lawrence Wright ha descritto così il modus operandi del gruppo:

«Bin Laden e Zawahiri avevano sicuramente una certa familiarità con l’uso della violenza contro i civili, ma quello che non riuscirono a capire fu che per Zarqawi e la sua rete la brutalità – particolarmente quando diretta verso altri musulmani – era il punto centrale dell’azione. L’idea di questo movimento era l’istituzione di un califfato che avrebbe portato alla purificazione del mondo musulmano»

La brutalità dell’ISIS era già stata notata da al Qaida nella guerra in Siria: dalla fine del 2013 il capo di al Qaida, Zawahiri, cominciò a chiedere all’ISIS di rimanere fuori dalla guerra (in Siria al Qaida era già “rappresentata” dal gruppo estremista Jabhat al-Nusra). Al-Baghdadi però si rifiutò e nel febbraio del 2014 Zawahiri “espulse” l’ISIS da al Qaida («Fu la prima volta che un leader di un gruppo affiliato ad al Qaida disubbidiva pubblicamente», ha detto un esponente qaedista). In altre parole l’ISIS si era dimostrata troppo violenta anche per al Qaida, soprattutto perché prendeva di mira non solo le truppe di Assad ma anche altri gruppi dello schieramento dei ribelli sunniti. Alla fine del 2013 l’ISIS, rafforzato dalle vittorie militari in Siria, tornò in Iraq e conquistò le città irachene di Falluja e Ramadi. E poi le altre, negli ultimi dieci giorni.

Come si mantiene l’ISIS? E che possibilità ha di vincere? A differenza di altri gruppi islamisti che combattono in Siria, l’ISIS non dipende per la sua sopravvivenza da aiuti di paesi stranieri, perché nel territorio che controlla di fatto ha istituito un mini-stato che è grande approssimativamente come il Belgio: ha organizzato una raccolta di soldi che può essere paragonata al pagamento delle tasse; ha cominciato a vendere l’elettricità al governo siriano a cui aveva precedentemente conquistato le centrali elettriche; e ha messo in piedi un sistema per esportare il petrolio siriano conquistato durante le offensive militari. I soldi raccolti li usa, tra le altre cose, per gli stipendi dei suoi miliziani, che sono meglio pagati dei ribelli siriani moderati o dei militari professionisti, sia iracheni che siriani: questo gli permette di beneficiare di una migliore coesione interna rispetto a qualsiasi suo nemico statale o non-statale che sia. Come mostra una mappa risalente al 2006 trovata da Aaron Zelin, ricercatore al Washington Institute for Near East Policy, non si può dire che l’ISIS sia privo di una strategia economica precisa: già diversi anni fa aveva pensato a come sfruttare i giacimenti petroliferi per sostenersi finanziariamente.

 

Category: Culture e Religioni, Osservatorio internazionale

About Wu Ming: Wu Ming (per esteso: Wu Ming Foundation) è un collettivo di scrittori provenienti dalla sezione bolognese del Luther Blissett Project (1994-1999), divenuto celebre con il romanzo Q- A differenza dello pseudonimo aperto "Luther Blissett", "Wu Ming" indica un preciso nucleo di persone, attivo e presente sulle scene culturali dal gennaio del 2000. Il gruppo è autore di numerosi romanzi, tradotti e pubblicati in molti paesi, e nel 2008 descrisse parte della propria produzione come appartenente a un corpus di opere che propose di chiamare, provvisoriamente, New Italian Epic.Dal 2000 alla primavera del 2008, la formazione ha compreso: Roberto Bui (Wu Ming 1); Giovanni Cattabriga (Wu Ming 2); Luca Di Meo (Wu Ming 3); Federico Guglielmi (Wu Ming 4); Riccardo Pedrini (Wu Ming 5). Il 16 settembre 2008 il gruppo ha annunciato l'uscita di Luca di Meo dal collettivo, avvenuta nella primavera precedente. Ciascuno dei quattro membri ha un nome d'arte individuale, una produzione "solista" e una "voce" autoriale autonoma, riconoscibile dai lettori. Tra i romanzi collettivi Q (Einaudi Torino 1999), Altai (Einaudi, Torino 2009), Manituana (Einaudi,Torino 207), L'armata dei sonnambuli (Einaudi, Torino 2014)

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