Raimondo Bultrini: India vs Marò. Degli errori e delle pene
Le prossime ore saranno decisive per capire se l’India avrà intenzione o meno di accelerare il processo ai due marines italiani. Tra poche settimane – il 15 febbraio – saranno tre anni dal duplice delitto del quale sono accusati Massimiliano La Torre e Salvatore Girone, e la prima istruttoria venne condotta – a dire delle stesse autorità indiane – quantomeno impropriamente, lasciando la giurisdizione sullo stato di fermo dei due soldati a un giudice ordinario.
Ma in questi prossimi giorni non sarà tanto in discussione il caso in sé, chi ha sparato, come, e perché si sono consegnati, quale diritto ha l’Italia di reclamare la sede del processo e via elencando. Cio’ che sta avvenendo adesso è una gara di attesa tra due diplomazie, ognuna impiegata in molti altri fronti più urgenti e delicati, l’Italia a dirimere le liti tra i partiti mentre l’economia crolla, l’India a piazzare sulla rampa il missile del suo sognato rilancio produttivo mentre la rupia continua a scendere e il Pakistan spara ai suoi confini.
In questo clima, dunque, lunedì la Corte Suprema dell’India decide se La Torre puo’ restare ancora un po’ in Italia, visto che ha subito un’operazione al cuore, piccola ma pur sempre delicata. Dicono che si tratta di un semplice esame medico-legale delle cartelle cliniche del ricovero d’urgenza e dell’intervento effettuato a Milano. Niente di più facile che in base a quelle, l’ultimatum per il rientro slitterà quantomeno di qualche giorno. Ma non è questa la fase delicata di cui c’è attesa. Infatti cio’ che l’India non puo’ procrastinare e l’Italia non puo’ e non deve stancarsi di chiedere, è la fissazione di una data d’inizio del processo. Ma finora sembra che l’Italia – più che puntare al dibattimento – sia stata impegnata a trovare scappatoie, piccoli mezzi procedurali per portare a casa i suoi soldati ora per Natale, ora per controlli medici, per carità importantissimi ma non risolutivi del caso.
Se il governo italiano disponesse di qualcuno in grado di capire la mentalità indiana e “deal with it”, saperla utilizzare, a fin di bene s’intende, forse i due marines sarebbero già stati portati davanti a una Corte e magari rimandati a casa per scontare la pena eventuale comminata. La palla della responsabilità di esecuzione della pena ricadrebbe in quel caso intereamente sull’Italia, mentre l’opinione pubblica indiana e il governo avrebbero potuto accontentarsi della sentenza e magari protestare in caso di mancata applicazione delle direttive di carcerazione. Si poteva arrivare a questo punto con un po’ più di buon senso?
Mettiamo che – con una grande campagna di stampa – il nostro Paese avesse pubblicato in India diversi annunci, magari a pagamento, di scuse per la morte dei pescatori, puntando sull’errore dei suoi uomini, semplicemente dicendo che come tutti gli uomini sbagliano, ma non avevano intenzione di uccidere per il gusto di sparare al bersaglio, bensì credevano davvero di avere a che fare coi pirati, e che una volta saputo che erano invece pescatori sono rimasti addolorati e in cerca per prima cosa di perdono dalle famiglie.
Invece non è esattamente successo così, e avere trattato i nostri fucilieri da eroi non è stata una mossa a favore del dialogo extragiudiziario (per intenderci lo stesso tipo di dialogo che secondo alcuni è in corso oggi e che prevederebbe da parte italiana sincere scuse formali – da tempo dovute – e un ulteriore pagamento alle famiglie per dirimere la questione senza entrare in aula).
Golia in fondo è sempre il più grande dei due contendenti e la fionda della piccola Italia nel caso maro’ puo’ tutt’al più fargli del solletico. Ben diverso fu quando una diplomatica indiana violo’ le leggi americane e fu arrestata senza tener conto della sua immunità diplomatica, mentre l’India dovette blindare l’ambasciata di New Delhi per paura di attacchi antiamericani dei nazionalisti. A contorno del nostro caso-fucilieri, si sa che l’Italia puo’ vantare qualche milione di fatturato comune e qualche brutta figura come quella della corruzione di un generale indiano per la vendita di prodotti Agusta. Poco di più. Per le regole della “reciprocità” – ad esempio – non è facile per un indiano ottenere il visto per l’Italia, e dunque i nostri connazionali non sono compresi nell’elenco di Paesi – molti europei – che da pochi mesi a questa parte possono applicare la domanda di visa online.
Quanto al merito della vicenda marines-processo, i giudici della Corte Suprema che esamineranno il caso hanno già fatto sapere la loro opinione appena saputo dell’intervento chirurgico del maro’. “Per favore ditegli (a Latorre, ndr) di tornare indietro – hanno detto pubblicamente – Deve tornare. Anche se non possiamo imporgli di sottoporsi ad intervento chirurgico qui, ormai dovrebbe averlo effettuato. Un certificato medico in più, un altro intervento chirurgico al cuore …ma anche le vittime hanno un diritto. Non è possibile trovare un margine di manovra. Non può succedere così “, hanno concluso i magistrati.
Per questo lunedì, anche se non sarà il “giorno del giudizio”, sarà bene ricordare a Roma che la Corte Suprema competente a procrastinare la permanenza di La Torre in Italia, avrà in mano due cartelle. Una con gli esami dei medici italiani sul quadro cardiologico del marine, l’altra con la denuncia presentata da Freddy, il proprietario del peschereccio ‘St Antony’ dove sono morti i pescatori Ajesh Binki e Celestine Valentine, che vuole vedere i due imputati alla sbarra senza indulgenze e fattori umanitari di mezzo.
Delle due, la seconda volontà troverà orecchie più attente perché combacia con cio’ che prescrive la legge indiana e non solo. Come hanno già detto i magistrati, “non è possibile trovare un margine di manovra” fuori dal percorso giudiziario. Ma un margine per accelerare il processo non è solo possibile, bensì dovuto. Chiunque cercherà rinvii – sempre meno giustificati col tempo che passa – non sta lavorando nella direzione giusta, sia essa l’India o l’Italia. Certo, restano in piedi diversi problemi preliminari, come quello di dove celebrare il processo. Chiaramente l’Italia non si fida dell’India e l’India non si fida dell’Italia. Non bastano poche righe a spiegare il motivo della diffidenza ma è un fatto, e gli episodi sopra citati – oltre alle varie tensioni seguite alle “licenze” concesse e ai rientri messi ogni volta in discussione dalle autorità italiane – sono solo uno spunto indicativo.
Molte altre cose sapremo e vedremo nelle settimane e mesi che ci separano dalla soluzione del caso. E non dipenderà dal cuore di La Torre o dal trauma familiare dei figli di Girone segnalato come motivo della richiesta – rifiutata – di passare un secondo Natale a casa, bensì dal corso flemmatico e di stampo tardo-britannico della giustizia indiana, dove un processo pende mediamente dai 2 ai tre anni in Corte Suprema e dai 4 ai 5 in Alta Corte. Nemmeno il potente Narendra Modi, a meno di un improbabile atto di grazia d’ufficio, potrebbe mettere il naso nei procedimenti della sua magistratura. E se lo farà segretamente, noi comunque non lo sapremo mai. Perché si spera che a quel punto le due diplomazie avranno davvero lavorato bene e in silenzio. Senza primi ministri che si vantano pubblicamente di aver aperto canali riservati con la conseguenza – eventuale – di provocarne la immediata chiusura.
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