Moreno Montanari: Gli equivoci dell’amore
Diffondiamo la recensione fatta al libro di Moreno Montanari (Murzia 2015) da Vito Mancuso su Repubblica del 3 marzo 2016
L’amore è un fenomeno ambiguo che può essere rappresentato con il volto bellissimo e benevolo della Venere di Botticelli oppure con quello sformato e malevolo dell’Amorino dormiente di Caravaggio. I greci l’avevano compreso alla perfezione e per questo chiamavano Afrodite sia Urania (celeste) sia Pandemia (volgare). Ogni giorno gli esseri umani si dichiarano “ti amo” e ogni giorno una ventina di donne nel mondo vengono uccise “per amore”. A ragione quindi Moreno Montanari intitola il suo nuovo libro ‘’Gli equivoci dell’amore’’.
In quanto filosofo, Montanari si interroga anzitutto sulla capacità conoscitiva dell’amore: l’amore illumina la mente oppure l’acceca? Contribuisce a conoscere la realtà, oppure genera illusioni? Chi ama conosce di più o conosce di meno rispetto a chi non ama? La tesi di Montanari è che “l’amore sa”, come vuole la tradizione platonica in filosofia e quella agostiniana in teologia.
Non si deve dimenticare però che per altre scuole la conoscenza autentica si ottiene solo liberandosi dalla passione dell’amore: così gli stoici parlavano di apatheia, gli epicurei di atarassia, Sant’Ignazio di Loyola di santa indifferenza, e il Dhammapada, uno dei testi più importanti della tradizione buddista invita a “non considerare caro alcunché” perché “dall’affetto sorge il dolore”. Chi avrà ragione?
Io penso che vi siano elementi per sostenere che chi ama conosce l’amato meglio di chiunque altro, e che insieme ve ne siano per sostenere l’opposto, che l’amore cioè porta a vedere nell’amato qualità che non ci sono e a non vedere difetti sotto gli occhi di tutti. Se è vero poi che l’amore ha una capacità penetrativa, è altrettanto vero che anche l’odio ne ha, si pensi per esempio alla perversa lucidità di Jago. Avvertendo tutto ciò, Auden scrisse il celebre verso: “O, Tell me the truth about love”, che nella splendida traduzione di Gilberto Forti diviene: “La verità, vi prego, sull’amore”. Ma qual è la risposta?
Secondo Montanari l’amore deve essere vissuto come «un vero e proprio esercizio spirituale » mediante cui il soggetto si libera del desiderio rivolto a sé per orientarlo alla verità dell’altro e del reale. Così da potenziale trappola, esso diviene una potente energia investigativa, per descrivere la quale Montanari cita efficacemente Giordano Bruno negli Eroici furori: «L’amore illustra, chiarisce, apre l’intelletto e fa penetrar tutto”. E’ quanto già Dante nella Vita nuova esprimeva mediante la canzone “Donne ch’avete intelletto d’amore”. L’amore cioè ha un intelletto peculiare e al suo riguardo non è un caso che Dante si rivolga alla donne perché esso è posseduto in modo particolare dalle donne, o per meglio dire dal lato femminile dell’essere umano, detto Anima da Jung per differenziarlo dal lato maschile detto Animus.
L’autore ricorda anche che il termine ebraico e arabo per indicare la misericordia divina viene dalla radice rhm che significa “utero” e che fa pensare a Dio come madre, un’immagine divina di cui il nostro mondo insanguinato anche a causa delle religioni avrebbe un grande bisogno.
E sempre tramite una donna, Hannah Arendt, Montanari svela il malinteso comune che porta a ritenere l’amore una creazione del nostro sentimento, mentre esso nasce altrove, nelle profondità cosmiche di cui è messaggero, e per questo chi lo segue veramente viene condotto altrove, in una terra sempre nuova verso la liberazione da sé.
Questo vale anche per il rapporto sessuale, interpretato dall’autore come «un potenziale esercizio spirituale», una «paradossale ma concreta forma di altruismo egoistico o egoismo altruistico», perché nell’amplesso, scrive Montanari, «l’amante gode di più nel far godere la persona amata che sperimentando il proprio personale godimento».
Insieme alla capacità di accecare e illuminare la mente, quest’ultimo paradosso è il più fecondo equivoco di quell’instabile esperienza chiamata amore di cui nessuno può fare a meno.
Montanari, nato ad Ancona nel 1969, vive e lavora a Grottammare (Ascoli Piceno) e ad Ancona. Dottore di ricerca in filosofia, socio fondatore di SABOF, è analista biografico a orientamento filosofico e consulente filosofico di Phronesis. Collabora con università, scuole di alta formazione e riviste specialistiche di filosofia e di psicoanalisi. Il suo approccio propone, tanto nei libri quanto nei corsi, una contaminazione di psicologia del profondo e pratiche filosofiche d’Oriente e d’Occidente. Ha scritto Hadot e Foucault nello specchio dei Greci. La filosofia antica come esercizio di trasformazione (2009) e Il Tao di Nietzsche (2004) e ha curato il volume collettaneo Consulenza filosofica: terapia o formazione? (2006). Con Mursia, nella stessa collana, ha pubblicato La filosofia come cura (2012) e Vivere la filosofia (2013).
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