Luigi Mastrodonato: L’omicidio di don Roberto Malgesini, il prete di Como, non deve diventare propaganda politica
Diffondiamo da Wired del 26 settembre 2020
L’omicidio di don Roberto Malgesini, il prete di Como, non deve diventare propaganda politica
Il parroco, famoso in città per sostenere gli ultimi in controtendenza con un’amministrazione locale intollerante, è stato accoltellato da un immigrato. Ora la sua morte viene usata come uno strumento contro quelle stesse persone per cui lui si è battuto
È stato ucciso due volte, don Roberto Malgesini. Dalla persona che lo ha accoltellato davanti alla chiesa di san Rocco di Como, dove operava e ospitava alcuni senza dimora e migranti. Ma anche, durante la giornata, da una destra assetata di propaganda sovranista che si è lanciata sul suo corpo, innalzandolo a simbolo dei danni dell’accoglienza incontrollata.
A colpire il parroco 51enne con una serie di coltellate è stato un 53enne tunisino senza dimora e senza permesso di soggiorno, indicato dalla parrocchia stessa come una persona con problemi psichici. Era uno dei beneficiari del supporto e dell’assistenza di Don Roberto, chiamato “il prete degli ultimi”, colui che si batteva contro la disumanità dell’amministrazione locale, impegnata esclusivamente sul lato delle ordinanze per il decoro cittadino e totalmente assente quando c’è stato da occuparsi della marginalità sociale. In una città nel baratro, è sempre rimasta una fetta di popolazione che si è contraddistinta per una forma di resistenza sociale, fondata sui valori dell’accoglienza e della solidarietà. Don Roberto ne faceva parte, al punto che qualche tempo fa si era anche preso una multa per il semplice fatto di stare distribuendo cibo a un gruppo di senza dimora accampati sotto i portici di San Francesco.
Se c’è una persona che più di tutte aveva combattuto l’ideologia delle destre di oggi, quello era proprio don Roberto. Che ora la sua morte venga strumentalizzata per gonfiare la retorica dei porti chiusi è un insulto alla sua memoria. Quello che oggi viene trasformato in martire è chi ieri veniva additato come nemico degli italiani, per la semplice colpa di occuparsi di quelli che purtroppo vengono considerati da certa politica, ma in fin dei conti dallo stato, scarti della società. È paradossale e profondamente ipocrita il lutto cittadino e le lacrime versate da un’amministrazione locale che fino a poche ore fa metteva i bastoni tra le ruote al suo lavoro.
Piuttosto che a una riflessione sull’accoglienza, l’uccisione del parroco comasco ci deve portare allora a ben altri pensieri. Al fatto che troppo spesso siano persone come lui a doversi occupare degli ultimi, senza alcun tipo di supporto da parte delle istituzioni, in quello che eppure dovrebbe essere il loro lavoro. Ma anche al fatto che le persone senza dimora psicologicamente fragili siano abbandonate a loro stesse dallo stato, messe nelle condizioni di essere pericolose perché ritenute non degne di ottenere un qualche tipo di supporto.
Don Roberto stava riempiendo i buchi del Comune nell’ambito del sostegno agli ultimi, ma come è normale che sia in situazioni critiche di questo tipo, era esposto a dei pericoli. La sua morte non è dunque la prova che l’accoglienza è il male, come stanno urlando ai megafoni le destre nel day after del suo omicidio, ma che bisogna ripensare il modello di accoglienza italiano. Serve una maggiore presenza delle istituzioni, che devono iniziare a prendersi quelle che sono le loro responsabilità nella cura alle persone in difficoltà, responsabilità che oggi a causa del loro menefreghismo finiscono sulle spalle dei Don Roberto, con tutti i rischi del caso.
“Non possiamo non pensare a quanto sia necessario continuare a prendersi cura delle persone più fragili, segnate anche dalla sofferenza psichica, che non possono essere abbandonate da sole sulla strada”, ha sottolineato il presidente della Casa della carità di Milano, don Virginio Colmegna. Se le destre vogliono dirci che la risposta all’uccisione di Don Roberto da parte di uno straniero deve venire dal sovranismo, la realtà è che questo dramma costituisce un fallimento dell’ideologia sovranista stessa, perché ci dice che è arrivato il momento che le istituzioni facciano la loro parte nella costruzione di un modello di accoglienza e di solidarietà che funzioni. L’alternativa è continuare a lasciare sole, sempre più sole, persone come Don Roberto, in attesa di una nuova tragedia da strumentalizzare.
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