Raimondo Bultrini: Confini e alluvioni, da Gaza al Kashmir

| 28 Novembre 2014 | Comments (0)

 

 

 

Diffondiamo da bultrini.blogautore.repubblica.it del 28 novembre 2018

 

L’alluvione di Gaza ricorda da vicino altre tragedie avvenute in Oriente che hanno visto due Paesi confinanti e in odio  restare insensibili o paralizzati di fronte alle disgrazie del nemico. Nel caso del Pakistan e dell’India, per esempio, nessuno dei due vicini si azzarderebbe ad aiutare direttamente in caso di calamità naturali, ma certo si sono più volte in passato scambiati collaborazione e contributi, anche recentemente con i fiumi in piena e le valanghe che hanno messo in ginocchio il Kashmir.

Non sappiamo se altri hanno già lanciato un appello per cogliere questa occasione e chiedere alle due comunità ebraica e musulmana di celebrare insieme una collaborazione nell’emergenza basata su maggiore fiducia reciproca, conquista dei cuori e non solo delle posizioni militari. Certo, non è facile dimenticare l’ultimo raid aereo che ha creato più danni dell’acqua, ma è facile immaginare che da parte israeliana, con il rigido governo di destra, molti considererebbero il gesto umanitario come un segno di debolezza, visto che come Machiavelli i fondamentalisti dicono: “meglio essere temuti che amati”. Israele di certo ama essere temuto, anche per non vedersi sbranare dalla cospicua parte del mondo arabo che vorrebbe farlo sparire. E così ama essere temuta Hamas. Ma molte cose potrebbero cambiare nella percezione popolare del nemico attraverso un concreto gesto di aiuto diretto, magari con gruppi di volontari scelti tra gli obiettori di coscienza dell’esercito. Potrebbero andare a Gaza da Tel Aviv, Gerusalemme, Haifa, magari con una bandiera israeliana e una palestinese, d’accordo con le ali moderate di Fatah e Hamas. Potrebbero farlo in memoria dei tanti uomini e donne giunti da lontano per dare una mano, e talvolta finiti tra gli scontri a fuoco o sotto i bombardamenti israeliani di Gaza. Oppure vittime di bande che non apprezzano nemmeno i simpatizzanti della loro causa, come accadde al pacifista italiano Vittorio Arrigoni ucciso dai palestinesi che lui ammirava.

Quello dei Confini e della loro invali-cabilità è un tema scottante oltreche’ vasto, e merita uno studio approfondito, come ha tentato di fare parlando di possibile “interazione creativa ai bordi” il trimestrale Inchiesta edito dalla Fiom e diretto da Vittorio Capecchi. Mi limitero’ qui ad accennare a uno dei tanti casi che non riguardano solo bordi geografici. Per parlare dell’India e del Pakistan, tutti conoscono cio’ che accadde quando nel 1947, dopo l’indipendenza conquistata sui britannici, un unico Paese un tempo chiamato Barath, termine indigeno per India, si divise  in due con la cessione di territori a nord ovest per formare La Terra dei Puri, traduzione di Pakistan.

Immediatamente si scateno’ il delirio a cominciare dalle frontiere dove il vecchio continente si stava per dividere e dove in entrambe le direzioni si muovevano hindu che stavano in Pakistan e musulmani dell’India in drammatica corsa inversa. Le comunità di esuli a bordo di ogni mezzo si trovarono le une di fronte alle altra nell’odio reciproco, come se ognuno di loro fosse in qualche modo responsabile di quell’esodo biblico che li faceva incrociare e scontrare sui nuovi confini, infinitamente più vasto e complesso di quello narrato dai libri della genesi. Erano stati gruppi influenti di pressione a decidere per la soluzione chirurgica, ma fu il popolo a subirne le conseguenze folli senza un’adeguata preparazione. Il massacro lascio’ sul terreno un numero incalcolabile di vittime, 200 mila, 500 mila o più secondo le fonti, mentre tutti concordano sulla cifra degli sfollati, 14 milioni.

Gli effetti di quella divisione, che ha coinvolto anche il Bangladesh, fino al 1971 considerato Pakistan orientale e sotto controllo di Islamabad, sono ancora tra noi, e il clima alle frontiere non si è mai scongelato tra i soldati schierati sopra le cime innevate dell’Himalaya kashmiro a difendere i rispettivi  confini dal nemico. L’isolamento di certe regioni del Pakistan con il perpetuarsi di usi e costumi come il delitto d’onore, presenti ancora in larghe fasce di popolazione anche in India, non è una delle conseguenze dei sigilli alle frontiere, tolti di tanto in tanto per qualche esperimento di apertura commerciale e politica ma spesso rimessi al loro posto. Ma la scelta dell’isolamento e della °via tradizionale° di vita è stata sicuramente uno dei motivi per cui certi clan musulmani e induisti hanno combattuto per la separazione, ognuno coi propri motivi basati soprattutto su rituali più che sulla comprensione profonda delle diversità culturali tra popolazioni che oggi parlano prevalentemente urdu e quelle che usano l’hindi, tanto simili che tutti possono capirsi meglio degli spagnoli e degli italiani.

Per tornare a Israele, le condizioni di partenza e lo sviluppo della storia di vicinato sono piuttosto diverse rispetto alle lontani regioni dell’Asia meridionale, ma sarebbe interessante chiedersi perché non possono tentare un esperimento di integrazione quantomeno per pochi giorni. Anche il Kashmir come Gaza è schiacciato tra due poteri, Pakistan e India, e come Gaza è stato devastato recentemente da alluvioni torrenziali che hanno ucciso quasi 300 persone e distrutto migliaia di case e campi. Ma nonostante le diffidenze che certo non scompaiono in un giorno, alti ufficiali di entrambi i Paesi hanno annunciato la formazione di un comitato congiunto per valutare i danni e la possibile cooperazione sui confini lunghi oltre 750 km.

Se due Paesi con i loro missili nucleari puntati l’uno contro l’altro possono trovare un canale di dialogo e collaborazione attraverso le vie umanitarie, qualunque siano le differenze sul terreno non c’è ragione perché in questo caso non possa avvenire lo stesso nella striscia di Gaza. Non è dunque un appello morale ma pratico, nel senso di praticare un po’ di buone maniere per vedere se una volta tanto il seme gettato potrà dare qualche frutto diverso, invece di quelli avvelenati che da troppi anni ci si scambia su entrambi i confini.

 

 

Category: Osservatorio internazionale

About Raimondo Bultrini: Raimondo Bultrini, giornalista de La Repubblica, ha lavorato all’«Unità» e a «Paese Sera», occupandosi di temi politici, giornalismo investigativo e di denuncia sociale. Successivamente il suo interesse si è spostato alle filosofie orientali, alle politiche asiatiche e al buddhismo, diventando direttore delle riviste «Oriente» e «Merigar Letter». Dopo un anno trascorso in Cina e in Tibet seguendo il professore e maestro Choegyal Namkhai Norbu, ha scritto il libro In Tibet. Ha prodotto documentari per Samarcanda, Mixer, Format e La7 tra i quali La caduta del Muro di Pechino. Dal 2000 è collaboratore dal Sud-est asiatico del gruppo editoriale la Repubblica /L’espresso e ha pubblicato oltre 500 articoli sull’Asia, seguendo gli eventi più importanti per «la Repubblica», «L’espresso», «il Venerdì», «Limes» e «D donna». Dopo l’11 Settembre 2001 è stato inviato in Pakistan e Afghanistan. Nel 2002 ha diretto il film documentario Madre Teresa, una santa indiana. Fra le sue più importanti interviste, ci sono quelle effettuate nei numerosi incontri con il Dalai lama. Vive in Thailandia. Ha pubblicato: I prefetti e la zarina (1995); Il demone e il Dalai Lama: Tra Tibet e Cina. Mistica di un triplice omicidio (Baldini e Castoldi, 2008); Il diario di un viaggio in Tibet con Chögyal Namkhai Norbu (Edizioni Shang-shung)

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