Roberto Bianco: Il singolare caso della Repubblica della Transnistria
Diffondiamo da “Inchiesta” luglio settembre 2010
Quanti di noi hanno sentito nominare la Transnistria? Che cosa conosciamo di questa Regione dell’ex Urss, autoproclamatasi indipendente nel 1992 ma non riconosciuta da nessuno Stato?
La Transnistria non c’è. Si può provare a cercare il nome di questo piccolo paese sui più dettagliati atlanti e sulle mappe della regione del Mar Nero, ma la Transnistria è un’astrazione geopolitica dal nome che evoca romanzeschi scenari “danubiani” di cui pochi conoscono l’esistenza. Perché ufficialmente questa nazione non esiste. Eppure…
La Transnistria è sulla carta uno stato sovietico – in stato di guerra letargico con la Repubblica di Moldova, dalla quale si separò nel 1992 con un cruento colpo di stato dopo che la Moldavia, nel 1990, era fuoriuscita dal novero dei paesi satelliti dell’ex URSS – guidato da vent’anni da un presidente che è anche l’uomo più ricco del paese e che possiede una holding battezzata Sheriff proprietaria, tra l’altro, di squadra di calcio.
Terra di nostalgici del socialismo reale, la Transnistria è un porto franco dove passa e si fa commercio di tutto ciò che altrove è, almeno formalmente, vietato. Vi si può acquistare dalle armi in genere, agli organi per i trapianti ai razzi RPG, temuti da ogni esercito, che tengano vivo l’interesse sopra a conflitti che corrono altrimenti il rischi di essere dimenticati…
Abbiamo poche notizie e ancora meno immagini di una popolazione che vive una condizione umana surreale, sospesa tra propaganda di cartapesta e una modernità altrettanto illusoria, tra un benessere che deve ancora arrivare e il retaggio di un passato niente affatto remoto.
La Transnistria è poi l’area nevralgica per l’assetto strategico dell’area d’influenza tra Europa e la Russia, ma si fa finta di niente perché conviene così. A tutti conviene così.
“Tiraspol?” domanda Irina incuriosita “ …certo che la conosco: io sono Moldava e abito a trenta chilometri di auto da lì…” poi aggiunge: “mia madre ancora ci va a fare la spesa… sai loro hanno prezzi della Russia, si paga meno… non come da noi, in Moldavia, che non è ancora Europa ma i prezzi sono già alti come in Italia”.
Tiraspol: monumento alla vittoria nel conflitto contro la Moldava
Tiraspol, la capitale, ci mostra un paese sospeso nel tempo, come fosse congelato: c’è ancora un’enorme statua di Lenin, in posa davanti al palazzo del Soviet Supremo, il governo locale, e poco lontano un monumento dove troneggia un carro armato che ricorda la grande vittoria sulla Moldavia.
Ecco il mistero della Transnistria, la sua grottesca magia. un pittoresco mercante che incontro a Tiraspol, che si definisce un contrabbandiere, sostiene che sul fianco destro della Repubblica di Moldavia, dalle rive del fiume Dnestr fino ai confini con l’Ucraina, esiste fin dagli inizi degli anni ’90 una sottile striscia di terra, che si considera a tutti gli effetti una nazione sovrana. Sarebbe un fatto storico: 700mila persone vivono in questo Stato, non riconosciuto da alcuna nazione al mondo, ma che possiede un proprio governo, una propria moneta, un proprio esercito, una propria visione del mondo che non ha superato il crollo dell’Unione Sovietica, che dalla Transnistria sembra non essersi mai disciolta.
“Perché ti interessa sapere di questo posto?” mi domanda il mercante di Tiraspol, con la stessa circospetta espressione che vedrò poi dipingersi, mesi più tardi, sul volto di Irina e di alcune sue amiche cui chiedo di questo Paese: “non ti nascondo il mio stupore perché in pochi mi chiedono di questo stato ribelle”.
Con una breve cronistoria, egli mi racconta di come la “Repubblica che non c’è” abbia conquistato l’indipendenza dalla Moldavia nel 1992. Sì “Conquistata” tiene a precisare l’amico mercante, “perché c’è stata una guerra lungo le rive del Dnestr”.
Un conflitto breve ma cruento. Centoquarantuno giorni di combattimenti, cominciati a marzo del 1992, all’indomani della rivendicazione di sovranità della Moldavia dall’Urss. Da una parte i soldati moldavi, dall’altra i separatisti transnistriani appoggiati dai duemila uomini della XIVª Armata Rossa, che per motivi strategici non aveva alcuna intenzione di ritirarsi abbandonando Tiraspol, e da volontari Cosacchi (!). L’esercito moldavo era stato così facilmente sopraffatto, respinto ad ovest del fiume Dnestr, ed avrebbe lasciando sul campo circa mille vittime.
Poco importava che la comunità internazionale abbia ignorato questa spinosa questione: è nata così la Repubblica di Transnistria. Uno stato comunista dove trionfano statue dei padri sovietici e bandiere con falce e il martello.
Il presidente della Transnistria Igor Smirnov
Mi viene mostrata poi la foto di Igor Smirnov, il presidente-dittatore, ex gerarca della nomenclatura di Mosca: “è lui che comanda in Transnistria”. Dal 1992 ha accolto e cooptato al potere, come ministri e alti funzionari del suo stato, alcuni discussi politici e molti ex membri del KGB. È il caso del generale Vladimir Antyufeyev, attuale ministro della Sicurezza, accusato di un drammatico tentativo di colpo di stato nel 1991 in Lettonia, finito in un bagno di sangue.
Smirnov ha creato una sorta di porto franco, luogo di contrabbando internazionale non distante dai confini dell’Unione Europea. Mentre la maggior parte dei suoi abitanti vive di stenti, con pensioni minime che non arrivano a 150 euro al mese, pochissime aziende controllano tutti i settori economici del Paese. Tra queste solo una, la Sheriff, è autorizzata ad utilizzare una moneta diversa dal Rublo della Transnistria. Petrolio, supermercati, telefonia, televisione e – si sospetta – numerose fabbriche d’armi sotto copertura, nonché la più forte squadra di calcio del paese sono controllati dalla Sheriff.
Tutto ruota intorno a questa società, che appartiene al presidente, diretta da suo figlio, Vladimir Smirnov. Una holding con un fatturato annuo di almeno quattro miliardi di dollari (quarantasette volte il Pil ufficiale nazionale del Paese.
Dalle vecchie fabbriche di Tiraspol, tutte di proprietà della Sheriff, escono poi pistole Makarov, mitragliette “Policeman”, lanciamine “Vasiliok”, lanciagranate “Gnom“ e “Spg9“, lanciarazzi anticarro “Rpg7 “, razzi “Bm 21 Grad”, missili portatili “Duga”.
Domando se Smirnov c’entra qualcosa con la Sheriff. Il mio contatto si limita ad un mezzo sorriso, “la Transnistria è come la Tortuga, una terra di pirati, un paradiso dei trafficanti di armi”. E poi: “qui si produce la mitraglietta Policeman… è comoda, perché puoi sistemarla in una valigetta 24 ore“.
Le armi, a Tiraspol e dintorni, non mancano, ma vi è una ragione: qui era custodito il più importante arsenale della regione occidentale dell’ex Unione Sovietica che comprendeva, tra l’altro, un polo chimico-batteriologico e razzi potenti e pericolosi, tra i quali ventiquattro unità di tipo “Alazan” (7) dotate di micidiali testate ad “isotopi radioattivi”.
Un reporter del Times ne aveva scoperto l’esistenza durante un’inchiesta nel 2005, spacciandosi per un terrorista algerino, e da allora i missili furono costantemente monitorati dai alcuni satelliti, ma ad ottobre 2009 si è scoperto però che da 24 il numero delle unità era calato a 14: la sorte toccata ai dieci che mancano è ignota.
Ci sono poi tanti palazzi tutti uguali, con lo stile di quelli edificati nell’Est europeo all’epoca di Kruscev, sui quali svettano le insegne dell’immancabile e misteriosa Sheriff, a guardia dei quali sono rimasti i soldati della XIVª Armata dell’Urss, che la Russia moderna ha ereditato e che ha promesso più volte – ma invano – di ritirare da territorio transnistriano.
Oggi, a diciotto anni dalla sua nascita, questo ultimo baluardo delle quindici Repubbliche ex Sovietiche ci guarda da est, forte della sua indipendenza. Ammiccando con un sorrisetto il mio contatto mi guarda: “non siamo poi così lontani dall’Italia” dice, poi aggiunge fiero ” …anche il Presidente Smirnoff ha una squadra di calcio: la Sheriff Tiraspol e la allena Andrei Sosnitskyi “
Tiraspol: Una tenera panoramica della città
Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, quando nel 1991 la Moldavia dichiara la propria indipendenza, questa regione a maggioranza slava si proclama a sua volta indipendente dalla Moldavia col nome di Repubblica Transnistriana di Moldova (Pridnestrovskaya Moldavskaya Respublika – PMR), rispolverando lo status di repubblica autonoma che Stalin le aveva concesso fino la seconda guerra mondiale.
Nel dicembre del 1991 Igor Smirnov, ambiguo industriale locale, viene eletto presidente in elezioni non propriamente democratiche. Subito iniziarono scontri tra le forze di polizia moldave e le milizie indipendentiste transnistriane, che nel ’92 degenerarono in una sanguinosa guerra civile con oltre mille morti. In soccorso delle forze separatiste vennero i cosacchi ucraini e diecimila soldati del 14° corpo d’armata dell’Armata Rossa al comando del genere Alexander Lebed, mentre i moldavi ricevettero il solo sostegno di alcuni contingenti di volontari rumeni.
Questa evidente differenza delle forze in campo portò in breve a siglare un cessate il fuoco e nell’inerzia dell’Occidente (specie dell’Europa) le truppe russe prontamente si trasformano in ‘truppe di pace‘ e garanti della tregua. L’indipendenza della Transnistria, non riconosciuta né allora né oggi, divenne “un dato di fatto” imposto dal Cremlino. Nel 1999 (accordi di Istanbul) la Russia promise all’Osce di ritirare i suoi soldati entro il 2002. Ma così non fu.
Pure recenti elezioni hanno riconfermato Smirnov alla guida del governo. Egli nei comunicati ufficiali si fa beffa dei rapporti di Freedom House che da anni denuncia in Transnistria la mancanza dei più elementari diritti di libertà.
“Smirnov ripete spesso che non è colpa del governo se l’opposizione non è mai stata capace di radunarsi nelle piazze come in occidente”, ma è probabile che la difficoltà vera di una reale protesta stia nel fatto che l’opposizione al regime non esiste. In Transnistria basta manifestare il minimo dissenso per essere accusati di spionaggio e fare una brutta fine.
Inutili sono stati finora i tentativi della Moldavia di rivendicarne la sovranità sulla Transnistria, inutili le decennali trattative dei mediatori dell’OCSE. “Così fa ancora comodo a Putin e Medvedev” afferma qualcuno dei presenti. La Transnistria, che c’è ma non c’è, in fin dei conti è un’invenzione loro. Un’anomalia che a prima vista sembra senza senso, ma che in realtà rappresenta per la Russia un asso nella manica da giocare sullo scacchiere internazionale, una carta da calare sul tavolo qualora l’Ucraina decidesse di avvicinarsi troppo al blocco occidentale. Per Bruxelles, che finora continua ad ignorare l’esistenza del problema, appagata dai contratti di fornitura di gas russo, questa piccola “Tortuga” è un delicato problema, ma tenuto nascosto. Come si potrebbe giustificare la presenza di soldati stranieri in territorio europeo nel caso di ingresso nell’Unione della Moldavia?
Ultimamente Mosca ha anche stanziato 120 milioni di dollari destinati alla Transnistria. Ufficialmente si tratta di aiuti umanitari offerti da un Paese amico, che però si guarda bene dal riconoscere ufficialmente l’esistenza della piccola repubblica fantasma: è sufficiente mantenere il suo esercito nella regione.
Il Mar Nero non è distante e da lì forse la Transnistria sembra proprio la Tortuga. Moldova è il termine romeno per la regione storica della Bessarabia centrale, un territorio compreso tra i fiumi Prut a ovest e Dniestr a est. Come l’attuale Repubblica (Republica Moldova), anche la precedente repubblica sovietica di Moldavia (Moldavskaia Sotsialisticheskaia Sovetskaia Respublika – MSSR), includeva il territorio della Transnistria, ossia la regione tra i fiumi Dniestr a ovest e Bug a est.
Lo scenario politico della Republica Moldova, repubblica ex-sovietica con capitale Chisinau (Kishinev in russo), è complicato anche dalle rivendicazioni di una regione poi diventata uno stato autonomo interno: la Gagauzia.
L’attuale entità politica della Transnistria (Pridnestrovskaia Moldavskaia Respublika – PMR), con capitale Tiraspol, non è che una piccola parte di un territorio noto geograficamente come Transdniestria (comunemente Transnistria), e che oggi si trova per la maggior parte in Ucraina. Per complicare ancor più le cose, la PMR non si limita a rivendicare il territorio sulla riva sinistra (orientale) del fiume Dniester, ma anche due territori sulla riva destra: la città industriale di Bendery e l’anello del fiume Dniester attorno al monastero di Chitcani.
Un raggiante Igor Smirnov, presidente della Transnistria da circa 20 anni al potere
Dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica, la tensione tra il nuovo esercito moldavo e la guarnigione inviata a Bendery dalle autorità della Transnistria degenerò in battaglia. Lo scontro fu bloccato di autorità dalla 14ª armata della Federazione Russa, non prima che il conflitto provocasse vittime e profughi (rispettivamente stimati attorno a 1.000 e 100.000 persone), traumatizzando la popolazione di entrambe le parti, e allargando ancor di più il divario linguistico, etnico, socio-economico e politico tra le due parti del paese. La creazione di una zona di sicurezza, un’amnistia generale e la mediazione russa hanno congelato il conflitto, ma senza risolverlo del tutto.
Le ragioni che portarono nel 1992 alla battaglia di Bendery hanno anche origine nella diversa conformazione etnica della Transnistria (dove nessun gruppo etnico ha la maggioranza, diversamente dal resto del paese a prevalenza romena), nelle paure della minoranza slava di una fusione della Repubblica di Moldova con la Romania, e nella relativa ricchezza della Transnistria, che pur essendo composta da meno di un quinto del territorio e degli abitanti del paese, controlla oltre il 40% delle sue risorse industriali.
Ma non basta: la turbolenta Moldova cullava un secondo e potenziale conflitto interno: l’area autonoma della Gagauzia. Sita nel sud della Repubblica di Moldova, è abitata dal gruppo etnico di lingua turca dei gagauzi: questa piccola regione non corrisponde a un territorio geograficamente compatto, ma consiste nei due distretti confinanti Comrat e Ceadir Lunga, e del distretto territorialmente non collegato di Vulcanesti (all’estremità meridionale della Moldova), oltre a comunità rurali disperse.
Nel 1992 si è rischiato così un nuovo conflitto, ma le più prudenti aspirazioni separatiste della Gagauzia si sono risolte nel 1994 con l’accettazione di un’area ad autonomia territoriale (Gagauz Yeri), con capitale Comrat, all’interno della Repubblica di Moldova; nello stesso anno sono iniziati i dialoghi bilaterali tra Chisinau e Tiraspol sullo status politico della Transnistria, con mediatori dell’OSCE, della Federazione Russa e, più recentemente, dall’Ucraina.
È interessante notare come la complessità della composizione etnica della Repubblica di Moldova ne abbia alimentato i conflitti interni, pur non essendone la causa principale. Il contenzioso legato alle aspirazioni autonomiste della Gagauzia, infatti – di matrice squisitamente etnica – si è risolto pacificamente, mentre quello della Transnistria – che è il portato di motivazioni strategiche e soprattutto politico-economiche – è sfociato in un conflitto armato che ha portato la Transnistra a divenire una sorta di protettorato della Russia.
Nella Repubblica di Moldova la popolazione totale è di circa 4.359.100 persone secondo l’ultimo censimento (1989) così composta:
– 65% romeni/moldavi,
– 13,8% ucraini,
– 13% russi,
– 3,5% gagauzi
– 2% bulgari.
In Transnistria, su 546.000 abitanti (ancora censimento del 1989), risultano:
– 40% romeni/moldavi
– 28% ucraini
– 25% russi.
È interessante notare come nessun gruppo etnico abbia la maggioranza assoluta: in Gagauzia (altro banco di prova della coesistenza), su 182,500 abitanti attuali, 78,7% sono gagauzi etnici. L’utilizzo della lingua gagauza (che si potrebbe descrivere come una versione della lingua turca in caratteri latini) convive nel territorio con quello del romeno e del russo. La minoranza bulgara, consistente in questo territorio (5,5% della popolazione della Gagauzia) non vede con favore l’autonomismo, e alcuni vorrebbero anche un’ulteriore autonomia interna dei bulgari.
Tuttavia, non si registrandosi problemi linguistici né violazioni di diritti umani, l’esperienza della Gagauzia tende a corroborare la teoria che quanto più alta è la maggioranza (specialmente oltre i tre quarti, come in questo caso), tanto più bassa è la tensione inter-etnica. In Gagauzia infatti non c’è alcun timore di “romenizzazione”.
Dal punto di vista linguistico, la lingua ufficiale dello stato, nota come “moldavo”, è praticamente identica al romeno. Solo con l’indipendenza è ripreso l’uso della lingua romeno/moldava in caratteri latini: nei decenni del dominio sovietico, infatti, erano stati imposti alla lingua moldava i caratteri cirillici.
Inoltre, la politica sovietica richiedeva il russo come lingua comune (cosa che peraltro non era gradita neppure alla minoranza ucraina), e questo aveva diminuito il numero di scuole di lingua romeno/moldava. Oggi a Chisinau vi sono più scuole russe che moldave, e il russo, pur non possedendo lo status di lingua nazionale, lo è de facto, visto che tutti i documenti ufficiali vengono sistematicamente tradotti in russo.
Il problema linguistico non è mai stato considerato molto grave nel paese, anche se poi ha acuito il divario con la Transnistria: a Tiraspol, dove, per il timore di sconvolgere lo status quo, si mantiene il russo come lingua didattica dominante ed è rimasto l’uso dei caratteri cirillici per la lingua moldava.
Tiraspol: monumento a Lenin
Dal dicembre 2009 è iniziata la missione europea di monitoraggio sull’autoproclamata Repubblica sovietica di Transnistria: 70 guardie di frontiera europee, assistite da 50 agenti moldavi, per almeno due anni controlleranno i 400 chilometri di confine tra Transnistria e Ucraina e i sospetti traffici che avvengono nel grande porto ucraino di Odessa, subito a sud della repubblica fantasma.
Tutto questo in un momento in cui la questione della Transnistria, dopo anni di relativa tranquillità, vive un pericolosa escalation di tensione che rischia di riproporre scenari da guerra fredda che si pensavano ormai superati.
Nell’ultimo mese si è registrata una serie di mosse e contromosse da una parte e dall’altra che, dopo anni di “conflitto congelato” (così il Consiglio d’Europa si riferisce alla questione della Transnistria) e di infruttuose trattative internazionali a tre (Russia, Moldova e Osce), rischiano di riaprire questa crisi dal sapore antico.
A innescare l’aumento della tensione è stato il mutamento degli equilibri geopolitici regionali prodotto dalla svolta filo-occidentale del governo moldavo e soprattutto dalla rivoluzione ‘arancione’ in Ucraina e dal conseguente mutamento di rotta di Kiev sulla questione Transnistria. Mentre il governo ucraino filo-russo Leonid Kuchma sosteneva e spalleggiava, le ragioni della piccola repubblica autonoma, quello filo-americano, dell’ ‘arancione’ Viktor Yushenko prima e della sig.ra Timoshenko poi, si è allineato con Stati Uniti, Nato e Ue chiedendo il rispetto da parte di Mosca degli accordi di Istanbul del 1999 che prevedevano il completo ritiro russo entro la fine del 2002.
L’ex presidente dell’Ucraina Yushenko si era fatto promotore di una soluzione negoziale che prevedeva la garanzia di uno ‘status speciale’ della Transnistria all’interno dello Stato moldavo in cambio di libere elezioni da tenersi nella repubblica separatista sotto monitoraggio internazionale, ma di fronte al crescente pressing dell’Occidente e dei suoi nuovi alleati regionali, la Transnistria e la Russia hanno reagito alzando le barricate e i toni dello scontro.
Il presidente transnistriano Smirnov ha dichiarato che “il coinvolgimento di Usa e Ue nelle trattative non porterà a nulla di buono” e che “vista la situazione, la riunificazione con la Moldova non è accettabile nei termini posti dagli ultimi negoziati. Di conseguenza – ha annunciato ancora Smirnov – è arrivato il momento di lavorare per il riconoscimento dell’indipendenza della nostra repubblica: presto nessuno più dirà ‘autoproclamata’ repubblica indipendente quando si riferirà alla Transnistria”.
Lo stesso giorno il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, in visita in Romania per chieder spiegazioni sulla questione della base Usa, ha annunciato che Mosca non aveva alcuna intenzione di ritirare le sue truppe dalla Transnistria, in quanto “essenziali per la stabilità della regione”, stabilità che – secondo il Cremlino – è minacciata dall’espansione militare degli Usa e della Nato verso l’Europa orientale e il Caucaso meridionale.
Un’espansione effettivamente sempre più decisa, a cui Mosca si oppone a sua volta con sempre maggiore risolutezza. Si è così creato di nuovo un clima da guerra fredda per una crisi che rischia di tornare ad essere calda nei punti critici e di contatto tra i due blocchi, ovvero nelle repubbliche separatiste sostenute economicamente e militarmente dalla Russia: la Transnistria in Moldava, l’Abkhazia e l’Ossezia del Sud in Georgia, il Nagorno Karabakh in Azerbaigian. Repubbliche sostenute soprattutto perché fonti di enormi guadagni illeciti per la potente mafia russa che le ha trasformate in base di traffici di ogni genere, ma che privano le popolazione di ogni risorsa.
L’economia della Repubblica di Moldova infatti si confronta con tutte le sfide tipiche della transizione post-sovietica. Le repubbliche sovietiche erano complessi economici non autonomi, ma che potevano funzionare in quanto parti della più ampia area dell’economia sovietica. Al disintegrarsi di quest’ultima, la Moldova si è trovata a corto di rifornimenti e tagliata fuori dai propri mercati tradizionali. I problemi sono aumentati quando il conflitto ha alienato la Transnistria, fortemente industrializzata, dal resto del paese, per lo più agricolo.
Tiraspol: palazzo del Soviet Supremo
Ma non basta: la politica agricola della repubblica è stata abbandonata a se’ stessa già al tempo dell’indipendenza. In più l’uva e i prodotti vinicoli, che rappresentano il settore più florido dell’agricoltura dello stato, furono fortemente compromessi a motivo degli effetti della politica anti-alcoolica di Gorbacev, che aveva fatto distruggere oltre un terzo delle vigne moldave. A peggiorare le cose, all’inizio del 1997, ci ha pensato l’Ucraina, che ha imposto dazi di transito sulle esportazioni dalla Moldova.
La Transnistria, regione pesantemente industrializzata, si trova in condizioni di insufficienza agricola tali da non riuscire a far fronte al fabbisogno alimentare della sua popolazione, ma l’influenza russa opera come calmiere sui prezzi; la Transnistria inoltre ha stipulato accordi economici internazionali diversi da quelli del governo di Chisinau, e ha una moneta differente. Il livello di cooperazione tra Moldova e Transnistria, misurato in termini di commercio, è del solo 6%.
Qual è il ruolo della religione in questo scenario etno-linguistico, politico ed economico? Tutti e cinque i principali gruppi etnici della Repubblica di Moldova sono cristiani ortodossi, inclusi i gagauzi (cosa che fa della Gagauzia, curiosamente, l’unico stato cristiano turco del mondo). La fede ortodossa è l’unico fattore che lega gli abitanti: una fede comune e compatta, che unita al desiderio di vivere in uno stato davvero democratico, potrà rivelarsi un aiuto senza pari alla risoluzione dei conflitti anche se questo può sembrare bizzarro nei paesi occidentali, dove manifestare la propria fede religiosa è dimensione che attiene alla sfera personale e del privato, con sentimenti che si ha pudore di manifestare in pubblico.
Anche nell’Oriente cristiano la confessione religiosa modella le abitudini sociali, i comportamenti civici e talora l’autocoscienza di intere nazioni. L’unità giurisdizionale dell’Ortodossia moldava ha allo stesso modo un grande valore, seppure non assoluto, in quanto garantisce punti di riferimento comuni che non si ritrovano in alcun altro settore della vita del paese, riferimenti bene alimentati dal Clero ortodosso.
IL palazzo del parlamento di Tiraspol
Fin dai tempi in cui la Bessarabia divenne parte dell’Impero Russo, il suo territorio è stato amministrato dalla Chiesa ortodossa russa, e attualmente è parte del territorio canonico del Patriarcato di Mosca. Tutti i suoi fedeli, anche la maggioranza di lingua romena, seguono lo stile di vita tipico della Chiesa russa (e in certi casi anche della Chiesa romena prima che questa adottasse alcune recenti riforme) con riferimenti comuni quali: calendario giuliano ecclesiastico, ordinamento del clero e Tipico ecclesiastico russo e così via, fino a dettagli relativi ai riti quali gli stili musicali e la forma dei paramenti. Il Metropolita Vladimir (Kantariani) incarna nella sua persona la complessità etno-linguistica del paese: proviene da una famiglia romena originaria della Bucovina ucraina.
Anche la Chiesa Ortodossa Rumena da decenni s’interressa alle popolazioni di lingua romena al di là del Prut (in ucraino: Прут), un fiume tributario del Danubio lungo circa 910 km, 240 dei quali scorrono in Ucraina, che nasce dai Carpazi orientali nel Sud-ovest dell’Ucraina (regione di Ivano-Frankivs’k) e scorre verso sud-est per unirsi da sinistra al Danubio presso Reni, ad est di Galaţi (Romania). Prima dell’occupazione da parte sovietica della Bessarabia e della Bucovina del Nord nel 1940, il fiume era quasi interamente in territorio romeno. Al giorno d’oggi, per una lunghezza di 711 Km, questo fiume marca il confine fra la Romania e la Moldavia.
La crisi georgiana e l’intervento russo hanno riaperto la questione delle indipendenze inespresse. Ed è proprio con l’UE che Mosca rischia di arrivare ai ferri corti.
Tiblisi è lontana, ma non la Transnistria, al confine tra Moldova e Ucraina. Che guardano ad occidente con rinnovato interesse, specie alla sorte di Nazioni come la macedonia o il Kosovo.
Ecco le origini della moderna Transnistria, lembo di terra sul quale si disputa dal 1990 una partita diplomatica tra la Russia e l’Unione Europea che pone alla ribalta un passato che sembrava ormai appartenere all’oblio (i volontari cosacchi), con Bruxelles che rischia di trovarsi impotente perché sottoposta alla minaccia russa di essere lasciata priva di approvvigionamento energetico (scenario tutt’altro che improbabile, come le crisi di Ucraina prima e Bielorussia poi hanno dimostrato).
La statua di Alexander Suvorov, fondatore della moderna Tiraspol
Da quando infatti, 18 anni fa, infatti, la regione della Moldova dichiarò la propria indipendenza dall’Urss i sovietici, che mantenevano la 14° Armata nel territorio moldavo, parteggiarono immediatamente per le aspirazioni indipendentiste del governo della Transnistria, mentre l’Occidente fece il contrario sponsorizzando i moldavi. Gli scontri a fuoco tra Chisinau e i ribelli videro quest’ultimi armati con le dotazioni della 14°. Un cessate il fuoco, tuttavia, fu siglato il 21 luglio 1992. La controversia, però, è proseguita fino ad oggi, attraversando momenti di tensione – come nel 2002 e nel 2004 – conclusisi solo attraverso la mediazione dell’Osce e dell’Ucraina.
Ma dopo il precedente del Kosovo, e il conflitto in Georgia, la possibilità che si arrivi ad una nuova crisi non è remota. Soprattutto oggi che la Repubblica di Moldova, fuggito il presidente Voronin, di trova governata ad interim fino alle prossime elezioni e dopo che Alexei Ostrovsky, presidente del “Russian State Duma’s Standing Committee for CIS Affairs and Contacts with Compatriots”, ha affermato di sperare in una nuova Moldova con un nuovo status per la Transnistria. La crisi caucasica, d’altronde, ha mostrato l’intenzione dell’Orso ex sovietico di non rinunciare alla pripria egemonia, magari applicando in politica il concetto soft-power snobbato invece dalla UE.
Il memorandum di Kozak. Nel luglio 2002, l’OSCE, la Russia ed i mediatori ucraini approvarono un documento che predisponeva per la Moldova un riordino sotto un sistema di tipo federale.
Summit tra i presidenti Medvedev (Russia) e Smirnov
Tuttavia, a causa di alcuni disaccordi, il documento non fu approvato. Poi, nella metà del novembre 2003, la Russia fornì un inatteso memorandum molto più dettagliato che propose un una Moldova federale ma che ospitasse una base militare russa per i successivi 20 anni: il testo fu promosso e sostenuto da un politico russo Dmitry Kozak, conosciuto per essere un alleato vicino del presidente Vladimir Putin ed una delle figure chiave nella sua squadra presidenziale.
La dirigenza della Moldova non accettò la proposta. Più tardi, nel 2005, il presidente Vladimir Voronin rilasciò anche una dichiarazione nella quale rifiutò il memorandum 2003 di Kozak a causa di vari punti in aperta violazione della costituzione della Repubblica di Moldova, che prevede e definisce il Paese come neutrale e non permette la permanenza di truppe straniere sul proprio territorio.
Nel maggio 2005 il governo ucraino di Viktor Yushchenko propose un programma in sette punti in base al quale la separazione della Transnistria e della Moldova sarebbe fissata attraverso un negoziato e con elezioni libere. Nell’ambito del programma, la Transnistria poteva rimanere una regione autonoma della Moldova. Gli Stati Uniti, l’UE ed il governo di Transnistria espressero un cauto accordo sul progetto. Nel luglio successivo, per di più, l’Ucraina aprì cinque nuovi valichi di frontiera nei confini con la Transnistria, ma da allora più nulla.
La Transnistria possiede un importante numero di fabbriche. Alcune sono di enorme capacità produttiva: varie fabbriche di munizioni nella regione di Tighina (Bender) numerose altre fabbriche di acciaio in Rîbniţa. Le fabbriche di Rîbniţa costituiscono da sole oltre il 50% del reddito del territorio, offrendo lavoro alla maggior parte degli operai della Transnistria. La più importante azienda è la “Sheriff”, l’unica autorizzata ad esportare all’estero il cui proprietario è formalmente il figlio maggiore del presidente Igor Nikolaevich Smirnov, Vladimir.
Per tradizione un’importante fabbrica di vodka e vino è la distilleria Kvint di Tiraspol, davvero famosa per il suo cognac e talmente radicata nel territorio (esiste dal 1897) che viene riportata anche nella banconota da 5 rubli “rublo della Transnistria” (banconota introdotta nel 1994, ma non riconosciuta – tanto per cambiare – dai circuiti internazionali).
Un prodotto della distilleria Kvint, da due secoli a Tiraspol
Distilleria Kvint (Tiraspol). La storia di quest’azienda nasce due secoli fa, nel 1897, quando venne costruito un magazzino sulla strada di Vokzalnaya che celava in realtà una distilleria nella quale i viandanti presenro a sostare per rifocillarsi. Poi la Distilleria, uscita per così dire allo scoperto, si specializzò nella produzione di vodka attraverso uva comprata dai contadini ai dei villaggi vicini. Il primo procedimento per distillare l’uva per il Cognac venne eseguito nel 1938. Non sempre le vicende della distilleria “Kvint” furono fortunate, come quando venne ricostruita nel 1918 a seguito di un devastante incendio e quando, nel 1948, venne di nuovo ricostruita a causa dei bombardamenti della IIª mondiale.
Oggi, benché l’impresa sia moderna e ben attrezzata, la distilleria utilizza ancora antiche tradizioni e custodisce alcuni segreti per realizzare i distilalti migliori, senza dimenticare di restare al passo coi tempi: la distilleria “Kvint” infatti è stata certificata ISO 9001-94, successivamente ISO 9001-2000, via via fino alla versione 2003 (BVQI). E’ diventa così una delle poche imprese presente sul territorio ex sovietico ad possedere una certificazione di qualità internazionale. La “Kvint” produce circa dieci milione litri all’anno tra varie qualità di vino, di cognac, di vodka e di altre bevande.
Riferimenti e fonti, oltre all’esperienza dell’autore:
http://www.youtube.com/watch?v=i68NivO7-zs&feature=player_embedded#!
Intervista a Nicolaj Lilin, autore del libro “educazione siberiana”, un caso letterario. Lilin vive in Italia ma è nato in Transnistria nel … (Contributo da “youtube”). Lilin è un discendente degli Urka siberiani.
A. Nour, “Basarabia“ nr.1/1992 pag. 82.
G. Brătianu, “Tradiţia istorică despre întemeierea statelor româneşti”, Bucureşti 1980, pag. 170.
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