Aulo Crisma: Profughi del Bangladesh a Giazza
Giazza, un paesino che ora conta settanta abitanti, incastonato tra i monti dell’alta Val d’Illasi in provincia di Verona, da un mese ospita una ventina di ragazzi tra i diciotto e i venticinque anni provenienti dal Bangladesh. Sono ospiti dell’albergo Belvedere, che era segnalato in Prefettura per la disponibilità all’ accoglienza dei profughi.
I montanari di Giazza sono gli ultimi parlanti il “taucias gareida”, l’antico alto tedesco, preziosa eredità lasciata dai coloni tedeschi che, provenienti dalla Baviera si insediarono sui Monti Lessini alla fine del XIII secolo, Discendenti di un popolo di profughi, i primi giorni hanno guardato i nuovi profughi con un po’ di diffidenza, che poi si è sciolta dopo avere ascoltato il sindaco Aldo Gugole, che accompagnato dal Consiglio Comunale al completo e dal viceprefetto, ha spiegato la situazione di emergenza che il prefetto di Verona aveva dovuto affrontare per sistemare un notevole numero di persone.
All’albergo la gente di Giazza e anche di altri paesi ha portato indumenti di vario tipo perché i giovani possano ripararsi dal freddo chi si presume imminente, dimostrando genuino spirito di accoglienza.
Tutt’altro spirito hanno dimostrato i dimostranti leghisti giunti da fuori e quelli di Forza Nuova, un centinaio e pure questi forestieri, che si sono messi a inveire contro il sindaco, le forze dell’ordine e l’albergatore, accusato di essersi venduto come Giuda per trenta denari. Poveretto. Al cronista di Rai Tre che lo ha intervistato s’ è mostrato preoccupato: se lo Stato spende 35 Euro a persona e da questi toglie due per darli a ciascun profugo, basteranno i residui trentatré “denari” per il vitto, l’alloggio e il riscaldamento?
Il sindaco, con la concretezza del montanaro, non vede di buon occhio l’ozio forzato dei ragazzi: “sarebbe meglio occuparli in qualche lavoro. Il Comune ne ha cose da fare”.
Vittorio Zambaldo: Giazza si interroga sui profughi
L’Arena di Verona, 20 Settembre 2014
Su Facebook si è scatenata l’ira di Dio, ma la realtà dei fatti, come sempre, è diversa da quella virtuale. La ventina di profughi del Bangladesh, arrivati nella frazione cimbra di Giazza e ospitati all’albergo Belvedere (vedi foto) sono scappati da una situazione drammatica di guerra e non vorrebbero innescarne un’altra fra le montagne cimbre, tra una popolazione che ancora oggi, a distanza di secoli, è straniera in casa propria, ha conosciuto l’isolamento e l’emarginazione, anche il disprezzo per anni. Sono arrivati all’insaputa, questo è vero, ma non per colpa loro. Erano 21, 16 del Bangladesh e 5 della Siria. I siriani sono partiti subito ma sono attesi altri 7 profughi in serata.
Rafiaul Islam, 31 anni, ha lasciato a casa da quattro mesi la moglie e due figli maschi di 7 e 5 anni per andare a lavorare in Libia: «Non c’è lavoro da noi e si muore di fame. In Libia ho lavorato come saldatore e mi pagavano bene. Poi è scoppiata la guerra, sparavano da tutte le parti. Che dovevo fare? Restare là a farmi uccidere?», racconta serenamente in un buon inglese, dopo aver spento il canale internazionale della Bbc mentre trasmettevano scene di terrore dall’Iraq. Ha preso un barcone con molti altri connazionali per venire in Italia.
Quanti eravate, cento? «Di più, molti di più». Ha visto il Mediterraneo in tempesta e barche rovesciarsi: ha perso amici di lavoro, amici di immigrazione, conterranei e volti sconosciuti incontrati sui moli della speranza e sommersi dalle onde. «Sono felice di essere qui, ma mi piacerebbe lavorare, andare in un posto dove mi prendano come saldatore. No, in Bangladesh non torno perché non ho i soldi, ma voglio rivedere mia moglie e i miei figli», dice. Ha una giacca a vento anche se sta nella tiepida e accogliente stanza del Belvedere. Qui a Giazza è già autunno e d’inverno non basteranno la giacca a vento né le ciabatte infradito che porta ai piedi: «Mi coprirò bene. Non ho paura del freddo, ho più paura del mare», dice abbassando gli occhi. Lo raggiungono gli altri compagni di sventura: si siedono ordinatamente a tavola dove li aspettano un risotto fumante e delle verdure.
«Sono tutti di religione musulmana e cuciniamo solo carni di pollo e tacchino. Bevono solo acqua e non si lamentano mai», assicura Gabriello Aloisi, il titolare dell’albergo, che dalla sera alla mattina ha ricevuto dalla Prefettura la proposta di accoglierli e ha messo a disposizione la struttura: «Del resto era vuota in questo periodo, perché non avrei dovuto farlo? Sono gentili e corretti. Stanno in camera tutto il giorno, scendono solo per mangiare e alcuni a guardare la televisione. Qualcuno di loro si è anche offerto di fare piccoli lavori come preparare e spreparare il tavolo dove mangiano. Se non sono lavori pericolosi intendo coinvolgerli», aggiunge Aloisi, che assicura di non sapere nulla sui tempi di permanenza.
Gli è accanto Tullio Friggeri, presidente della Protezione civile di Selva: «Abito vicino e mi sono preso l’impegno con altri colleghi di venire tutti i giorni per essere a disposizione. Se hanno bisogno di una visita medica, di un trasferimento in questura per il controllo di documenti o per farli, perché qualcuno di loro ha perso tutto, noi siamo qui per aiutarli», dice e spiega ad Aloisi che procurerà anche delle schede telefoniche internazionali perché qualcuno di loro vorrebbe telefonare a casa per far sapere come sta e che è vivo. Intanto dal paese qualcuno si è fatto avanti proponendo del vestiario, se dovesse servire. È un segno di apertura dopo una prima reazione violenta alla notizia dell’arrivo dei profughi, perché nessuno era stato preparato.
«Siamo abituati alla tranquillità più assoluta, a lasciare aperte le porte di casa e temiamo che adesso non sarà più così. In realtà mi fanno anche pena», dice Elisa, «però vorrei essere tranquillizzata che sono davvero persone bisognose e non delinquenti». «Se si comportano bene ben vengano, ma perché hanno pensato proprio a Giazza per sistemarli?», aggiunge Giovanni, «e quando ci sarà un metro di neve cosa faranno?». Preoccupazioni condivise da Maria Grazia Comini: «È stata una scelta un po’ strampalata. Siamo un centinaio di residenti e loro da soli se volessero potrebbero eleggere il sindaco. E poi, che fanno qui tutto il giorno? A Giazza in 23 è come se a Verona, in proporzione, fossero arrivati in 50mila tutti nello stesso giorno. Una cosa inconcepibile. Però è vero che certi commenti e certi insulti su Facebook nei loro confronti mi hanno davvero infastidita. Certo che se le risorse usate per l’operazione Mare Nostrum le avessero destinate al paese da cui provengono, non saremmo in questa situazione».
Non è per nulla preoccupata Mariuccia Boschi: «E i residenti di Lampedusa, che cosa dovrebbero dire allora?» è il suo interrogativo, mentre Andrea Rozza, suo coetaneo, 78 anni commenta: «Semo rabiè col tempo, non con loro. Mi hanno raccontato che su internet ci sono cose che fanno poco onore al nostro paese. Al mondo basterebbe poco per capirsi e star bene insieme: tutti hanno diritto di venire, basta che facciano i galantuomini».
Category: Aulo Crisma e la rivista "inchiesta", Migrazioni, Osservatorio comunità montane